Malattia granulomatosa cronica: causa, trasmissione, sintomi, cura

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MLa “malattia granulomatosa cronica” è una rara patologia genetica che può essere trasmessa sia in modalità autosomica recessiva che legata al cromosoma X. E’ una immunodeficienza primitiva caratterizzata dall’incapacità di alcuni globuli bianchi di difendere l’organismo dalle infezioni da parte di funghi e batteri e perciò si manifesta fin dall’età pediatrica con un’estrema suscettibilità del paziente a questo tipo di infezioni, che possono colpire numerosi organi e tessuti, tra cui pelle, ossa, polmoni, fegato, milza e linfonodi. Spesso la patologia determina una cronica formazione di granulomi (ammassi di tessuto infiammato), che si possono sviluppare in qualunque parte del corpo, da cui il nome della malattia. Tale condizione è stata descritta per la prima volta nel 1957.

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Causa e trasmissione

La malattia è causata da difetti in un gruppo di proteine che partecipa all’uccisione dei microbi. Sono stati finora identificati quattro geni coinvolti. Nel 60% dei casi, il gene-malattia è localizzato sul cromosoma X: donne portatrici sane hanno quindi una probabilità su due di avere figli maschi malati.

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Gli altri geni coinvolti sono localizzati invece su cromosomi non sessuali e la trasmissione è di tipo autosomico recessivo. Una malattia è detta a trasmissione autosomica recessiva quando l’allele alterato deve essere presente in coppia (omozigosi), cioè sono necessarie due copie dell’allele difettoso per far sì che la malattia si esprima, a prescindere dal sesso. Non basta un solo genitore portatore sano o malato, bensì entrambi i genitori devono essere portatori sani o malati. Il fenotipo quindi si esprime quando nel genotipo dell’individuo sono presenti entrambi gli alleli responsabili, fatto che spiega l’alta probabilità di sviluppare malattie genetiche in caso di incesto. Quindi:

  • un individuo che possegga entrambi gli alleli alterati: è portatore ed è malato;
  • un individuo che possegga solo un allele alterato: è portatore ma è sano;
  • un individuo che non possegga nessun allele alterato: NON è portatore ed è sano.

Essere portatore sano vuol dire quindi NON avere la patologia ma possedere nel proprio genotipo un allele mutato, che può essere trasmesso alle generazioni successive.

Dalla combinazione delle possibili condizioni di genitori sani, malati e portatori sani, deriva la distribuzione probabilità che la malattia sia trasmessa ai figli:

  • genitori malato-malato: la probabilità che il figlio/a nasca malato è del 100%;
  • genitori sano-malato: la probabilità che il figlio/a nasca portatore sano è del 100%;
  • genitori malato-portatore sano: la probabilità che il figlio/a nasca malato è del 50% e del 50% che nasca portatore sano;
  • genitori sano-portatore sano: la probabilità che il figlio/a nasca sano è del 50% e del 50% che nasca portatore sano;
  • genitori portatore-portatore: la probabilità che il figlio/a nasca portatore sano è del 50% mentre è del 25% che nasca sano o malato.

Se nessuno dei genitori ha un allele mutato, non c’è ovviamente alcuna trasmissione autosomica recessiva ed i figli saranno tutti sani e NON portatori dell’allele mutato.

La maggior parte dei casi sono causati da mutazioni del cromosoma X che determinano un malfunzionamento delle cellule del sistema immunitario innato, le quali hanno difficoltà a formare i componenti necessari quali il superossido e altri radicali liberi dell’ossigeno, per il deficit di un enzima, la NADPH ossidasi fagocitica (PHOX). Questo enzima viene utilizzato dai Macrofagi e dai Neutrofili (e anche dagli Eosinofili) per produrre radicale superossido a partire dall’ossigeno. Il radicale superossido è convertito poi in perossido di idrogeno (acqua ossigenata) dalla superossido dismutasi (SOD) e quest’ultimo in derivati alogenati, come l’ipoclorito (principio attivo della candeggina), ad opera della mieloperossidasi (MPO), altro enzima presente nei fagociti. La produzione di questi radicali, tossici tanto per i microbi, quanto per le cellule dell’organismo, avviene all’interno dei fagolisosomi, in modo da ridurre al minimo la dispersione nei tessuti di queste molecole altamente reattive (una certa quota di radicali è comunque liberata). È quindi evidente come un deficit a carico dell’enzima che innesca tutto il processo di produzione di radicali, ovvero l’Ossidasi Fagocitica (NADPH-Ossidasi), determini un grave deficit nella funzione di killing fagocitico Ossigeno-dipendente. Infatti i radicali sono lo strumento più efficace che l’immunità innata ha a disposizione per uccidere i microbi. Certi batteri producono essi stessi perossido di idrogeno. I batteri che producono tale molecola, ma che sono privi di catalasi, enzima in grado di distruggerla, sono suscettibili all’uccisione anche nei soggetti affetti da deficit della NADPH-Ossidasi. Tutti gli altri batteri, invece, risultano resistenti all’uccisione, e instaurano infezioni persistenti che inducono una risposta di tipo granulomatoso. L’organismo comincia quindi a sviluppare una gran quantità di granulomi nelle sedi più disparate. I granulomi sono costituiti da macrofagi, molti dei quali fusi tra loro a formare cellule giganti plurinucleate, che in questo tipo di granulomi (ovvero granulomi immunitari) prendono il nome di Cellule Epitelioidi (per la disposizione delle cellule, le une a stretto contatto con le altre, e interdigitate). Il significato di tale risposta è, probabilmente, il seguente: nell’impossibilità di uccidere l’invasore, l’organismo tenta di contenerlo, segregandolo all’interno dei granulomi, e di impedirne la disseminazione.

Sintomi

I sintomi e i segni clinici sono legati a frequenti infezioni batteriche e fungine, che possono colpire virtualmente tutto il corpo. Le infezioni più frequenti sono sinusite, laringite e polmonite. Altri sintomi sono l’artrite settica e osteomielite.

Diagnosi

Infezioni batteriche o fungine ricorrenti sin dai primi anni di vita, dovrebbero indurre il medico a sospettare tale patologia, ma la conferma si ottiene con specifici esami di laboratorio che valutano la funzionalità dei fagociti (NBT-test, citofluorimetria, chemiluminescenza, citocromo C). Inoltre, se in una famiglia è nota la mutazione che causa la malattia, attraverso l’analisi del Dna è possibile effettuare la diagnosi prenatale.

Trattamento e cura definitiva

La cura consiste nella somministrazione di IFN-gamma (interferone gamma). Attualmente l’unica possibilità di cura definitiva è il trapianto di midollo osseo, che però si può effettuare soltanto in presenza di donatori compatibili. In ogni caso è possibile migliorare la qualità e la durata media di vita dei pazienti grazie alla prevenzione e al trattamento tempestivo delle infezioni.

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