Leucemia linfatica cronica: sintomi, sopravvivenza, guarigione

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST ESAME SANGUE ANALISI CLINICHE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI LEUCOCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEIl termine “leucemia” in medicina indica una insieme di malattie tumorali caratterizzate dalla proliferazione neoplastica ed incontrollata di una cellula staminale emopoietica che si traduce in una alterazione dei globuli bianchi (leucociti). La leucemia linfatica cronica (LLC) è una forma specifica di leucemia, dove i linfociti B CD5+ subiscono una trasformazione maligna che porta alla formazione di un gran numero di cellule uguali tra loro che non rispondono più agli stimoli fisiologici e diventano immortali, continuando così a riprodursi e ad accumularsi in varie parti del corpo: nel sangue, nel midollo osseo e negli organi linfatici (linfonodi e milza). Ricordiamo che i linfociti sono cellule del sistema immunitario che sorvegliano l’organismo e attivano le difese nei confronti di microorganismi o cellule tumorali e si distinguono in B o T in base al tipo di risposta che sono in grado di attivare.  La leucemia linfatica cronica può presentarsi in quattro differenti stadi, dalla cui individuazione dipende la scelta della strategia terapeutica. Nello stadio 0 si osserva un aumento del numero di linfociti nel sangue, senza alcun sintomo. Nello stadio 1 si osserva un primo aumento delle dimensioni dei linfonodi, della milza e del fegato. Identico, ma più accentuato, si presenta il quadro riferibile allo stadio 2, mentre lo stadio 3 è caratterizzato anche una riduzione dei globuli rossi (anemia). Nello stadio 4 la leucemia linfatica cronica si presenta con un forte aumento dei linfociti nel sangue, una riduzione dei globuli rossi e delle piastrine, con conseguenti problemi di coagulazione.

Diffusione

La leucemia linfatica cronica è la forma di leucemia più diffusa, soprattutto nei Paesi occidentali, con maggiore diffusione nel sesso maschile. L’incidenza è calcolata di 5-15 casi su 100.000 persone. La malattia ha maggiore frequenza a partire dai 50 anni di età, toccando l’incidenza massima intorno agli 80 anni, fatto che è valsa alla LLC la definizione di “leucemia dell’anziano“. L’età media alla diagnosi è attorno ai 65 anni e meno del 15% dei casi viene diagnosticato prima dei 60 anni. In Italia le stime parlano di circa 1.600 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 1.150 tra le donne.

Cause

Le cause specifiche di LLC, come per praticamente tutte le leucemie, non sono ancora state ben chiarite dalle ricerche scientifiche. Negli ultimi anni significative scoperte sono comunque state raggiunte per la comprensione dei processi leucemogeni-associati. Si è capito che alterazioni epigenetiche, che includono la metilazione del DNA, modificazioni degli istoni e miRNA, sono coinvolte in cambiamenti permanenti dell’espressione genica che controllano il fenotipo della leucemia. L’esatta causa rimane sconosciuta anche se vi sono diverse ipotesi, specialmente nel campo della genetica, al riguardo. Una di esse, in particolare, pone l’accento sulla mutazione che riguarda il recettore delle cellule B (BCR) e la via di segnalazione ZAP-70, dal momento che la presenza o meno di questa dà il via a forme leucemiche di diversa aggressività e diversa prognosi. BCR è un recettore proprio dei linfociti B, che, in seguito a stimolazione antigenica, determina l’attivazione linfocitaria tramite la cascata segnalatoria promossa dall’enzima ZAP-70. A causa di una stimolazione antigenica tuttora non del tutto chiarita, i linfociti B pre-centro germinativo sono stimolati a proliferare, dando vita ad una forma leucemica aggressiva. Se nella patologia in questione sono invece coinvolti linfociti B post-centro germinativo, la malattia sarà meno aggressiva in quanto queste cellule, pur essendo immortalizzate, non sono stimolate alla proliferazione, avendo BCR e la via ZAP-70 non funzionanti, a causa dei riarrangiamenti somatici subiti in corso di maturazione.

Fattori di rischio

Ad oggi nessuno degli agenti leucemizzanti noti, come ad esempio le radiazioni ionizzanti o particolari composti chimici come benzene o formaldeide, è stato correlato con l’insorgenza della patologia. E’ invece rilevante la famigliarità con la malattia (nei parenti di primo grado di pazienti affetti da LLC l’incidenza è maggiore rispetto a quella osservata in una popolazione normale di controllo).

Sintomi

Nel 25% dei casi la malattia è asintomatica, cioè non sono presenti segni o sintomi, specie nelle fasi iniziali, tanto che spesso la LLC viene scoperta per caso durante le comuni analisi del sangue di routine. Nelle fasi tardive spesso si verifica un aumento volumetrico dei linfonodi di tutte le stazioni linfoghiandolari superficiali. I linfonodi sono: indolenti, di consistenza non dura, mobili su piani superficiali e profondi e senza tendenza a confluire in pacchetti o a fistolizzare. Pure frequenti sono l’epatomegalia e/o la splenomegalia. In un numero ridotto, ma non trascurabile di casi, la malattia esordisce con i sintomi e i segni dello scompenso mieloide. Da ricordare, infine, il verificarsi di manifestazioni infettive ricorrenti, più frequentemente di tipo batterico, facilitate dalla immunodeficienza e, in minor misura, dalla neutropenia. Quindi manifestazioni come anemia, trombocitopenia, emorragie, linfoadenomegalia sono da prendere in seria considerazione. Anemia e piastrinopenia sono provocati dalla infiltrazione midollare da parte dei linfociti leucemici o da fenomeni autoimmuni. Sinteticamente i sintomi sono:

  • linfonodi ingrossati a livello del collo, delle ascelle o dell’inguine (i linfonodi appaiono di consistenza elastica e non sono dolorosi al tatto);
  • ingrossamento di milza (splenomegalia);
  • ingrossamento del fegato (epatomegalia);
  • malessere generale;
  • astenia (stanchezza);
  • pallore;
  • palpitazioni;
  • sintomi di anemia;
  • emorragie frequenti per la riduzione delle piastrine;
  • immunodeficienza che predispone all’insorgenza di infezioni frequenti ed opportunistiche;
  • disturbi autoimmuni che portano ad anemia emolitica.

Gravità

Sono stati identificati due diversi tipi di LLC: una che cresce e progredisce molto lentamente tanto che a volte trascorrono anni prima che il paziente abbia bisogno di un trattamento, e una che invece cresce più velocemente e rappresenta una forma più grave di malattia. Per distinguere i due tipi di LLC sono necessari esami specifici che valutano il livello di alcune proteine come ZAP-70 e CD38, presenti in concentrazioni più elevate nella forma a crescita veloce.

Patologie associate

A differenza della leucemia mieloide cronica, quella linfatica cronica non termina in una fase blastica (leucemica acuta). Tutt’al più si può assistere ad una trasformazione in una leucemia a prolinfociti o prolinfocitoide e in un linfoma a grandi cellule e ad alto grado di aggressività (sindrome di Richter) che si ritrova in circa il 5% delle persone, che presentano un quadro clinico contrassegnato da febbre elevata, perdita di peso e presenza di voluminose masse linfoghiandolari. Altre complicanze sono:

  • infezioni opportuniste e ripetute a causa dell’ipogammaglobulinemia;
  • anemia emolitica;
  • trombocitopenia;
  • aplasia eritrocitaria;
  • mielofibrosi.

Diagnosi

Si sospetta la presenza di una malattia leucemica in presenza di una linfocitosi persistente rilevata con emocromo (ottenuto con un semplice esame del sangue venoso). Il termine “linfocitosi” indica un numero di linfociti nel sangue superiore a 4.000/mm³ che non diminuisce nel tempo. Ricordiamo che i valori normali di linfociti oscillano tra 1500 e 3000 unità per mm³ di sangue. Posto il sospetto di leucemia, si procede nella diagnosi con l’esame morfologico, cioè osservando lo striscio di sangue al microscopio e si esegue inoltre un esame che serve per distinguere le forme tumorali dai linfociti che aumentano, invece, per reazione a infezioni (linfocitosi reattive benigne). In alcuni pazienti, la diagnosi può derivare dal riscontro di un’anemia (carenza di globuli rossi) o di una piastrinopenia (carenza di piastrine). Sinteticamente, gli esami necessari per la diagnosi sono generalmente:

  • emocromo
  • dosaggio delle immunoglobuline
  • test di Coombs e ricerca di anticorpi antipiastrine
  • esame morfologico
  • RX e/o TAC collo, torace, addome superiore ed inferiore (in alcuni casi ecografia e risonanza magnetica);
  • biopsia e/o agoaspirato per ottenere un campione del midollo osseo;
  • biopsia dei linfonodi.

Non tutti gli esami sono sempre necessari per fare diagnosi di LLC.

Stadiazione e gravità

Nel corso degli ultimi decenni si sono sviluppate diverse classificazioni. La prima, ideata da Kanti R. Rai e collaboratori nel 1975, prevedeva 5 fasi di stadiazione; successivamente, nel 1981, altri studiosi, Jacques-Louis Binet e collaboratori, hanno voluto raggruppare in maniera differente la classificazione precedente formando soltanto 3 fasi:

  • fase A: basso rischio con linfocitosi periferica e midollare con meno di 3 aree linfoidi interessate;
  • fase B: rischio intermedio con linfocitosi periferica e midollare con almeno o più di 3 aree linfoidi interessate;
  • fase C: alto rischio con linfocitosi periferica e midollare con Hb < 10 g/dl e/o piastrinopenia (< 100 000/mm3).

Alcuni parametri che il medico utilizza per definire la prognosi e scegliere la terapia, sono:

  • il tempo di raddoppiamento del numero dei linfociti (indice della rapidità di diffusione della malattia)
  • il dosaggio della beta2microglobulina, che indica l’evoluzione verso la malignità;
  • il dosaggio dell’enzima lattico deidrogenasi (LDH);
  • la presenza delle proteine ZAP-70 e CD38 sulle cellule leucemiche;
  • la presenza di delezioni (cioè la mancanza di una parte) dei cromosomi 11 e 17;
  • le mutazioni a carico dei geni di una porzione delle immunoglobuline delle cellule leucemiche;

Sulla base del quadro fornito da tutti questi parametri è possibile preparare per ogni paziente un preciso programma terapeutico.

Cure

In alcuni casi il trattamento inizia solo quando la malattia diventa sintomatica altrimenti si adotta una “osservazione vigile”, cioè si aspetta e nel frattempo si effettuano controlli periodici dell’andamento della malattia. Nella malattia sintomatica, le terapie disponibili sono:

  • chemioterapia con farmaci analoghi delle purine o alchilanti;
  • trapianto di cellule staminali emopoietiche (per pazienti più giovani e/o non rispondenti ad altre terapie);
  • anticorpi monoclonali (alemtuzumab diretta contro l’antigene CD52);
  • radioterapia.

La chirurgia non viene utilizzata nel trattamento della LLC.

Il trattamento non eradica la patologia, ma la contiene, e cambia a seconda del rischio che corre la persona:

  • Fludarabina, 25-30 mg /m2 per 5 giorni, nei casi di basso rischio, dosi più alte negli altri casi;
  • Rituximab, utilizzato spesso in combinazione con la fludarabina;
  • Alemtuzumab, utilizzato principalmente nel caso di ricadute della malattia.

Si sono provate diverse combinazioni durante gli studi clinici, ma come nel caso della ciclofosfamide e dei corticosteroidi non si sono mostrati segni di remissione stabile.

Terapia della leucemia linfatica cronica a cellule B (B-CLL)

Nel paziente giovane (< 65 anni) l’opzione comune è che il miglior trattamento sia una immunochemioterapia che sfrutti l’associazione dirituximab e chemioterapia. La chemioterapia prevalentemente utilizzata in Italia è lo schema R-FC (rituximab, fludarabina e ciclofosfamide). Nel paziente anziano (> 65 anni), prima di procedere con la terapia di combinazione, va attentamente valutato lo stato delle eventuali altre problematiche di salute presenti. Molte terapie per la B-CLL, infatti, possono aggravare le problematiche di salute presenti, portando ad un peggioramento delle condizioni anziché migliorarle. Nel paziente anziano, il regime R-FC può essere eccessivamente intenso e portare ad effetti collaterali seri, benché sembri un regime ben tollerato quando il paziente, seppur anziano, non presenti altre problematiche di salute. Possibile alternativa è sfruttare il regime R-FC ma con dosaggi ridotti di fludarabina e ciclofosfamide e dosaggi aumentati di rituximab (“R-FC-lite”). Nel paziente anziano, l’associazione di rituximab e bendamustina presenta un profilo di tossicità migliore, rispetto a R-FC, tuttavia al momento in Italia tale trattamento è riservato a pazienti già precedentemente trattati o con chiare controindicazioni all’uso di fludarabina. La terapia con clorambucile (uno dei primi farmaci disponibili per la B-CLL) e rituximab pare mostrare risultati molto interessanti, così come l’associazione rituximab e cladribina.  Nel paziente anziano con problematiche di salute associate, si può considerare anche un trattamento con farmaci in monoterapia (clorambucile, ciclofosfamide, bendamustina, fludarabina, pentosatina o cladribina). Diversi studi sono stati condotti per confrontare clorambucile con questi altri singoli farmaci, tuttavia, sebbene si ottengano migliori tassi di risposta con gli altri farmaci, nessuno ha ancora mostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza complessiva rispetto a clorambucile. Il clorambucile è stato anche confrontato con l’anticorpo anti-CD52 (alemtuzumab), senza peraltro dimostrare nel paziente anziano un vantaggio nel tasso di risposta o nella sopravvivenza libera da progressione di malattia. L’unico contesto dove alemtuzumab è vantaggioso è nel paziente con delezione del braccio corto (p) del cromosoma 17 o del braccio lungo (q) del cromosoma 11. L’ofatumumab è un nuovo anticorpo anti-CD20 attivo nella B-CLL e indicato nei pazienti ricaduti dopo terapia con fludarabina e dopo terapia con alemtuzumab.

Prognosi

Fattori che influenzano negativamente la prognosi:

  • età avanzata;
  • presenza di altre patologie (diabete, ipertensione arteriosa, obesità…);
  • diagnosi tardiva;
  • esordio di malattia in stadio avanzato;
  • doubling time della conta dei linfociti < 12 mesi;
  • presenza di sintomi sistemici e infiltrazione di tipo diffuso;
  • assenza di mutazioni a carico del gene IgVH;
  • espressione di superficie del marcatore CD38;
  • espressione della tirosin-chinasi ZAP-70;
  • presenza di delezioni 11q e 17p.

Una trisomia 12q possiede invece una prognosi intermedia. Un cariotipo normale o la delezione 13q invece hanno una buona prognosi. La prognosi è estremamente variabile, la leucemia può essere stabile per molti anni come all’improvviso peggiorare fino alla morte del soggetto.

Sopravvivenza, aspettativa di vita e decesso

La storia clinica della leucemia linfatica cronica è molto eterogenea e varia in base ai fattori elencati nel paragrafo precedente. La sopravvivenza varia tra 2 ed oltre 10 anni dalla diagnosi, con una media di circa 7,5 anni di vita dalla diagnosi. Nella maggior parte dei pazienti, specie se la diagnosi avviene oltre i 70 anni di età, la morte sopraggiunge durante la malattia e non a causa di essa. In alcuni pazienti la malattia rimane stabile per il resto della vita e non richiede terapie, se non in stadi molto tardivi: l’aspettativa di vita di questi pazienti può essere simile a quella degli individui sani. In altri pazienti invece si evidenzia un progressivo deterioramento del quadro clinico, con un incremento della conta dei linfociti, ingrossamento dei linfonodi (linfadenomegalia) e della milza (splenomegalia), progressiva anemia e trombocitopenia (carenza di piastrine): questi pazienti hanno un’aspettativa di vita inferiore e necessitano di trattamenti precoci e frequenti. Nonostante gli enormi progressi nel controllo dei sintomi mediante la terapia, la cura definitiva della leucemia linfatica cronica resta purtroppo un evento estremamente poco frequente.

Prevenzione

Poiché non si conoscono con certezza le cause specifiche che portano ad ammalarsi di leucemia, non è possibile definire precise strategie di prevenzione, tuttavia è possibile teoricamente abbassare il rischio di malattia evitando i fattori di rischio noti per le leucemie in generale, come ad esempio evitare l’esposizione frequente a elevate dosi di radiazioni oppure a sostanze chimiche come il benzene o la formaldeide anche se, come precedentemente affermato, attualmente non esiste una vera e propria correlazione scientificamente nota tra LLC e tali fattori di rischio.

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