Sviluppo del linguaggio nel bambino: le tappe dal pianto alla lallazione e alle parole

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Lo sviluppo fonologico nei bambini, ovvero l’acquisizione dei suoni della propria lingua, avviene in due fasi: il periodo prelinguistico e quello dell’articolazione della parola. Fin dai primi momenti della vita del bambino, la madre (o qualsiasi adulto se ne prenda cura) impara ad attribuire un significato ai suoi vari comportamenti, cercando di fornire di volta in volta la risposta più adatta. Nel primo mese di vita i bambini producono prevalentemente suoni di tipo “vegetativo” come pianti, sospiri, deglutizioni, eruttazione, starnuti eccetera, ma già verso i due mesi di vita cominciano a sperimentare vocalizzazioni diverse. Tanto i suoni vegetativi quanto le primissime vocalizzazioni sollecitano una forte interazione con la madre: per esempio, tutte le volte in cui un bambino piange, la mamma risponde prontamente dandogli il ciuccio, oppure prendendolo in braccio, pulendolo, cambiandone la posizione nel lettino, accarezzandolo eccetera: ciò rappresenta la fase prelinguistica. Si può affermare, comunque, che durante i primi mesi di vita il comporta- mento del bambino (suoni, gesti, smorfie, timide vocalizzazioni), pur trasmettendo informazioni precise, non è ancora intenzionalmente comunicativo, ma tende per lo più a rappresentare stati di disagio o di benessere. Le prime tracce di linguaggio si presentano nel rapporto con la madre o con altri adulti quando il bimbo si accinge a emettere suoni vocalici, detti tecnicamente cooing, ovvero “suoni simili al tubare”. Verso i quattro mesi comincia a pronunciare le prime consonanti (gh, k, m, n, p, d).

Lallazione

Grazie al continuo esercizio d’imitazione dei suoni da loro stessi prodotti e grazie anche alla continua interazione con la mamma, verso i sette mesi i bambini cominciano a pronunciare le prime sillabe o sequenze di sillabe. È questa la fase della “lallazione” o balbettio, caratterizzata da un primo momento in cui i piccoli pronunciano vocali semplici unite a consonanti (ma, na, da) e da una seconda fase (lallazione vera e propria) in cui, grazie a un accresciuto controllo, lo stesso suono viene ripetuto più volte (ma-ma-ma). La lallazione, che si manifesta anche nei bambini sordi, è un momento fondamentale, perché grazie a essa il bambino esplora e amplia le proprie conoscenze del mondo. È bene ripetere, comunque, che, durante i primi mesi di vita l’imitazione del linguaggio è generalizzata, nel senso che i piccoli non riproducono suoni speci-fici: piuttosto si cimentano nella ripetizione della loro attività di produzione, facendo eco alle frasi pronunciate dagli adulti (ecolalia). È verso i sei mesi che ha inizio l’imitazione vera e propria dei suoni pronunciati dagli altri, e solo intorno agli undici mesi il bambino riuscirà a pronunciare brevi composizioni sillabiche a cui gli adulti attribuiscono un significato, che permette di avviare la prima, vera comunicazione. La comunicazione intenzionale compare dunque intorno agli otto mesi, quando il piccolo impara a formulare una richiesta (per esempio, fa capire all’adulto che vuole “quel” giocattolo) e comincia a coinvolgere l’adulto in qualche sua attività (prevalentemente di gioco). Con la comparsa delle prime parole si entra nel periodo linguistico vero e proprio, in cui i bambini cercano sempre più spesso- di ripetere le parole che sentono, assegnandovi un significato. Inizialmente una sola parola assume il significato di una frase intera, per esempio «pappa» vuol dire «dammi la pappa», ed è il contesto che aiuta molto gli adulti a capire che cosa il bambino voglia comunicare: per esempio, se sono passate molte ore dall’ultima volta che ha assunto cibo, è probabile che il bimbo abbia fame.

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L’importanza degli adulti

Il ruolo degli adulti è fondamentale per l’evoluzione del linguaggio nei bambini. Le strategie utilizzate dai grandi possono essere diverse: molti genitori utilizzano parole più semplici ed enfatiche di quelle usate con gli adulti (baby talk); altri, invece, ripetono più volte la pronuncia corretta della parole e approfittano di ogni occasione per ampliare e puntualizzare il significato dei termini o delle espressioni utilizzate dai bambini; per esempio, se vedendo una scarpa il piccolo dice «pappa», la mamma può ripetere: «è la tua scarpa, è rossa, la mettiamo al piede?»). L’importanza del supporto fornito dagli adulti nelle varie fasi dello sviluppo linguistico è stata sottolineata dalle teorie del grande psicologo sovietico Lev Semënovič Vygotskij (Orša, 5 novembre 1896 – Mosca, 11 giugno 1934), secondo le quali i bambini affinano le proprie capacità e abilità linguistiche grazie alla continua interazione con persone più esperte.

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Lo sviluppo del linguaggio

Nei primi tre anni di vita lo sviluppo del linguaggio rappresenta uno degli ambiti in cui i bambini compiono i passi avanti più rilevanti e sbalorditivi, tanto a livello di acquisizione di parole e frasi, quanto a livello di comprensione del linguaggio stesso. Secondo le tesi dello psicologo statunitense Burrhus Frederic Skinner, attivo nella seconda metà del 900 e noto esponente del Comportamentismo, le abilità e le capacità linguistiche vengono apprese dai bambini attraverso i classici meccanismi dell’apprendimento: l’imitazione, il rinforzo e il condizionamento. Secondo questa teoria, alla base dell’apprendimento si trova il meccanismo del rinforzo, positivo o negativo: un bambino imita una parola, la ripete nel modo corretto e viene ricompensato in qualche modo, per esempio con un sorriso, una caramella, una carezza, il dono dell’oggetto corrispondente alla parola stessa, e così via, oppure viene sgridato e punito se sbaglia. Secondo Skinner, sarebbe proprio questa associazione suono-sorriso o suono-oggetto a permettere l’apprendimento attraverso un processo di rinforzo positivo (premio, ricompensa) verso l’atteggiamento giusto; il bambino impara invece qual è l’errore utilizzando l’associazione inversa e ricevendone un castigo. Parlando dello sviluppo del linguaggio non possiamo non citare il linguista americano contemporaneo Noam Chomsky, che, con i suoi studi, ha dato un enorme contributo alla comprensione di come nascono e si sviluppano le capacità linguistiche. Secondo Chomsky il linguaggio è un’abilità basata su meccanismi innati e specifici, propri solo all’uomo. Il cervello sarebbe dotato di un “apparato di acquisizione del linguaggio” in grado di elaborare i dati linguistici in entrata, di costruire regole di articolazione, e quindi di comprendere e produrre un linguaggio conforme alle regole grammaticali della lingua di appartenenza. L’approccio più diffuso oggi è quello che tiene conto della ricchezza e della complessità della funzione linguistica in generale, e riconosce in essa il contributo di strutture e meccanismi che riguardano diverse abilità umane: cognitive, percettive, affettive e sociali.

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La comunicazione non verbale

In questa sede è utile fare un breve accenno anche alla comunicazione non verbale. L’uomo, grazie all’uso della parola, e quindi della comunicazione verbale, trasmette una grande quantità d’informazioni. Tuttavia esiste un altro modo attraverso il quale è possibile comunicare con gli altri: la comunicazione non verbale. A questa forma di linguaggio, più antica e istintiva della stessa parola, appartengono la gestualità, la mimica, il contatto corporeo e la postura. Molti messaggi trasmessi attraverso queste modalità sono inconsci, quindi possono essere non intenzionali ma proprio per questo vere ed autentiche. Si pensi alle espressioni del volto che riflettono all’esterno le emozioni (sorriso, sguardo triste, ciglia aggrottate). oppure agli occhi, che possono cogliere tutti i segnali non verbali del nostro interlocutore, ma anche comunicare interesse e attenzione (si pensi all’espressione: «ti guardo dritto negli occhi»). Il contatto fisico è considerato anch’esso una forma di comunicazione: basti pensare al benessere che provano i bambini nell’essere accarezzati e toccati dolcemente dalle madri. Una forma di comunicazione disfunzionale, che può causare cioè un’alterazione nell’equilibrio psicofisico soprattutto nei bambini, è rappresentata dall’incoerenza tra messaggi verbali e non verbali. Per esempio, una mamma che dice al figlio di essere contenta di giocare con lui, ma comunica poi con i gesti e con lo sguardo messaggi contraddittori (come noia), crea nel bambino una confusione emotiva che, se prolungata nel tempo, può essere fonte di problemi psicologici.

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