Vogliamo campioni che conseguano record sempre più ardui e Olimpiadi che ci lascino esterrefatti? Allora, facciamo largo al doping genetico. Lasciamo che gli atleti modifichino il loro dna, guadagnando una marcia in più. È la proposta-shock avanzata su Nature da Juan Enriquez e Steve Gullan, volti storici di Harvard, oggi a capo della Excel Venture Management, azienda che investe in progetti di biotecnologie. “ Man mano che le modifiche genetiche diventeranno più comuni, aumenterà l’accettazione di questa forma di doping, purché fatta in modo sicuro”, pronosticano gli autori.
Così, dopo le polemiche e le accuse di doping genetico sui tempi straordinari di Ye Shiwen(la 16enne cinese che ha battuto ogni record nei 400 misti, correndo nell’ultima vasca anche più velocemente degli uomini), il tema della modfica genetica degli atleti torna di attualità. E rischia di rimanerci per molto tempo.
D’altronde, le regole dei giochi olimpici non sono immutabili. Un tempo alle donne era concesso di partecipare solo nel tennis, nel golf e nel cricket. Fino a qualche anno fa non esistevano competizioni come lo snowboard o il bmx (bicycle motocross) e Oscar Pistorius, nel 2008 escluso dalle competizioni per le sue protesi alle gambe, quest’anno può finalmente correre sulla pista di Londra. Come dire: quel che oggi sembra inconcepibile (il doping genetico è bandito dalla Word Anti-Doping Agency alla stregua degli altri metodi), un giorno potrebbe essere la norma.
Ormai è chiaro che chi nasce con i geni giusti ha la strada spianata verso il successo sportivo, mentre chi non è stato attrezzato adeguatamente da madre natura quasi certamente non coronerà il sogno di salire sul podio. Allora, non sarebbe più leale consentire ai questi ultimi, meno fortunati, di giocare ad armi pari con i primi, avvantaggiati in partenza, grazie a un piccolo aiuto da parte dell’ ingegneria genetica? O forse il Comitato olimpico dovrebbe istituire gare per categorie di pari codice genetico? E se un atleta avesse acquisito alcune varianti genetiche attraverso una terapia medica seguita nell’infanzia, sarebbe giusto escluderlo perché dopato?
Al di sopra di questi interrogativi etici inquietanti, resta poi un’amara verità: non esistonotest anti-doping in grado di rilevare un’eventuale manipolazione genetica e non sembrano a portata di mano. Distinguere tra chi è portatore dalla nascita di una certa variante e chi lo è diventato artificialmente è una sfida ardua per la scienza. Forse, allora, conviene prendere in considerazione la soluzione estrema, dicono Enriquez e Gullan: autorizzare il doping genetico. Ma quali sono i geni dei sogni che ogni sportivo vorrebbe avere? Non ce n’è uno specifico per ogni disciplina, ma molti che possono risultare in vario modo di aiuto permigliorare le prestazioni atletiche. Eccone alcuni, tra i circa 200 finora scoperti.
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I GENI DELLA RESISTENZA
5775, il gene dello sprint
Quasi tutti i velocisti olimpici che siano stati sottoposti a test genetico sono risultati portatori della variante 577R del gene ACTN3, il gene responsabile della crescita delle fibre bianche o rosse nei muscoli, alla base dello sprint. Circa la metà degli euroasiatici e l’85% degli africani ne possiedono almeno una copia. Tutti gli altri individui privi del fattore 577R, oltre un miliardo di persone, farebbero bene a riconsiderare le loro aspirazioni olimpiche. Al Salk Institute for Biological Studies di La Jolla (California) è in fase di sviluppato un farmaco, GW1516, che attiva questo gene.
Ace, il gene del maratoneta
I portatori della mutazione I del gene Ace (o enzima convertitore dell’angiotensina) godono di una resistenza nettamente superiore rispetto agli altri. Si tratta della cosiddetta “variante dello scalatore” perché chi la possiede riesce a scalare facilmente gli 8.000 metri. Non a caso, il gene Ace I è presente nel 94% degli Sherpa himalayani, un gruppo etnico che popola le montagne nepalesi della Valle di Katmandu, e solo nel 45-70% di chi appartiene ad altre etnie. A un maratoneta, questa variante farebbe molto comodo. Uno studio condotto su corridori britannici, in effetti, l’ha riscontrata nella maggior parte di coloro che si cimentano su lunghe distanze.
Epor, il gene dei ciclisti e fondisti
L’eritropoietina (Epo), sostanza dopante per eccellenza nel mondo del ciclismo, è prodotta naturalmente dal nostro organismo. Alcune persone possiedono una rara mutazione dell’Epor (il recettore dell’Epo) che favorisce la produzione endogena di Epo. L’effetto risultante è un surplus di globuli rossi nel sangue, che si traduce in una capacità del 25-50% superiore di trasportare ossigeno ai tessuti. È accertato, per esempio, che fosse dotato di questa variante lo sciatore di fondo finlandese Eero Mantyranta, vincitore di tre medaglie olimpiche e svariati titoli mondiali negli anni Sessanta. In futuro, anziché assumere Epo per via farmacologica, si potrebbe modificare direttamente il gene che ne regola la produzione. La differenza è che nel primo caso la sostanza sintetica è rilevabile attraverso test anti-doping, nel secondo no, perché prodotta naturalmente dall’organismo stesso.
GENI DELLA MASSA MUSCOLARE
Igf-1, il gene della potenza
Quando s’introduce nel muscolo il fattore di crescita insulino-simile, o IGF-1, questo lievita a dismisura. Gli esperimenti sugli animali hanno dimostrato che l’aumento delle prestazioni è stupefacente: i topi geneticamente dopati nuotano il triplo degli altri.
Blocco della miostatina, la variante del body-builder
Un fisico da culturista si può ottenere spegnendo il gene della miostatina, una proteina il cui compito è frenare la proliferazione delle cellule muscolari. Se si disattiva il gene della miostatina, la massa muscolare cresce a dismisura. È capitato naturalmente a un bambino in Germania, figlio di una centometrista. Un piccolo Ercole, con il doppio dei muscoli rispetto ai suoi coetanei. A cinque anni sollevava tre chili con ciascuna delle due braccia tese.
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Lo staff di Medicina OnLine
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