Con “carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi” (o “deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi” o “G6PD-carenza”, in inglese “glucose-6-phosphate dehydrogenase deficiency”) in medicina si intende una patologia ereditario legata al cromosoma X (X-linked) caratterizzata da un deficit funzionale o quantitativo della glucosio-6-fosfato deidrogenasi (abbreviato in G6PD o G6PDH), un enzima chiave della via dei pentoso fosfati. La G6PD-carenza costituisce il difetto enzimatico più comune nella specie umana. La carenza enzimatica è espressa in modo principale nella linea cellulare eritroide (quella da cui si sviluppano i globuli rossi), e solo in grado minore nelle altre cellule ematiche. La carenza di G6PD è strettamente legata al favismo, una manifestazione clinica caratterizzata da una crisi emolitica in risposta al consumo di fave. Il termine “favismo” è stato impiegato anche per indicare la carenza di questo enzima; si tratta però di una terminologia impropria, dal momento che non tutte le persone affette da questo disturbo manifesteranno una reazione clinicamente osservabile al consumo di questi legumi. La malattia è prevalente nelle regioni tropicali e subtropicali, dove conferisce protezione contro la malaria.
Cause
Il deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi è una condizione determinata dalla carenza dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD), coinvolto nel metabolismo del glucosio e importante per proteggere le cellule (in particolare i globuli rossi) dallo stress ossidativo. La carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi è un carattere recessivo legato al cromosoma X: il gene che codifica per l’enzima ha un’estensione di 18,5 kilobasi e si trova nel locus Xq28 e in questa patologia è alterato in vari modi. Sono note diverse centinaia di mutazioni del gene della G6PD, che possono determinare o una minore sintesi della proteina o, più spesso, la sintesi di un enzima in quantità normale ma una forma instabile o meno affine per il suo substrato, quindi meno efficiente.
Trasmissione
Il deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi è causato da mutazioni del gene codificante per l’enzima G6PD, localizzato sul cromosoma X. La malattia si trasmette con modalità recessiva legata all’X: i maschi (che hanno un solo cromosoma X) e le femmine omozigoti per il difetto genetico (con geni alterati su entrambe le copie del cromosoma X) presentano attività enzimatica ridotta; le femmine eterozigoti presentano invece un’attività enzimatica variabile.
Sintomi e segni
Spesso tale condizione è asintomatica (cioè non sono presenti sintomi della sua presenza), ma molti pazienti presentano ittero neonatale o crisi emolitiche (rottura dei globuli rossi con conseguente anemia) in seguito a eventi scatenanti, tra cui soprattutto l’assunzione di farmaci ossidanti (per esempio antimalarici) o di fave. La sintomatologia clinica è variabile e dipende dal tipo di alterazione molecolare presente nel paziente. I pazienti sintomatici sono quasi esclusivamente maschi, per via dell’ereditarietà correlata al cromosoma X di questa malattia; le portatrici di sesso femminile potrebbero comunque manifestare clinicamente la malattia, qualora, a causa di un’eventuale inattivazione del cromosoma X sfavorevole, venga casualmente inattivato, in alcuni progenitori midollari, proprio il cromosoma X che contiene la variante “sana” del gene della G6PD; in questo modo si viene a creare una popolazione di globuli rossi carenti dell’enzima che convive con una popolazione eritrocitaria normale. I sintomi e segni sono:
- ittero neonatale prolungato;
- kernittero (deposito di bilirubina libera nel tessuto cerebrale, una gravissima complicanza);
- crisi emolitiche;
- malattie infettive tra cui epatite virale, polmonite e febbre tifoide;
- chetoacidosi diabetica;
- insufficienza renale acuta.
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Gravità
L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica le varianti geniche della G6PD in cinque classi, di cui le prime tre identificano stati di deficienza.
- Classe I: deficienza grave (attività enzimatica <10%) con anemia emolitica cronica (non sferocitica);
- Classe II: deficienza grave (attività enzimatica <10%), con emolisi intermittente;
- Classe III: deficienza lieve (attività 10-60%), emolisi solo se esposti ad ossidanti;
- Classe IV: variante non deficitaria, nessuna conseguenza clinica;
- Classe V: attività enzimatica incrementata, nessuna conseguenza clinica.
Diagnosi e diagnosi differenziale
La diagnosi viene avanzata sulla base dell’osservazione clinica e confermata mediante analisi biochimica (misurazione dell’attività della G6PD nei globuli rossi) oppure molecolare (ricerca di mutazioni del gene coinvolto). Tra gli esami richiesti per confermare il sospetto di G6PD-carenza ed escludere altre cause di ittero, vi sono:
- emocromo con conta dei reticolociti;
- enzimi di necrosi epatica (AST, ALT);
- enzimi di colestasi (ALP e γ-GT);
- lattato deidrogenasi;
- bilirubina diretta ed indiretta;
- aptoglobina, diminuita in caso di emolisi;
- test di Coombs.
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Terapia e prevenzione
Attualmente purtroppo non esiste una terapia risolutiva. E’ importante evitare le cause scatenanti l’emolisi, cioè le fave e i farmaci ossidanti (il cui elenco viene reso disponibile al paziente affetto dal medico curante). L’ittero neonatale è trattato con fototerapia. Negli episodi di anemizzazione grave è necessaria la trasfusione di sangue.
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