Epatite B: cura, trasmissione, incubazione, contagio, si guarisce?

MEDICINA ONLINE MALATTIE FEGATO EPATOPATIE AUTOIMMUNI VARICI ESOFAGEE SINTOMI PRURITO PELLE ITTERO INSUFFICIENZA RENALE ALCOL GRASSI DIABETE CISTIFELLE EPATITE A B C CIRROSI EPATICA STEAL’epatite B (in passato nota come “epatite da siero”) è una malattia infettiva del fegato causata dal virus dell’epatite B (Hepatits B Virus, HBV) che si trasmette tramite esposizione a sangue infetto o a fluidi corporei come sperma e liquidi vaginali. La malattia provoca un’infiammazione acuta del fegato e, seppur spesso asintomatica, può determinare comparsa di vomito, ittero ed altri sintomi di epatopatia, inoltre – anche se di rado – può portare alla morte del paziente, specie se anziano e/o già debilitato: l’epatite B sembra essere causa diretta o indiretta di circa 600 mila morti l’anno nel mondo. L’epatite B cronica può causare cancro al fegatocirrosi del fegato con insufficienza epaticavarici esofagee ed encefalopatia epatica. L’infezione si può prevenire con la vaccinazione.

Cause

La causa dell’epatite B è l’Hepatits B Virus (HBV), un virus appartenente alla famiglia Hepadnaviridae, che presenta un genoma a doppio filamento di DNA ed utilizza intermedi di replicazione ad RNA ricorrendo alla trascrittasi inversa, fa perciò parte dei virus del gruppo VII della classificazione di Baltimore.

Trasmissione

Il virus responsabile dell’epatite B si trasmette tramite esposizione a sangue infetto o a fluidi corporei come sperma e liquidi vaginali. Il contagio avviene generalmente tramite rapporto sessuale orale, vaginale o anale (specie se avviene con partner multipli e sconosciuti), oppure attraverso trasfusioni di sangue o emoderivati contaminati dal virus, o per tagli/punture con aghi/strumenti medici o chirurgici infetti o ancora tramite scambio di siringhe tra tossicodipendenti. La trasmissione avviene anche per via perinatale da madre a figlio. Il virus dell’epatite B è in grado di sopravvivere fino a 7 giorni nell’ambiente, tuttavia NON può essere trasmesso attraverso il contatto casuale, come per esempio il tocco delle mani, la condivisione di posate o bicchieri, l’allattamento, baci con passaggio di saliva, abbracci, tosse o starnuti. Grazie alla sua capacità di sopravvivere nell’ambiente il virus può però essere trasmesso tramite veicoli contaminati attraverso minime lesione della cute o delle mucose (spazzolini dentali, forbici, pettini, rasoi, spazzole da bagno contaminate da sangue infetto). In definitiva qualsiasi oggetto che sia stato nell’ultima settimana sporcato di sangue infetto, è una possibile fonte di infezione.

Incubazione

I sintomi, come abbiamo prima accennato, non sono sempre presenti. Per chi li sviluppa, il tempo che intercorre tra il momento dell’infezione ed il manifestarsi dei sintomi oscilla solitamente tra 45 e 180 giorni, ma si attesta quasi sempre fra i 60 ed i 90 giorni. In tale periodo, chiamato incubazione, il soggetto – pur non presentando sintomi della malattia – è tuttavia in grado di trasmettere l’infezione agli altri.

Sintomi

In alcuni casi, specie nei soggetti giovani, l’infezione è asintomatica (cioè il paziente non avverte alcun segno o sintomo della sua presenza) oppure fornisce sintomi aspecifici, come:

  • malessere generale;
  • nausea;
  • vomito;
  • diarrea.

In altri casi i sintomi possono essere più caratteristici, tra cui:

  • ittero;
  • febbre;
  • dolore addominale in corrispondenza del fegato (quadrante superiore destro);
  • segni e sintomi di insufficienza epatica (specie negli anziani).

In caso di insufficienza epatica, potrebbero verificarsi tali sintomi:

Il virus dell’epatite B è stato anche collegato allo sviluppo di glomerulonefrite membranosa.

Diagnosi

La diagnosi si ottiene grazie all’esame del sangue, attraverso la rilevazione di specifici markers virali. Le prove per la rilevazione di infezione da virus dell’epatite B prevedono analisi del siero o del sangue che rilevano entrambi gli antigeni virali (proteine prodotte dal virus) o anticorpi prodotti dal soggetto ospitante. L’interpretazione di questi test è complessa. L’antigene di superficie dell’epatite B (HBsAg) è quello più usato per individuare la presenza di questa infezione, essendo il primo antigene virale ad apparire tra quelli rilevabili. Tuttavia, all’inizio di un’infezione, questo antigene può non essere presente e può essere rilevabile soltanto più tardi. Una volta diagnosticata la presenza del virus nel sangue, se presenti segni e sintomi che indicano una grave compromissione nel fegato (più frequente negli anziani), si eseguono una serie di altre procedure, tra cui:

Tra le analisi del sangue più importanti per valutare la funzionalità del fegato, ci sono:

Decorso dell’epatite B

La storia naturale dell’infezione è completamente diversa a seconda che l’infezione venga contratta nella prima infanzia, nel qual caso si assiste a una percentuale di cronicizzazione in oltre il 90% dei casi, o in età adulta. In quest’ultimo caso la guarigione avviene in oltre il 90% dei casi. La guarigione si manifesta dal punto di vista laboratoristico con la scomparsa della proteina HBsAg e con la comparsa di un livello di anticorpi contro questa proteina, detti HBsAb, protettivo, cioè maggiore di 10 mUI/mL. La persistenza dell’HBsAg, e quindi dell’infezione, oltre 6 mesi definisce lo stato di epatite B cronica. La presenza dell’anticorpo HBeAb e di una bassa carica virale nel sangue trasforma il soggetto da un paziente con epatite B attiva a un “portatore inattivo”, non capace di infettare altri soggetti, ma comunque a rischio di possibile futura riattivazione virale, e in una situazione minimamente evolutiva se non per nulla evolutiva. A questo punto, dopo la comparsa dell’HBeAb e lo spegnimento del processo epatitico si possono verificare due circostanze:

  • Nel primo caso il soggetto può sviluppare anche l’anticorpo contro la proteina HBsAg (HBsAb) e quindi guarire. Questo avviene soprattutto entro i primi 6 mesi dall’infezione (ma non solo) ed è il meccanismo attraverso cui la maggior parte dei soggetti affetti guarisce.
  • Nel secondo caso il soggetto può restare anni nello stato di portatore cronico inattivo. Tuttavia la pressione selettiva esercitata dal sistema immunitario attraverso l’HBeAb può indurre il virus a mutare. Il nuovo ceppo virale mutante impara a replicare senza esprimere l’HBeAg ma attraverso altre vie non ancora note. Questo ceppo è responsabile del ritorno del soggetto dallo stato di portatore inattivo allo stato di soggetto epatitico cronico con epatite attiva, caratterizzata dal nuovo incremento della viremia, cioè dell’HBV-DNA nel sangue, nonostante la permanenza dell’anticorpo antiHBe.

Vaccino

Il vaccino attualmente in uso è prodotto con tecniche di ingegneria genetica, si è dimostrato sicuro ed efficace e fornisce immunità di lunga durata. In Italia, dal 1991 la vaccinazione è obbligatoria per tutti i nuovi nati e, fino al 2003, lo è stata anche per gli adolescenti a 12 anni, e fortemente raccomandata per i gruppi di popolazione a maggior rischio d’infezione (tossicodipendenti, conviventi di portatori cronici, personale sanitario, ecc).

Prevenzione

Oltre al vaccino, altre misure preventive comprendono il minimizzare il rischio di contagio, tramite:

  • elevata igiene di oggetti potenzialmente contaminati;
  • evitare oggetti e posti contaminati;
  • evitare l’uso di siringhe usate da altre persone;
  • evitare il contatto con sperma o secrezioni vaginali, specie in caso di partner multipli e sconosciuti.

Terapia

L’infezione acuta da epatite B generalmente non richiede un trattamento poiché la maggior parte degli adulti è in grado di eliminare l’infezione spontaneamente. Il precoce trattamento antivirale può essere utile solo per meno dell’1% dei pazienti, il cui contagio avviene con un decorso molto aggressivo (epatite fulminante) oppure per soggetti immunocompromessi. In caso di presunta infezione, il prima possibile e preferibilmente entro 24-72 ore si può eseguire una profilassi passiva con iniezioni di immunoglobuline anti-HBV ovvero anticorpi diretti contro il virus e cominciare la vaccinazione completa. D’altra parte, il trattamento dell’infezione cronica può rendersi necessario per ridurre il rischio di cirrosi e cancro al fegato. Gli individui con infezione cronica che presentano elevati valori di alanina transaminasi, un marker di danno epatico, sono candidati alla terapia. Nei pazienti che presentano elevata carica virale e malattia epatica grave il trattamento farmacologico è raccomandato anche se i livelli di ALT rientrano nella norma. Anche se nessuno dei farmaci attualmente disponibili può eliminare l’infezione, alcuni possono bloccare la replicazione del virus, riducendo così al minimo i danni al fegato. Attualmente, ci sono sette farmaci autorizzati per il trattamento dell’infezione da virus dell’epatite B. Questi includono i farmaci antivirali: lamivudina (Epivir), adefovir-dipivoxil (Hepsera), tenofovir (Viread), la telbivudina (Sebivo), entecavir (Baraclude) e i modulatori del sistema immunitario interferone α-2a e peginterferone α-2a (Pegasys). L’uso di interferone, che richiede iniezioni giornaliere o almeno di tre volte alla settimana, è stato soppiantato dall’azione prolungata dell’interferone pegilato che viene iniettato una sola volta alla settimana. Tuttavia, alcuni individui risultano essere molto più propensi a rispondere rispetto ad altri alla terapia e questo potrebbe essere dovuto al diverso genotipo del virus o alla storia del paziente. Il trattamento riduce significativamente la replicazione virale nel fegato e riduce così la quantità di particelle virali misurate nel sangue. I bambini nati da madri malate di epatite B possono essere trattati con anticorpi del virus dell’epatite B (HBIg). Se gli anticorpi vengono somministrati entro dodici ore dalla nascita, il rischio di contrarre l’epatite B viene ridotta del 90%. La terapia consente inoltre a una madre di allattare il suo bambino in modo sicuro.

In caso di grave compromissione del fegato, l’unico trattamento possibile è generalmente il trapianto di fegato.

Consigli

Estremamente utile, per il paziente, può essere il condurre uno stile di vita sano, seguendo questi consigli:

  • diminuire il peso corporeo se obesi o sovrappeso;
  • abbassare il livello di trigliceridi;
  • alimentarsi in modo adeguato;
  • svolgere adeguata attività fisica;
  • smettere di fumare;
  • smettere di bere alcolici;
  • assumere minori quantità di grassi o carboidrati, ad esempio con dieta ipolipidica o ipoglucidica;
  • controllare il diabete e/o l’ipertensione, se presenti.

Per approfondire: Dieta per le malattie del fegato: cibi consigliati e consigli

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