Il massaggio cardiaco si esegue in assenza di…

MEDICINA ONLINE CUORE ELETTROCARDIOGRAMMA SINUSALE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCAIl massaggio cardiaco è una tecnica medica che, assieme ad altre tecniche, permette il BLS, acronimo di “Basic Life Support” (sostegno di base alle funzioni vitali), cioè una insieme di azioni che permettono il primo soccorso a soggetti che hanno subito un trauma, ad esempio incidente stradale, arresto cardiaco o folgorazione. Il ritmo di compressione corretto deve essere di almeno 100 compressioni al minuto ma non superiore a 120 compressioni al minuto, ovvero 3 ogni 2 secondi. In caso di contemporanea mancanza di respirazione, ogni 30 compressioni di massaggio cardiaco, l’operatore – se solo – interromperà il massaggio per praticare 2 insufflazioni con la respirazione artificiale (bocca a bocca o con mascherina o boccaglio), che dureranno circa 3 secondi l’una. Al termine della seconda insufflazione, riprendere immediatamente con il massaggio cardiaco.

Il massaggio cardiaco, da personale NON sanitario, si esegue:

  • in assenza dell’attività elettrica del cuore (mancanza di polso carotideo);
  • in assenza della disponibilità dei soccorsi sanitari;
  • in assenza di un defibrillatore automatico/semiautomatico.

Il massaggio cardiaco cessa di essere praticato se:

  • il soggetto riprende le funzioni vitali;
  • si modificano le condizioni del luogo, che non diventa più sicuro. In caso di grave pericolo il soccorritore ha il diritto/dovere di mettersi in salvo;
  • arriva l’ambulanza con medico a bordo o l’auto medica inviata dall’ospedale;
  • arriva un soccorso più qualificato o con una più efficace attrezzatura;
  • il soggetto che lo pratica è sfinito e non ha più forze (anche se in questo caso in genere si chiedono i cambi, che dovranno avvenire a metà delle 30 compressioni, in maniera tale da non interrompere il ciclo compressioni-insufflazioni).

Quando non si rianima:

  • in caso di decapitazione ;
  • in caso di lesioni totalmente incompatibili con la vita ;
  • in caso di soggetto carbonizzato;
  • in caso di soggetto in rigor mortis;
  • se il luogo è pericoloso per l’incolumità del soccorritore.

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Fibrillazione ventricolare: cos’è, terapia, cause scatenanti, frequenza

rbhc_08Con “fibrillazione ventricolare” (FV o VF) in medicina si intende una gravissima aritmia che si caratterizza per un ritmo cardiaco rapidissimo, caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono il cuore incapace di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso, portando ad un arresto cardiaco. I tessuti corporei e cerebrali, durante un arresto cardiaco, non sono più perfusi da sangue ed ossigeno: questo comporta una veloce perdita di coscienza e delle capacità respiratorie. Un arresto cardiaco è una urgenza medica: se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare e con un defibrillatore, nel giro di pochissimi minuti provoca danni permanenti al cervello e – successivamente – il decesso del paziente. L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nel mondo industrializzato, dove la maggior parte delle volte è secondario ad infarto miocardico acuto.

Fibrillazione ventricolare: quali sono le cause?

La fibrillazione ventricolare è un ritmo cardiaco caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono le contrazioni miocardiche inefficaci dal punto di vista emodinamico (il cuore non è in grado di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso), portando pertanto a configurarsi il quadro di arresto cardiocircolatorio: la pressione arteriosa crolla a zero e il paziente perde coscienza. Questa aritmia, se non prontamente trattata con manovre rianimatorie e defibrillazione esterna, può portare rapidamente al decesso. La fibrillazione ventricolare può avere diverse cause. La causa più frequente – come già prima accennato –  è l’ischemia miocardica acuta (infarto del miocardio, quello che comunemente è chiamato “attacco di cuore”): in una piccola percentuale di casi può rappresentare l’esordio dell’infarto miocardico. Secondariamente, la fibrillazione ventricolare può insorgere in pazienti affetti da cardiopatie strutturali predisposte alle aritmie ventricolari (come la cardiomiopatia dilatativa, la cardiomiopatia ipertrofica, displasia aritmogena del ventricolo destro, non compattazione ventricolare).
In alcuni casi può interessare pazienti con cuore strutturalmente normale ma affetti da malattie aritmogene ereditarie (come sindrome del QT lungosindrome di Brugadatachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica); quando la fibrillazione ventricolare non riconosce una causa scatenante specifica si parla di fibrillazione ventricolare idiopatica.

Diagnosi di fibrillazione ventricolare

La fibrillazione ventricolare, se non trattata, entro pochissimi minuti porta a morte. Quindi la diagnosi è possibile letteralmente solo nei pochi pazienti che presentano l’aritmia in ospedale e sono monitorizzati, oppure nei rarissimi casi in cui il paziente è rianimato in ambiente extraospedaliero e viene eseguito un elettrocardiogramma. In tutti gli altri casi è praticamente impossibile avere il tempo necessario per fare una diagnosi nel senso classico del termine.

Trattamenti della fibrillazione ventricolare

La cardioversione (cioè il ritorno ad un ritmo normale) può essere ottenuta da uno shock sincronizzato tramite scarica di corrente elettrica (scariche di defibrillatore a 100-250 joules). In alcuni casi, quando non sia disponibile un defibrillatore, una fibrillazione ventricolare può essere convertita in ritmo sinusale con un pugno precordiale, che spesso però è inefficace. Alcuni antiaritmici, come l’amiodarone e la lidocaina possono aiutare, ma a differenza della fibrillazione atriale, la FV raramente si risolve senza un defibrillatore, che tuttavia non è sempre efficace. In pazienti ad alto rischio di fibrillazione ventricolare si è dimostrato utile l’uso di un defibrillatore ICD impiantabile, un dispositivo elettrico che consente di prevenire la morte aritmica e che può permettere un controllo remoto costante delle condizioni del paziente.

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I tempi di intervento sono importanti

La fibrillazione determina arresto cardiaco ed il tempo massimo per intervenire in modo efficace su un arresto cardiaco è al massimo 10 minuti; ogni minuto perso equivale a una riduzione della sopravvivenza del 7-10%. Il tempo per cardiovertire un arresto cardiaco e “resuscitare” il paziente, prima che i danni al cervello siano irreversibili, è correlato all’efficacia della rianimazione cardiopolmonare.

IMPORTANTE: In caso vi ritroviate di fronte ad un probabile arresto cardiaco e non avete né nozioni di rianimazione, né defibrillatori esterni semiautomatici/automatici, non perdete neanche un secondo e chiedete IMMADIATAMENTE soccorso medico. Un minuto in più od in meno fanno letteralmente la differenza tra la vita e la morte del paziente.

Per approfondire: Massaggio cardiaco: quando farlo e come farlo [LINEE GUIDA]

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Arresto cardiaco: conseguenze, cause, coma, terapia, cosa fare

MEDICINA ONLINE ELETTROCARDIOGRAMMA ECG ESAME ONDE ONDA P T U COMPLESSO QRS TRATTO INTERVALLO RR INTERPRETAZIONE SIGNIFICATO CUORE IMPULSO ELETTRICO NODO SENO ATRIALE SETTO ATRIO VENTRICOLO TORACE AORTA VENA ARTERIACon “arresto cardiaco” (anche chiamato “arresto cardiocircolatorio”) si intende un gravissimo ed improvviso deficit delle funzionalità del cuore, che cessa improvvisamente di battere in modo efficace e di conseguenza interrompe la sua azione di pompaggio del sangue in tutto il corpo, mettendo a rischio la vita stessa del paziente. L’arresto cardiaco si può verificare in caso di traumi, ad esempio un forte trauma toracico in un incidente stradale, o in caso di svariate patologie.

Quando si verifica un arresto cardiaco?

Un arresto cardiaco si verifica in caso di importanti alterazioni del ritmo cardiaco:

  • asistolia;
  • fibrillazione ventricolare;
  • tachicardia ventricolare senza polso;
  • attività elettrica senza polso o pulseless electrical activity (PEA).

Quali sono le cause di un arresto cardiaco?

Le cause di arresto cardiaco possono essere:

  • cardiache (le più frequenti, spesso determinate da cardiopatia ischemica causata da ostruzione delle arterie coronarie)
  • non cardiache.

Le cause non cardiache sono meno frequenti rispetto alle cardiache. Le non cardiache possono essere di due tipi:

  • non cardiache meccaniche (tamponamento cardiaco, embolia polmonare, pneumotorace iperteso…);
  • non cardiache anossiche (struzione delle vie aeree, eventi neurologici…).

A cosa porta un arresto cardiaco?

I tessuti corporei e cerebrali, durante un arresto cardiaco, non sono più perfusi da sangue ed ossigeno: questo comporta una veloce perdita di coscienza e delle capacità respiratorie. Un arresto cardiaco è così grave che, se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare e con un defibrillatore, nel giro di pochissimi minuti provoca dei danni permanenti al cervello e la morte della persona colpita.

Sintomi e sintomi premonitori di un arresto cardiaco

L’insorgenza dell’arresto cardiaco è spesso istantanea, senza segni clinici o sintomi premonitori. In alcuni casi il paziente può avvertire una sintomatologia riferibile alla condizione clinica che è causa dell’arresto: palpitazioni, vertigini, dispnea, dolore toracico. L’obiettività in corso di arresto cardiaco è caratterizzata dall’assenza del polso centrale (carotideo), dalla perdita di coscienza, e da una serie di segni clinici che compaiono dopo un lasso di tempo variabile:

  • midriasi,
  • pallore,
  • cianosi cutanea,
  • respiro agonico,
  • incontinenza sfinterica,
  • rilassamento della muscolatura scheletrica.

L’evoluzione dell’arresto cardiaco verso il coma e la morte biologica irreversibile dipende in maniera critica dal tempo che intercorre tra l’evento primario e la messa in atto delle manovre assistenziali. Il cervello è molto sensibile all’anossia derivante dall’arresto di circolo: in pochi secondi si ha perdita di coscienza, mentre dopo circa 4 minuti si hanno danni irreversibili. Il cuore è meno sensibile, ma anche l’attività cardiaca va deteriorandosi nel giro di qualche minuto; la tachicardia ventricolare senza polso (TV-senza polso) e la fibrillazione ventricolare (FV), che sono in genere i ritmi di esordio dell’arresto cardiaco da ischemia miocardica, decadono in qualche minuto a FV a basso voltaggio, e infine ad asistolia: se la rianimazione cardiopolmonare non portasse alla ripresa dell’attività elettrica cardiaca, in pochi minuti si giungerebbe alla morte biologica.

Terapia: cosa fare in caso di arresto cardiaco?

Il successo delle manovre mediche applicate a un paziente in arresto cardiaco è correlato in maniera significativa al tipo di ritmo inizialmente rilevato dal defibrillatore (il cosiddetto ritmo di presentazione). I ritmi di presentazione si possono schematicamente classificare in due categorie:

  • ritmi defibrillabili (tachicardia ventricolare-senza polso e fibrillazione ventricolare);
  • ritmi non defibrillabili (asistolia e pulseless electrical activity, o PEA).

Se il soccorritore si trova di fronte ad un ritmo TV-senza polso/FV, ha discrete probabilità che le manovre di rianimazione abbiano successo; se rileva un’asistolia, le probabilità di successo si abbassano. Oltre al massaggio cardiaco si sono recentemente sviluppate delle tecniche rianimatorie con sistemi meccanici (speciali corpetti da apporre sul torace del paziente), che permettono un prolungamento della rianimazione sino all’arrivo in pronto soccorso.
La defibrillazione permette la cardioversione, cioè un ritorno ad un ritmo cardiaco sinusale (normale) e può essere effettuata con un defibrillatore esterno (se il soggetto non possiede un defibrillatore interno ICD) o – in casi limitati – con pugno precordiale.
La defibrillazione, se attuabile, deve avvenire nel minor tempo possibile dall’arresto cardiaco; si ritiene che per ogni minuto trascorso le probabilità di successo decadano del 7-10%. Inoltre, alcuni fattori possono intervenire riducendo le probabilità di successo, ad esempio l’ipotermia, l’ipossia, l’acidosi e l’elevata impedenza toracica.

I tempi di intervento sono importanti

Il tempo massimo per intervenire in modo efficace su un arresto cardiaco è al massimo 10 minuti; ogni minuto perso equivale a una riduzione della sopravvivenza del 7-10%. Il tempo per cardiovertire un arresto cardiaco e “resuscitare” il paziente, prima che i danni al cervello siano irreversibili, è correlato all’efficacia della rianimazione cardiopolmonare.

IMPORTANTE: In caso vi ritroviate di fronte ad un probabile arresto cardiaco e non avete né nozioni di rianimazione, né defibrillatori esterni semiautomatici/automatici, non perdete neanche un secondo e chiedete IMMADIATAMENTE soccorso medico. Un minuto in più od in meno fanno letteralmente la differenza tra la vita e la morte del paziente.

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Defibrillatore: cos’è, come funziona, prezzo, voltaggio, manuale ed esterno

rbhc_08Con “defibrillatore” si intende un particolare strumento capace di rilevare le alterazioni del ritmo cardiaco e di erogare una scarica elettrica al cuore qualora sia necessario: tale scarica ha la capacità di ristabilire il ritmo “sinusale”, cioè il corretto ritmo cardiaco coordinanto dal pacemaker naturale del cuore, il “nodo del seno striale”.

Come è fatto un defibrillatore?

Come vedremo successivamente, esistono vari tipi di defibrillatore. Il defibrillatore “classico”, quello che siamo abituati a vedere nei film durante le emergenze, è il defibrillatore manuale, il quale è composto due elettrodi che devono essere posizionati sul torace del paziente (uno a destra e uno a sinistra del cuore) dall’operatore stesso, finché la scarica non viene erogata.

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Quali tipi di defibrillatori esistono?

Esistono quattro tipi di defibrillatori:

  • defibrillatore manuale;
  • defibrillatore semiautomatico esterno;
  • defibrillatore automatico esterno;
  • defibrillatore impiantabile o interno.

Defibrillatore manuale

Il defibrillatore manuale è il dispositivo più complesso da utilizzare poiché ogni valutazione delle condizioni cardiache viene completamente delegata al suo utilizzatore, così come la calibrazione e la modulazione della scarica elettrica da erogare al cuore del paziente. Per questi motivi, tale tipo di defibrillatore viene utilizzato esclusivamente da medici o da operatori sanitari abilitati.

Defibrillatore semiautomatico esterno

Il defibrillatore semiautomatico esterno è un dispositivo, al contrario del tipo manuale, in grado di funzionare quasi in completa autonomia: una volta collegati in maniera corretta gli elettrodi al paziente, mediante uno o più elettrocardiogrammi che il dispositivo effettua in maniera automatica, il defibrillatore semiautomatico esterno è in grado di stabilire se è necessaria o meno erogare uno shock elettrico al cuore: qualora il ritmo fosse effettivamente defibrillabile, avverte l’operatore della necessità di erogare una scarica elettrica al muscolo cardiaco, grazie a segnalazioni luminose e/o vocali. A questo punto, l’operatore dovrà solo premere il pulsante di scarica. Un fattore estremamente importante è che soltanto nel caso in cui il paziente si trovi in uno stato di arresto cardiaco il defibrillatore si predisporrà all’erogazione della scarica: in nessun altro caso, salvo malfunzionamento del dispositivo, sarà possibile defibrillare il paziente, anche se, per sbaglio, venisse premuto il pulsante dello shock. Questa tipologia di defibrillatori è quindi, al contrario del tipo manuale, di più semplice utilizzo e può essere utilizzata anche da personale non sanitario, pur se opportunamente formato.

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Defibrillatore completamente automatico

Il defibrillatore automatico (spesso abbreviato con DAE, da “defibrillatore automatico esterno”, o AED, “automated external defibrillator”) è ancora più semplice rispetto all’automatico: necessita solamente di essere collegato al paziente e di essere acceso. A differenza dei defibrillatori semiautomatici esterni, una volta riconosciuto lo stato di arresto cardiaco, procedono in autonomia all’erogazione dello shock al cuore del paziente. Il DAE può essere utilizzato anche da personale non sanitario che non ha alcuna formazione specifica: chiunque può usarlo semplicemente seguendo le istruzioni.

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Defibrillatore interno o impiantabile

Il defibrillatore interno (anche chiamato defibrillatore impiantabile o ICD), è uno stimolatore cardiaco alimentato da una batteria dalle dimensioni molto ridotte che viene inserito in prossimità del muscolo cardiaco, solitamente, sotto la clavicola. In caso registri una frequenza anomala del battito cardiaco del paziente è in grado di erogare autonomamente una scarica elettrica per tentare di riportare la situazione alla normalità. Il defibrillatore ICD, oltre ad essere un pacemaker a tutti gli effetti (ha la capacità di regolare i ritmi lenti del cuore, può riconoscere una aritmia cardiaca a ritmi elevati ed iniziare una terapia elettrica per risolverla prima che diventi pericolosa per il paziente). E’ anche un defibrillatore vero e proprio: la modalità ATP (Anti Tachi Pacing) spesso riesce a risolvere la tachicardia ventricolare senza che il paziente lo avverta. Nei casi di aritmia ventricolare più pericolosi, il defibrillatore eroga uno shock (una scarica elettrica) che azzera l’attività del cuore e consente il ripristino del ritmo naturale. In questo caso il paziente avverte un colpo, una scossa più o meno forte al centro del petto o una sensazione simile. A tal proposito leggi:

Defibrillatore: voltaggi ed energia di scarica

Un defibrillatore è generalmente alimentato da una batteria ricaricabile, a rete o a corrente continua a 12 Volt. L’alimentazione di funzionamento all’interno dell’apparecchio è del tipo a bassa tensione, a corrente continua. All’interno del defibrillatore si possono distinguere due tipi di circuito: – un circuito a bassa tensione di 10-16 V, che interessa tutte le funzioni il monitor ECG, la scheda contenente i microprocessori, ed il circuito a valle del condensatore; un circuito ad alta tensione, che interessa il circuito di carica e scarica dell’energia di defibrillazione: questa viene accumulata dal condensatore e può raggiungere voltaggi fino a 5000 V.

L’energia di scarica è generalmente di 150, 200 o 360 J.

Pericoli dell’uso di un defibrillatore

Pericolo di ustioni: Nei pazienti con cospicua peluria si crea uno strato di aria tra elettrodi e cute che provoca uno scarso contatto elettrico. Ciò causa una elevata impedenza, riduce l’efficacia della defibrillazione, aumenta il rischio di formazione di scintille tra gli elettrodi o tra elettrodo e cute e determina una maggior probabilità di causare ustioni al torace del paziente. Per evitare ustioni è necessario anche evitare che gli elettrodi si tocchino tra loro, tocchino bendaggi, cerotti transdermici, ecc.

Quando si utilizza un defibrillatore bisogna rispettare una norma importante: nessuno tocchi il paziente durante l’erogazione dello shock! Il soccorritore deve porre particolare attenzione per fare in modo che nessuno tocchi il paziente, evitando quindi che la scarica arrivi ad altri soggetti.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Il defibrillatore non funziona: muore a 51 anni per un infarto

MEDICINA ONLINE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE SPONTANEA ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE FIBRILLATORE.jpgTragedia ieri 21 novembre in provincia di Pavia, domenica pomeriggio. Daniele Gatti,un commerciante di 51 anni, è morto stroncato da un infarto del miocardio nel suo negozio di abbigliamento in centro a Brallo di Pregola, Comune dell’Oltrepò. A soccorrerlo per primi sono stati il sindaco Christos Chlapanidas, che è anche il farmacista del paese, insieme a due volontari della Croce Rossa di Piacenza. Hanno preso il defibrillatore che si trova esposto fuori dal Municipio, ma il macchinario non ha funzionato, pur essendo usato da mani esperte.

Nel frattempo è stato chiamato il 118, è sopraggiunto l’elisoccorso e Gatti è stato portato a San Donato Milanese d’urgenza, ma per lui non c’è stato nulla da fare: è morto. Ora tutti i dubbi sono rivolti a quel defibrillatore che gli avrebbe salvato la vita, se solo avesse funzionato. Eppure, come confermato dai soccorritori, lo strumento è stato periodicamente sottoposto a controlli, l’ultimo pochi giorni fa, e non sono mai stati riscontrati problemi.

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Differenza tra cardioversione spontanea, elettrica e farmacologica

MEDICINA ONLINE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE SPONTANEA ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE FIBRILLATORE.jpgCon cardioversione si intende è una particolare procedura che si esegue in campo medico quando un soggetto ha una aritmia, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), al fine di ripristinarlo evitando pericolose complicazioni che possono portare anche a decesso del paziente. La cardioversione può essere:

  • spontanea: quando l’aritmia si interrompe spontaneamente, entro poche ore dall’insorgenza;
  • non spontanea: quando l’aritmia NON si interrompe spontaneamente, in questo caso il personale sanitario deve intervenire al più presto per ripristinare il ritmo sinusale.

La cardioversione può essere effettuata in tre modi:

  • cardioversione meccanica: è una tecnica di defibrillazione meccanica manuale, caratterizzata dalla somministrazione di un pugno (pugno precordiale) sullo sterno all’altezza del cuore;
  • cardioversione farmacologica: vengono somministrati farmaci che hanno l’obiettivo di ripristinare il ritmo sinusale;
  • cardioversione elettrica: si tenta di ripristinare il ritmo normale tramite l’erogazione di impulsi elettrici, che vengono somministrati tramite defibrillatore esterno o interno (ICD), a tal proposito leggi: Differenza tra pacemaker e defibrillatore ICDI dubbi su pacemaker e ICD: carica, impulsi, cellulare, banca ed aereo

Cardioversione con pugno precordiale

L’operatore somministra il pugno precordiale sullo sterno all’altezza del cuore, ritirando immediatamente la mano (non lasciandola posata sul torace del paziente). L’energia meccanica impressa dal pugno dovrebbe convertirsi in energia elettrica sufficiente per una cardioversione. Questa manovra va effettuata in caso di arresto cardiaco ove non sia disponibile un defibrillatore, cioè in situazioni di emergenza estrema. In rari casi ha effettivamente permesso di convertire la fibrillazione ventricolare o la tachicardia ventricolare in un ritmo cardiaco efficace, ma più frequentemente non ha alcuna efficacia o addirittura può causare una conversione opposta, provocando in ultimo un’asistolia che aggrava ulteriormente la situazione.

Cardioversione tramite farmaci

Questo procedimento comporta una relativa latenza di effetto, cioè prevede che tra la somministrazione del farmaco e la scomparsa dell’aritmia intercorra un certo periodo di tempo. Pertanto viene riservato alle aritmie ben tollerate, o per la benignità dell’aritmia stessa, o per le buone condizioni fisiche del paziente. Il farmaco, scelto in funzione del meccanismo che sostiene l’aritmia, può essere somministrato per via orale o per iniezione endovenosa, secondo dosaggi prestabiliti.

Cardioversione elettrica

Soprattutto nei casi in cui l’aritmia è pericolosa per la vita (ad esempio nella fibrillazione ventricolare che si verifica nell’arresto cardiaco) perché produce una grave compromissione emodinamica, alla cardioversione farmacologica si preferisce quella elettrica, estremamente rapida ed efficace in molti casi per interrompere il malfunzionamento cardiaco, che se protratto porterebbe al decesso del paziente. Il ripristino del normale ritmo sinusale è determinato dall’applicazione di uno stimolo elettrico, che ha un effetto virtualmente immediato. Come già prima accennato, gli impulsi elettrici vengono somministrati in due modi, tramite:

  • defibrillatore esterno: viene somministrata una scarica elettrica singola molto intensa, che può essere somministrata nuovamente se il ritmo sinusale non è stato ripristinato. In questo caso si parla di cardioversione con shock, quella che siamo abituati a vedere nei film quando c’è una urgenza medica;
  • defibrillatore cardiaco impiantabile (ICD): è un dispositivo elettrico utilizzato nei pazienti a più alto rischio di morte cardiaca improvvisa, ad esempio chi soffre cronicamente di aritmie o nei pazienti con Wolff-Parkinson-White. L’ICD viene impiantato chirurgicamente sottocute nella regione pettorale, preferibilmente a sinistra, posizionando gli elettrodi negli atri e nei ventricoli per via transvenosa.L’uso si fonda sulla generazione di piccoli impulsi elettrici ripetitivi in grado non solo di eseguire una defibrillazione efficace nel 95% dei casi, ma anche di fornire una stimolazione cardiaca bicamerale fisiologica e di monitorare a distanza l’attività ritmica del cuore discriminando tra aritmie sopraventricolari e aritmie ventricolari.

Cardioversione con shock ed anestesia

Nella pratica comune, la scarica elettrica somministrata con defibrillatore esterno, può venire applicata in modo sincronizzato con l’attività ventricolare del paziente, come ad esempio per la fibrillazione atriale persistente: in questo caso, visto che il paziente è cosciente e la scarica elettrica è estremamente fastidiosa, la procedura viene eseguita solo dopo aver effettuato una anestesia generale. Nei casi di emergenza invece, ad esempio in caso di fibrillazione ventricolare (arresto cardiaco) il paziente è già incosciente e la scarica viene somministrata in modo non sincronizzato e senza dover effettuare alcuna anestesia: in tal caso si parla di defibrillazione.

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Differenza tra pacemaker e defibrillatore ICD

MEDICINA ONLINE CUORE HEART INFARTO MIOCARDIO NECROSI ATRIO VENTRICOLO AORTA VALVOLA POMPA SANGUE ANGINA PECTORIS STABILE INSTABILE ECG SFORZO CIRCOLAZIONELa prima cosa che bisogna conoscere è la sigla con la quale vengono designati i dispositivi: il pacemaker viene chiamato PM, il defibrillatore ICD un l’acronimo inglese (Implantable cardioverter-defibrillator – defibrillatore cardiaco impiantabile). Entrambi possono essere mocamerali (con un solo elettrocatetere); bicamerali (con due elettrocateteri); biventricolari (con tre elettrocateteri), e in questo caso servono per cercare di resincronizzare l’attività elettrica del cuore (CRTCardiac resynchronization therapy ).

Qual’è la differenza tra un pacemaker e un defibrillatore?

Il pacemaker è uno strumento elettronico capace di monitorare il battito del nostro cuore e di erogare un impulso elettrico se rileva una frequenza bassa o molto bassa. In pratica serve per risolvere quei blocchi cardiaci che causano una bradicardia patologica (ritmo cardiaco molto lento, causa di vertigini o svenimenti).

Il defibrillatore ICD, oltre ad essere un pacemaker a tutti gli effetti, e quindi con la capacità di regolare i ritmi lenti del cuore, può riconoscere una aritmia cardiaca a ritmi elevati ed iniziare una terapia elettrica per risolverla prima che diventi pericolosa per il paziente.
La modalità ATP (Anti Tachi Pacing) spesso riesce a risolvere la tachicardia ventricolare senza che il paziente lo avverta. Nei casi di aritmia ventricolare più pericolosi, il defibrillatore eroga uno shock (una scarica elettrica) che azzera l’attività del cuore e consente il ripristino del ritmo naturale. In questo caso il paziente avverte un colpo, una scossa più o meno forte al centro del petto o una sensazione simile.

Semplificando: il pacemaker ripristina un ritmo cardiaco normale quando esso è troppo lento, il defibrillatore lo ripristina quando è troppo lento e quando è molto alterato (come nel caso di tachicardia ventricolare, cioè arresto cardiaco potenzialmente mortale).

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