Con “‘ipovisione” in medicina si indica una condizione di deficit dell’acutezza visiva causata da vari fattori congeniti (già presenti alla nascita) o acquisiti; il soggetto che possiede tale condizione prende il nome di “ipovedente“. Tale condizione può essere più o meno grave ed essere temporanea o cronica. Un certo grado di ipovisione è normale negli anziani. Come intuibile, essendo la vista un importante strumento di interazione del corpo umano con il mondo esterno, l’ipovisione – se grave – comporta notevoli conseguenze sulla vita quotidiana del paziente. L’ipovisione molto grave corrisponde alla “cecità” in cui il paziente viene definito “non vedente“.
In base alla gravità del deficit della acuità visiva, l’ipovisione può essere:
- ipovisione lieve: residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con correzione; residuo perimetrico binoculare inferiore al 60%;
- ipovisione moderata: residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con correzione; residuo perimetrico binoculare inferiore al 50%;
- ipovisione grave: residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con correzione; residuo perimetrico binoculare inferiore al 30%.
In base alle definizioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità):
- una persona è cieca quando l’acuità visiva corretta nell’occhio migliore è inferiore a 1/20
- una persona è ipovedente quando l’acuità visiva corretta nell’occhio migliore è compresa tra 3/10 e 1/20.
Nell’ambito di tale distinzione sono state definite cinque categorie (International Classification of Diseases – 9th revision). La prima e la seconda riguardano l’ipovedente:
- 1a categoria = visus 3/10-1/10;
- 2a categoria = visus 1/10-1/20;
Le altre tre categorie riguardano, invece, il soggetto cieco:
- 3a categoria = visus 1/20-1/100;
- 4a categoria = visus 1/100-P.L. (Per Lontano);
- 5a categoria = visus spento.
In Italia il concetto legale di cecità-ipovisione è stato ridefinito con la Legge n. 138 del 3 aprile 2001, sulla Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici, prevede:
ART. 1 La presente legge definisce le varie forme di minorazioni visive meritevoli di riconoscimento giuridico, allo scopo di disciplinare adeguatamente la quantificazione dell’ipovisione e della cecità secondo i parametri accettati dalla medicina oculistica internazionale. Tale classificazione di natura tecnico-scientifica, non modifica la vigente normativa in materia di prestazioni economiche e sociali in campo assistenziale. [Ministero della salute 21/09/04] Con la seguente circolare si modifica l’articolo 1 della legge 138: “… le definizioni dettate dalla legge n.138 del 2001 debbano ora essere prese in considerazione in ogni ambito valutativo del danno funzionale a carico dell’apparato visivo e, quindi, anche in sede di accertamento della cecità per causa civile ai fini della concessione dei relativi benefici, sia a carattere economico che socio assistenziale…”.
ART. 2 (Definizione di ciechi totali) Ai fini della presente legge, si definiscono ciechi totali: a) coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi; b) coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; c) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3%.
ART. 3 (Definizione di ciechi parziali) Si definiscono ciechi parziali: a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10%.
Per approfondire:
- Ipovisione centrale e periferica: significato, cause, cure
- Cecità: definizione, cause, normativa italiana, invalidità
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