Psicologia del lavoro, psicotecnica ed effetto Hawthorne: storia e significato

MEDICINA ONLINE LAVORO PC WORK WORKING OFFICE UFFICIO IMPIEGO OCCUPAZIONE PSICOLOGIA DISOCCUPAZIONE NUOVI LAVORI SOLDI COMPUTER PROGRAMMA APP SOCIAL STUDIO APPUNTI WORD.jpgLa psicologia del lavoro nasce tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, grazie all’interesse manifestato da alcuni scienziati statunitensi per gli aspetti fisici e psichici del lavoro umano. Essa si prefigge di studiare le condizioni lavorative dell’uomo dal punto di vista psicologico, considerandone gli aspetti cognitivi ed emotivi. Tale disciplina vuole comprendere quali fattori dell’ambiente lavorativo nuocciano all’equilibrio psicofisico delle perso.ne, quali sia possibile migliorare, quali sia invece più utile eliminare. Inoltre, la psicologia del lavoro si occupa dei rapporti all’interno di un gruppo di lavoro, dei rapporti tra gruppi, della struttura organizzativa di un’azienda, del sistema di regole e del sistema di direzione. Tutti gli aspetti sopra menzionati sono studiati secondo un’ottica d’intermediazione tra l’uomo e l’ambiente lavorativo in cui è inserito.
La psicologia del lavoro intende studiare e migliorare le condizioni lavorative all’interno delle organizzazioni, motivare i soggetti affinché siano più produttivi, rispettandone la dignità, la salute fisica e psichica e le capacità, nell’interesse del singolo lavoratore e delle aziende. Dal punto di vista psicologico, emerge che il lavoro gioca un ruolo assai rilevante nella vita delle singole persone. A questo proposito si possono distinguere nella psicologia del lavoro due approcci di studio: da un lato, quello secondo cui le persone rifiutano di fare del lavoro la principale fonte di significato e di organizzazione della propria vita; dall’altro, la tesi secondo la quale esso è un insostituibile strumento di valutazione di sé e di autostima sociale.

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Storia della psicologia del lavoro e psicotecnica

Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, la psicologia del lavoro nasce fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, prendendo le mosse dalla cosiddetta “psicotecnica”.
Il concetto di psicotecnica, introdotto negli Stati Uniti dallo psicologo tedesco Hugo Munsterberg (1863-1916), consiste nell’applicazione pratica della psicologia ai problemi concreti, individuali o collettivi, che possono riguardare tutti gli aspetti del comportamento umano e delle possibilità di intervento in vari ambiti per migliorare le condizioni di vita dell’uomo. Tale disciplina di studi ha visto le sue prime applicazioni alla fine dell’Ottocento con la Psychological Corporation, la prima organizzazione nordamericana nata per lo studio dei problemi di psicologia applicata alla scuola e all’industria. In Italia la psicotecnica ha avuto un notevole sviluppo tra le due guerre mondiali, soprattutto a opera di Agostino Gemelli (1878-1959), nel settore dell’esercito, successivamente nella scuola e nel mondo del lavoro. Attualmente la psicotecnica o psicologia applicata copre numerose aree di studi:

  • psicologia del lavoro;
  • psicologia clinica;
  • psicologia dell’educazione o psicopedagogia;
  • psicologia forense.

Si riconoscono due orientamenti di studio alla base di questa disciplina: da un lato, quello secondo cui è opportuno intervenire sugli individui per armonizzarli con l’ambiente, dall’altro quello secondo il quale è invece necessario cambiare le strutture dell’ambiente in funzione degli individui. Inizialmente la psicotecnica si occupa della psicologia applicata a vari ambiti: il lavoro, il settore sociale, quello giudiziario ed educativo. Più tardi, il termine viene usato prevalentemente nell’ambito del lavoro.
In quest’ultimo settore, la psicotecnica cerca di limitare le conseguenze psicofisiche della fatica, modificando i metodi di lavorazione, semplificando le attrezzature e riducendo le fasi lavorative per rendere l’esecuzione quasi automatica e alleggerire l’impegno fisico e mentale dell’individuo. Un successivo obiettivo di tale disciplina è quello di selezionare i lavoratori più idonei di altri a certe mansioni in base alle loro caratteristiche psicofisiche.

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Psicologia “industriale”

Il termine “psicologia del lavoro” comincia a diffondersi agli inizi del Novecento, in seguito a un curioso equivoco. Nel 1904, quando ancora le comunicazioni dipendevano dalla trasmissione per telegrafo, uscì un articolo di stampa in cui si parla della necessità di rinforzare le capacità dei telegrafisti nella trasmissione e ricezione dei messaggi in codice Morse. Nella stampa del suddetto articolo l’autore scrive per errore psicologia industriale al posto di psicologia individuale. In tal modo il termine usato erroneamente comincia a diffondersi e a identificare un settore di studi; più tardi tale  definizione è stata sostituita da psicologia del lavoro, che è entrata definitivamente nel linguaggio usuale.
Nel corso del Novecento, la psicologia del lavoro negli Stati Uniti attraversa
diverse fasi di sviluppo. Agli inizi del secolo l’ingegnere statunitense Frederick W. Taylor (1856-1915) introduce il concetto di Scientific Management, ovvero il metodo dell’organizzazione scientifica del lavoro, imperniato sullo studio dei tempi impiegati a compiere una mansione e sulla scansione dei movimenti lavorativi.  Nel 1911 introduce il principio di Task management, termine che letteralmente significa “direzione per funzioni”. Secondo l’ideatore del suddetto principio, il lavoro all’interno di un’azienda dovrebbe prevedere una distinzione fondamentale tra funzioni direttive e funzioni esecutive. Inoltre, per garantire un’organizzazione scientifica del lavoro manuale, al lavoratore viene chiesto di eseguire un compito secondo tempi e modi stabiliti dall’azienda, senza manifestare alcuna iniziativa autonoma. Unico incentivo per l’operaio è quello economico sotto la forma della cosiddetta “retribuzione a cottimo”: più una persona è in grado di produrre. più il guadagno è elevato. È evidente quanto quest’ottica sia riduttiva e poco gratificante per la persona, considerata e trattata come appendice di una macchina. Inoltre, questa visione non permette lo sviluppo della specializzazione lavorativa, ma favorisce la standardizzazione, ovvero l’uniformità dei gesti lavorativi a un modello indicato dall’azienda, e l’insorgere di disturbi psicofisici nell’individuo, come la demotivazione verso il lavoro e una diminuzione di autostima.

Polivalenza funzionale

Un secondo approccio all’organizzazione lavorativa viene introdotto, contemporaneamente a Taylor, dall’ingegnere francese Henry Fayol (1841-1925). Se Taylor ipotizza una separazione tra direzione ed esecuzione, Fayol invece parla di polivalenza funzionale delle capacità umane, ovvero prevede la possibilità di addestramento della direzione, focalizzando l’attenzione sui vertici dell’organizzazione. Agli inizi del Novecento, prendendo spunto dagli sperperi presenti nell’azienda presso la quale lavora, studia la sua organizzazione, dividendo i lavoratori in sei gruppi di funzioni: tecniche, commerciali, finanziarie, di sicurezza, contabili e amministrative. Si interessa in particolare a queste ultime, sottolineando l’importanza della cultura come elemento di formazione dei dirigenti e del coordinamento fra i vari settori aziendali. Egli propone un modello ancor oggi presente in molte aziende moderne, detto line and staff, letteralmente una linea organizzativa di tipo gerarchico e un personale. Fayol ritiene che ci debba essere una linea che si occupa dei normali compiti di produzione e uno staff che si preoccupa di supportare il lavoratore rispetto a problemi specifici. Tale modello non è esente da critiche: esso non considera i fenomeni psicologici del comportamento organizzativo né l’influenza dell’ambiente, ma presenta il pregio di garantire l’efficienza dell’azienda. In seguito, fra gli anni Venti e Trenta, il ricercatore australiano Elton Mayo (1880-1949) e un gruppo di suoi collaboratori della cosiddetta “scuola delle Relazioni Umane” condussero una serie di ricerche presso la Western Electric Company di Chicago che portarono alla scoperta dell’influenza delle interazioni sociali sul lavoro. L’interesse dei ricercatori e l’attenzione verso il gruppo di lavoro portarono a un aumento della sua produttività (effetto Hawthorne), più tardi studiata dallo psicologo tedesco Kurt Lewin (1890-1949) e dal Tavistock Institute di Londra. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, inoltre si sviluppa lo studio delle organizzazioni. In Italia la psicologia del lavoro nasce nel mondo delle università e nei laboratori psicofisiologici, non soltanto per merito di psicologi: infatti, verso il 1880, fra i primi studiosi di quest’area troviamo il fìsiologo Angelo Mosso (1846-1910), docente all’Università di Torino. Durante la Prima guerra mondiale, la psicologia in Italia, come negli Stati Uniti, in Francia e Inghilterra si concentra sull’attività bellica. Nascono così i servizi di selezione psicologica presso le Forze Armate di cui lo psicologo Agostino Gemelli (1878-1959) è il primo consulente.

Effetto Hawthorne

L’espressione “effetto Haunhorne” prende il nome dallo stabilimento presso il quale sono state condotte le ricerche di Elton Mayo. Con esso si intende il mutamento di comportamento immediatamente conseguente a una condizione di novità. In tempi successivi, il mutamento diminuisce gradualmente fino a scomparire, non appena si esaurisce l’effetto della novità. In particolare, le ricerche condotte da Mayo fanno emergere l’importanza dei fattori umani. L’armonia e il morale del gruppo, oppure l’interessamento alle persone da parte dei dirigenti, possono costituire uno strumento di motivazione più efficace dell’incentivo economico.

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