Esame della vista (misurazione della acuità visiva): come si svolge, a che serve

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Tabella di Snellen tradizionale per valutare l’acutezza visiva morfoscopica

Cos’è l’acuità visiva?

Con “acuità visiva”, o “visus”, in medicina si indica la capacità degli occhi di percepire dettagli fini di un oggetto e dipende direttamente dalla nitidezza dell’immagine proiettata sulla retina. Viene misurata generalmente nel corso di una visita oculistica. Tecnicamente l’acuità visiva è la misurazione dell’angolo minimo sotto cui devono essere visti due punti separati; l’angolo minimo preso in considerazione è un primo (ossia un sessantesimo di grado). In parole semplici, l’acuità visiva è la misura della capacità di una apparato visivo di distinguere due punti vicini come separati: quanto più si percepiscono distinti due punti vicini, maggiore sarà l’acuità visiva, al contrario quando due punti vicini si percepiscono come un punto unico, il visus sarà ridotto. In realtà esistono vari tipi di acuità visiva.

Tipi di acutezza visiva e test

L’acutezza visiva viene comunemente intesa come la capacità di distinguere delle lettere più o meno piccole poste su una tavola ad una certa distanza (3 o 5 metri), ma in realtà esistono varie tipologie di acutezza visiva:

  • minimo visibile o acutezza di visibilità: è il più piccolo angolo visivo entro il quale l’occhio riesce a distinguere la presenza o meno di uno stimolo: se un elemento sottende un angolo visivo inferiore al minimo visibile, non vi sarà nessuna percezione. Il test più comune per misurare il minimo visibile consiste nel variare la grandezza di una linea nera o di un puntino su uno sfondo bianco presentando quindi il massimo contrasto. L’angolo sotteso dalla linea o dal puntino sarà il minimo visibile;
  • acutezza di risoluzione o minimo angolo di risoluzione: è la più piccola distanza tra due linee affinché vengano percepite come due oggetti separati. Il minimo risolvibile presenta valori molto maggiori rispetto al minimo visibile. Nell’occhio normale l’acutezza di risoluzione è di circa 35-50 secondi d’arco. Per quantificare questo tipo di acutezza visiva si possono utilizzare simboli specifici come le “C” di Landolt, che sono cerchi con una spaccatura che può assumere diversi orientamenti. Al soggetto è richiesto di localizzare la spaccatura della lettera. Il sistema elettivo per determinare l’acutezza di risoluzione è l’uso di griglie ad onda quadra a diverso orientamento e risoluzione;
  • acuità di allineamento o localizzazione (superacuicità): è il minimo spostamento spaziale percepibile tra due figure. Il valore medio di questo tipo di acutezza è molto elevato: circa 4-5 secondi d’arco;
  • acutezza visiva morfoscopica o di riconoscimento: è il tipo di acutezza visiva più utilizzata; esprime la capacità di riconoscere una determinata forma tra tante possibili (discriminazione), come ad esempio una lettera dell’alfabeto. La tabella che rappresenta i diversi simboli con diverse grandezze viene definita tavola ottotipica o tabella ottotipica e ogni simbolo viene definito ottotipo.
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“C” di Landolt

Come si misura l’acuità visiva?

L’acuità visiva viene misurata da un medico oftalmologo (oculista) grazie alla misurazione della acuità visiva, comunemente chiamata “esame della vista”. Il visus viene misurato mediante gli ottotipi, ossia lettere e/o simboli con grandezza progressivamente decrescente. L’ottotipo deve essere posizionato a un distanza minima di tre metri. Il tabellone su cui sono stampate le lettere/simboli si definisce tavola o tabella ottotipica.

Perché è importante sottoporsi ad un esame della vista?

Perché si può capire quali vizi refrattivi siano presenti (ipermetropia, miopia e astigmatismo), se ci sia una presbiopiaoppure se siano presenti patologie oculari in senso stretto (cataratta, maculopatie, ecc.).

Acuità visiva normale

L’acuità visiva considerata normale è di 10/10 (Monoyer), 20/20 (Snellen), 1.0 (Decimale) o 0.0 (logMAR): tale valore si ottiene quando l’angolo minimo che si apprezza almeno da tre metri è, appunto, un primo, tuttavia l’acuità visiva può essere superiore a 16/10 od oltre. L’acuità visiva non esprime né il difetto visivo né la sua entità, infatti possiamo avere un visus corretto di 10/10 anche con un difetto di vista. La misurazione dell’acuità deve essere effettuata sia ‘naturale’, cioè senza correzioni con lenti e sia con correzione. Si distingue, quindi, un visus naturale e uno corretto. Ad esempio, in un soggetto che ha 7/10 (con una correzione di 5 diottrie di miopia) la massima acuità visiva gli consente, portando gli occhiali, di leggere a 7 metri quello che una persona che non porta occhiali (emmetrope) legge a una distanza di 10 metri. Per capire come vede un miope basta usare una macchina fotografica con l’obiettivo e metterla fuori fuoco.

La giusta lente permette sempre di raggiungere i 10/10?

Tale situazione non si verifica sempre, ma ciò è relativamente meno importante: quello che si deve ricercare è la lente del giusto potere: per far sì che i raggi luminosi cadano a fuoco sulla retina si ottiene cosi quello che gli anglosassoni definiscono la BCVA (Best Corrected Visual Acuity), cioè la massima acuità visiva corretta che l’occhio in esame può esprimere. Questo dipende da molti fattori: grado di trasparenza dei mezzi diottrici (cornea, cristallino, corpo vitreo), aberrazioni ottiche dei mezzi stessi, funzione foveale (corretto funzionamento della zona centrale della retina), integrità delle vie ottiche e corretto sviluppo della funzione della corteccia cerebrale deputata alla visione (circa un terzo della superficie corticale, soprattutto a livello occipitale).

Altri esami associati

All’esame, in base alla patologia, possono essere associate altre indagini diagnostiche, tra cui:

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