Leucemia mieloide cronica: sintomi, emocromo, terapia, sopravvivenza

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MIl termine “leucemia” in medicina indica una insieme di malattie tumorali caratterizzate dalla proliferazione neoplastica ed incontrollata di una cellula staminale emopoietica che si traduce in una alterazione dei globuli bianchi (leucociti).

La leucemia mieloide cronica (LMC) è un tipo specifico di anemia determinata dalla proliferazione monoclonale incontrollata di una sola cellula multipotente colpita dall’evento leucemogeno. La malattia può coinvolgere le linee mieloide, monocitica, eritroide, megacariocitica e talora anche il compartimento linfoide. Il termine “cronica” indica che la malattia ha una progressione lenta nel tempo e può rimanere asintomatica anche per anni nella sua fase iniziale.

Diffusione

La LMC è un tumore raro, con un’incidenza calcolata fra 10 e 15 nuovi casi per milione di persone per anno, 14 in Italia, dove si stima che ci siano 840 nuovi casi ogni anno e colpisce circa 2 persone (2,4 per gli uomini e 1,8 per le donne) ogni 100.000. Per quanto riguarda il sesso, il più colpito è quello maschile (rapporto M:F= 2:1). È una malattia che colpisce soprattutto in età avanzata come dimostra il fatto che meno del 30% dei casi viene diagnosticato prima dei 60 anni; la malattia è invece molto rara nei bambini (1 caso per milione per anno) e negli adolescenti (2 casi per milione per anno). La frequenza cresce con l’età, arrivando a 20-25 casi per milione per anno nella persone con più di 70 anni.

Cause

A differenza delle leucemie acute e di molti altri tumori, le cause della LMC non sono note, non sono riportabili a fattori genetici, ambientali, infettivi, o alimentari. L’esplosione atomica a Hiroshima causò un maggior numero di casi di LMC, ma l’esposizione a radiazioni di diverso tipo e diversa intensità (radiazioni ambientali, lavorative, terapeutiche), che pure sono causa riconosciuta di leucemie acute e molti altri tumori, non è generalmente considerata causa o fattore di rischio per la LMC. La LMC non è una malattia familiare, né ereditaria né trasmissibile. Non sono noti fattori di rischio che predispongano ad ammalarsi di LMC. La causa è da riscontrare in un’anomalia clonale della cellula staminale mieloide. La LMC è una delle prime malattie per cui sia stato possibile individuare una specifica anormalità cromosomica quale causa della malattia: il cromosoma Philadelphia (o Ph). Il cromosoma Ph è il risultato della traslocazione del gene Abelson (ABL) dal cromosoma 9 ad una regione del cromosoma 22 denominata regione di raggruppamento dei punti di rottura, breakpoint cluster region (BCR) in inglese, con la formazione di un gene chimera BCR/ABL. Tale difetto cromosomico è presente in circa il 95% di tutti i pazienti con LMC ma anche nel 30-50% dei pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta (ALL). Questo “errore” cromosomico porta alla formazione del gene BCR-ABL, che è responsabile della crescita incontrollata delle cellule tumorali. In una piccola percentuale di casi (circa il 5%) il gene BCR-ABL è presente anche in mancanza del cromosoma Philadelphia.

Sintomi e segni

Circa la metà dei casi sono asintomatici (cioè non presentano sintomi) e sono diagnosticati casualmente in seguito ad un esame del sangue fatto per altri motivi. Nella restante metà dei casi i pazienti lamentano sintomi, in alcuni casi piuttosto lievi ed aspecifici, in altri più gravi e specifici, come:

  • febbricola;
  • malessere generale;
  • sudorazioni profuse, specie di notte;
  • astenia (mancanza di forze);
  • facile affaticabilità;
  • dolori nella sede della milza;
  • perdita inspiegabile di peso;
  • dolore alle ossa;
  • senso di “pienezza” all’addome;
  • dolore alle articolazioni;
  • splenomegalia (milza ingrossata);
  • emorragie frequenti (frequenti i sanguinamenti di naso e gengive);
  • infezioni ricorrenti.

Da un punto di vista clinico il decorso della malattia si divide in tre fasi:

  • prima fase cronica: della durata di circa 5 anni, che attraverso l’accumulo di ulteriori mutazioni o altre lesioni genetiche
  • seconda fase intermedia di accelerazione;
  • terza fase finale (o “blastica”) di trasformazione in leucemia acuta (crisi blastica), invariabilmente fatale.

Diagnosi

La diagnosi di LMC inizia da un esame emocromocitometrico e morfologico del sangue (conta dei globuli e formula leucocitaria), in presenza o in assenza di sintomi. Il quadro tipico è quello di una leucocitosi (più di 10.000 globuli bianchi, generalmente da 25.000 a più di 200.000) con elevati granulociti neutrofili maturi e con alcune cellule mieloidi o granulocitarie immature (metamielociti, mielociti, promielociti e mieloblasti). A livello chimico si riscontra un’elevata concentrazione di LDH e di urea, a testimonianza di un’emivita cellulare breve. La diagnosi diventa certa con un esame citogenetico e un esame molecolare. L’esame citogenetico si esegue sulle cellule del midollo, che si ottengono tramite biopsia del midollo o – più spesso – agoaspirato midollare. Il midollo della LMC è molto ricco di cellule, che sono quasi tutte Ph+, cioè all’ibridazione fluorescente in situ (FISH) mostrano il cromosoma Philadelphia risultante dalla traslocazione t(9;22)(q22;q11). L’esame molecolare si esegue sulle cellule del sangue venoso, con una tecnica detta PCR (polymerase chain reaction) che scopre la presenza del gene di fusione BCR-ABL. Come prima accennato, la malattia si divide in tre fasi:

  • Fase cronica: la percentuale di blasti è inferiore al 10%, i sintomi sono assenti o molto lievi e, in genere, c’è una buona risposta alle terapie. Questa fase può durare mesi o anche anni.
  • Fase accelerata: si verifica in presenza di uno di questi criteri: la percentuale di blasti è tra il 10 e il 20%, c’è un alto numero di globuli bianchi basofili (fino al 20%), c’è un alto numero di globuli bianchi che non diminuiscono con il trattamento, il numero di piastrine molto alto o molto basso, oppure si riscontrano nuove modificazioni nei cromosomi nelle cellule tumorali. In questa fase la risposta al trattamento è meno buona.
  • Fase blastica (o fase acuta o crisi blastica): la percentuale di blasti è superiore al 20%. In questa fase la malattia si diffonde oltre il midollo e si comporta in modo più aggressivo, come accade per la leucemia acuta.

Screening

Per una diagnosi precoce, in teoria tutti dovrebbero fare un test molecolare per la ricerca di BCR-ABL, a regolari intervalli di tempo, anche quando stanno bene; considerando la rarità della malattia, e il fatto che la terapia è già molto efficace anche quando viene applicata a malattia conclamata, uno screening precoce non è applicabile.

Terapia

Da circa una decina d’anni il trattamento standard per la LMC è rappresentato dai cosiddetti farmaci intelligenti, molecole che colpiscono in modo mirato il gene BCR-ABL presente nelle cellule malate e non in quelle sane. Imatinib è il nome del capostipite di questi farmaci, che ha letteralmente rivoluzionato il trattamento della malattia e la sopravvivenza dei pazienti: si assume per via orale una volta al giorno e in genere riesce a tenere sotto controllo la malattia evitando la progressione verso la fase blastica. La terapia con Imatinib deve essere fatta per tutta la vita, ma viene di solito ben tollerata perché gli effetti collaterali sono molto lievi rispetto a quelli dei farmaci tradizionali. A volte però l’efficacia dell’Imatinib diminuisce con il tempo, e si può rimediare con farmaci “di seconda generazione” che agiscono contro lo stesso bersaglio (Dasatinib e Nilotinib). Inizialmente era possibile prescrivere questi farmaci solo dopo un primo trattamento con Imatinib, ma oggi il Nilotinib è approvato in Italia anche come trattamento iniziale. Altre molecole capaci di bloccare il gene BCR-ABL sono già disponibili in altri Paesi sono in fase di studio e approvazione anche in Italia.

Prima dell’avvento dei farmaci mirati, le prospettive di cura o di controllo della malattia per un paziente con LMC erano molto più scarse. Inizialmente il trattamento privilegiato era la chemioterapia tradizionale a basse dosi, ma il suo utilizzo si è progressivamente ridotto con l’introduzione dell’interferone, rimasto per anni il trattamento di prima scelta a partire dagli anni Ottanta, e dell’imatinib più tardi. Oggi la chemioterapia viene utilizzata se gli inibitori di BCR-ABL non funzionano o come parte della procedura che precede il trapianto di cellule staminali. La radioterapia non viene in genere utilizzata per il trattamento della LMC, ma in alcuni casi è utile per ridurre il dolore alle ossa o la dimensione degli organi ingrossati come la milza. Un ruolo simile riveste la chirurgia, che viene usata in casi estremi per rimuovere la milza quando non è possibile ridurne le dimensioni con farmaci o radiazioni. Dopo la terapia di consolidamento è possibile procedere con un trapianto di cellule staminali emopoietiche, capaci cioè di generare le cellule del sangue. La scelta di procedere con il trapianto dipende dal paziente (è adatto a pazienti più giovani), dalle caratteristiche della malattia, dai fattori prognostici e dalle disponibilità di un donatore. Le cellule staminali possono essere prelevate dal sangue o dal midollo osseo dello stesso paziente (trapianto autologo) o di un donatore (trapianto allogenico). Il trapianto autologo è raro in questo tipo di leucemia a causa del rischio di trapiantare anche cellule malate assieme a quelle sane e si ricorre quindi più spesso al trapianto allogenico. Le cellule staminali trapiantate vanno a sostituire quelle del midollo osseo originale, danneggiate pesantemente dalla chemioterapia, e cominciano a formare nuove cellule del sangue normali.

Sopravvivenza

Con l’introduzione di farmaci di ultima generazione, quali gli inibitori delle tirosin-chinasi (TKI), è cambiata radicalmente la prognosi dei malati con LMC: questi farmaci sono infatti in grado di interferire con l’interazione fra l’oncoproteina BCR-ABL1 e la fonte di energia per la replicazione cellulare (ATP) con un alto grado di selettività, bloccando così la proliferazione del clone neoplastico. Tale “target-therapy” ha cambiato profondamente la storia naturale di questa patologia, portando il tasso di sopravvivenza a 10 anni dal 20 all’80-90%.

Fattori prognostici negativi

Questi fattori predicono solitamente una prognosi meno buona:

  • paziente nella fase accelerata e blastica (in queste fasi i pazienti spesso non riescono a rispondere adeguatamente alla terapia a differenza di quelli nella fase cronica);
  • presenza di splenomegalia;
  • gravi alterazioni nel numero di globuli rossi o piastrine;
  • età > 60 anni;
  • presenza di altre patologie (diabete, ipertensione arteriosa, obesità…).

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