Litigi e mancato rispetto delle regole: il disturbo oppositivo provocatorio

MEDICINA ONLINE ADH DEFICIT ATTENZIONEBIMBO IPERATTIVO SVEZZAMENTO LATTE ARTIFICIALE ALLATTAMENTO SENO BAMBINO NEWBORN BABY NEONATO LATTANTE PARLARE BENE PRIMA PAROLA SCALCIARE PARLARE MASCHIO FEMMINAIl disturbo oppositivo provocatorio (da cui l’acronimo “DOP”, in inglese “oppositional defiant disorder”, da cui l’acronimo “ODD”) è un disturbo del comportamento del bambino in età scolare o prescolare caratterizzato da umore collerico, irritabilità e comportamenti vendicativi e oppositivi.

Età d’insorgenza

Il disturbo oppositivo provocatorio emerge solitamente intorno ai 6 anni, quindi più precocemente rispetto al disturbo di condotta, che invece ha una età di esordio di circa 9 anni. Ad alcuni bambini viene diagnosticato il disturbo oppositivo provocatorio in età preadolescenziale.

Cause

Le cause del disturbo oppositivo provocatorio non sono state ancora ben comprese con esattezza, tuttavia sono state avanzate varie ipotesi: alcune di esse fanno rifermenti a fattori di tipo temperamentale, come un’elevata reattività emozionale, una scarsa tolleranza alla frustrazione o tratti di iperattività; altre ipotesi attribuiscono invece una maggiore rilevanza ad aspetti di natura ambientale, come pratiche educative troppo rigide e incoerenti, una continua instabilità familiare o l’esposizione a cambiamenti particolarmente stressanti, trascuratezza e/o abusi di vario genere. Molti Autori concordano sul fatto che una educazione troppo rigida possa instaurare un circolo vizioso in cui viene posta maggiore attenzione agli aspetti comportamentali problematici del bambino: quest’ultimo fa sua l’immagine del bambino “cattivo” che gli viene cucita addosso dagli adulti e ciò lo porta, paradossalmente, a reiterare i comportamenti indesiderati, in una sorta di circolo vizioso. Se all’interno della famiglia sono presenti dinamiche aggressive come violenti litigi o addirittura percosse, è possibile che il bambino assuma il modello appreso dalle figure di riferimento e lo riproponga anche in altri contesti come quello con i propri coetanei. In parole semplici: se ad esempio un genitore è violento con l’altro genitore, il bambino “copierà” questo comportamento applicandolo con gli altri bambini.

Fattori di rischio

Possibili fattori che aumentano il rischio di insorgenza del DOP, sono quindi:

  • abusi di vario genere (violenze, abusi sessuali, essere stata vittima di bulli…);
  • trascuratezza da parte dei genitori;
  • genitori con una storia di ADHD, disturbo oppositivo provocatorio o altri problemi di comportamento;
  • genitori con storia di alcolismo e/o uso di droghe;
  • madre o padre con problemi psichiatrici (in particolare depressione);
  • avere un deficit di attenzione;
  • avere un disturbo della condotta;
  • instabilità familiare;
  • pratiche educative troppo rigide e incoerenti;
  • dinamiche aggressive nella famiglia, con frequenti litigi e percosse;
  • povertà;
  • assenza di uno o entrambi i genitori;
  • frequenti eventi stressanti.

Cause biologiche

Alcuni fattori biologici potrebbero essere alla base della patologia: nei bambini con disturbo oppositivo provocatorio risulterebbero compromessi:

  • il sistema di inibizione del comportamento che impedisce l’azione quando si intuisce che essa potrebbe condurre a esperienze spiacevoli;
  • il sistema di attivazione del comportamento che inizia un’azione quando se ne presenta l’opportunità.

Inoltre, si riscontrano alterazioni nelle funzioni esecutive, cioè nei processi cognitivi coinvolti nel mantenimento di attenzione e impegno, nell’inibizione di risposte inappropriate e nella regolazione di risposte emotive e comportamentali. Si registra anche una scarsa attivazione fisiologica che si esprime con livelli più bassi di sensibilità al pericolo. Nei bambini con disturbo oppositivo provocatorio ci sono inoltre evidenze rispetto alla presenza di livelli più bassi di cortisolo definito come l’ormone dello stress, che può far ipotizzare una ipoattività del sistema nervoso centrale nell’area del controllo degli impulsi e nella previsione delle conseguenze negative dell’azione. Alla base del disturbo potrebbero esserci delle alterazioni al livello della corteccia del lobo frontale.

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Cause ambientali

Lo stile educativo dei genitori che alterna eccessiva rigidità e coercizione a incoerenza e negligenza, potrebbe favorire il disturbo o causarlo. I genitori tendono inoltre a:

  • far notare costantemente al bambino i suoi comportamenti problematici;
  • trascurare di far notare al bambino i suoi comportamenti positivi.

Tale situazione conduce ad un circolo vizioso che rimanda al bambino un’immagine negativa di sé che rafforza e mantiene i comportamenti oppositivi. In parole semplici il bambino viene dipinto come “cattivo” finché lui non diverrà coerente con la descrizione che i genitori fanno di lui. È frequente riscontrare depressione nelle madri di bambini con disturbo oppositivo provocatorio: tale osservazione si correla all’evidenza delle difficoltà di accudimento e a interazioni problematiche di madri depresse con i propri figli. Incidono infine fattori come lo svantaggio socio-economico, l’esposizione a modelli aggressivi adulti, alcuni eventi stressanti che possono colpire la famiglia, la mancanza di stimoli cognitivi, il desiderio di voler raggiungere lo status sociale desiderato.

Altre patologie

Il disturbo oppositivo provocatorio frequentemente si presenta in comorbidità con altre psicopatologie dell’età evolutiva. E’ stato evidenziato, in particolare come si manifesti spesso in associazione al disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Rispetto alla prognosi, se sviluppato durante l’infanzia il disturbo oppositivo provocatorio frequentemente esita in un disturbo della condotta, sopratutto se i sintomi predominanti sono quelli relativi alla provocatorietà e la vendicatività. Tuttavia non tutti i bambini con diagnosi di disturbo oppositivo provocatorio sviluppano successivamente un disturbo della condotta. Per i soggetti caratterizza da una predominanza dei sintomi legati alla collera e all’irritabilità è maggiormente probabile l’emergere di un disturbo emotivo.

Conseguenze nella vita da adulto

In generale i bambini con disturbo oppositivo provocatorio sono maggiormente esposti al rischio da adulti di sviluppare di problemi nel controllo degli impulsi, abuso di sostanze, ansia e depressione. Tale rischio rende fondamentale intervenire, a seguito della diagnosi, con un trattamento precoce e specifico. Alcuni soggetti potrebbero soffrire di disturbo ossessivo compulsivo e/o di disturbo antisociale di personalità.

Sintomi e segni

Il bambino con disturbo oppositivo provocatorio tipicamente:

  • litiga spesso con gli altri, sia che si tratti di coetanei, di genitori o insegnanti;
  • spesso va in collera;
  • pungola l’autorità con comportamenti di sfida;
  • si rifiuta di rispettare le richieste o le regole imposte dagli adulti;
  • spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento;
  • è spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri;
  • è spesso nervoso;
  • e spesso rancoroso e vendicativo;
  • è spesso dispettoso;
  • spesso ride in modo beffardo se sgridato
  • irrita deliberatamente gli altri con comportamenti molesti;
  • intuisce quali sono i “punti deboli” che fanno maggiormente arrabbiare l’adulto e insiste su quelli;
  • accusa gli altri di errori reali o inventati.

Tutto ciò determina spesso una severa compromissione del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo: il bambino viene isolato dai propri coetanei, rende meno a scuola, rischia sospensioni ed espulsioni e può venir bocciato.

Diagnosi

La diagnosi di disturbo oppositivo provocatorio si basa sull’anamnesi e si applica a bambini che esibiscono livelli di rabbia persistente ed evolutivamente inappropriata, irritabilità, comportamenti provocatori ed oppositività, che causano menomazioni nell’adattamento e nella funzionalità sociale. I criteri diagnostici specificano che la sintomatologia deve manifestarsi tutti i giorni per almeno 6 mesi per bambini al di sotto dei 5 anni e almeno una volta a settimana nei casi di esordio oltre i 5 anni. Una storia precoce di DOP è spesso presente in bambini che vengono successivamente diagnosticati come disturbo della condotta.

Terapia

La diagnosi di disturbo oppositivo provocatorio è spesso lunga e complessa e deve coinvolgere non solo il bambino, ma anche i genitori; spesso si interviene con una psicoterapia cognitivo-comportamentale. L’intervento cognitivo-comportamentale per i bambini e gli adolescenti con problemi di condotta e di aggressività è basato su un modello socio-cognitivo scientificamente fondato, relativo alle modalità di elicitazione della rabbia nei bambini ed ai processi attraverso i quali questa sfocia in risposte aggressive. Nel modello in questione si opera una distinzione tra i deficit cognitivi, che si riferiscono ad inabilità in specifiche attività cognitive, e le distorsioni cognitive, che si riferiscono, invece, alle percezioni erronee e/o disfunzionali dei soggetti con problemi di aggressività. Tale modello socio-cognitivo rende evidente il fatto che, quando il bambino incontra uno stimolo potenzialmente attivante la rabbia, sono soprattutto i processi di percezione e di valutazione che questi compie ad influenzare le sue reazioni emozionali e fisiologiche, piuttosto che l’evento in quanto tale. Queste percezioni e valutazioni possono essere accurate o inaccurate e, in larga parte, sono influenzate dalle iniziali aspettative del soggetto, che filtrano la percezione della situazione e orientano l’attenzione selettiva a specifici aspetti, o stimoli, dell’evento attivante.

Se il bambino ha interpretato l’evento come minaccioso, provocatorio o frustrante, egli sperimenterà un’attivazione neurovegetativa intensa e successivamente ingaggerà in un set di attività cognitive, dirette a decidere circa un opportuno corso di azione per rispondere all’evento stesso, altamente influenzate dalla valutazione iniziale e dal relativo arousal. L’arousal interno, infatti, ha un’interazione reciproca con i processi di valutazione del bambino, dal momento che egli deve interpretare ed etichettare le connotazioni emotive di tale attivazione neurovegetativa e, inoltre, a causa del fatto che l’accresciuta attivazione emotiva focalizza l’attenzione del bambino soprattutto sugli stimoli associati con possibili minacce, egli tenderà molto frequentemente a sentirsi arrabbiato.

Tre insiemi di attività interne (percezione e valutazione; attivazione neurovegetativa; problem-solving interpersonale) contribuiscono alle risposte comportamentali del bambino e alle successive conseguenze che egli elicita da parte dei coetanei e degli adulti e che sperimenta internamente come auto-valutazioni. Le reazioni da parte delle altre persone possono poi diventare degli eventi stimolo, che danno vita ad un nuovo ciclo, attraverso circuiti di feedback, diventando ricorrenti unità comportamentali, collegate tra loro.

Non di rado può essere utile concentrare l’attenzione sulle cognizioni dei genitori e degli insegnanti piuttosto che su quelle dei bambini. In generale, i genitori possono fare attribuzioni pessimistiche riguardo al locus of control del problema, la sua stabilità e la sua possibile risoluzione. Per esempio, le madri di bambini con problemi comportamentali tendono a credere che la causa (e di conseguenza la soluzione) delle difficoltà del figlio riguardi il bambino e non il genitore o l’interazione tra l’uno e l’altro. Le attribuzioni materne, infatti, tendono a focalizzarsi su caratteristiche stabili e disposizionali del bambino, come spiegazione primaria delle sue difficoltà. Le madri potrebbero pensare, per esempio che:

  • non sono loro le responsabili del comportamento del proprio figlio;
  • il loro bambino intenzionalmente si comporti male manifestando rabbia o ripicche/dispetti nei confronti dei genitori;
  • il loro bambino abbia problemi relativamente non modificabili o incontrollabili.

In altre parole, i genitori dei bambini con tali problemi potrebbero non accettare facilmente la premessa che le loro pratiche genitoriali abbiano giocato un ruolo importante nello sviluppo dei problemi o che possano essere usate per modificare l’attuale situazione. Inoltre, alcuni genitori non si sentono competenti o capaci di fronteggiare il comportamento del bambino e sperano che il terapeuta si assuma la piena responsabilità di aiutare il figlio. In altri casi accade invece il contrario: alcuni genitori ritengono che i problemi del bambino siano totalmente causati da loro, perché non sono bravi genitori. Le attribuzioni genitoriali negative e pessimistiche sono da tenere in debito conto, dal momento che, non solo generano stati emotivi negativi nei genitori (per esempio rabbia e frustrazione), ma li inducono anche ad assumere delle pratiche disciplinari fallimentari o peggiorative. Insieme all’aiuto del terapeuta si possono imparare delle tecniche comportamentali per aiutare sia il bambino che i genitori a mitigare gli atteggiamenti e riconoscere ed arrestare i circoli viziosi che portano alla persistenza del problema.

Terapia farmacologica

E’ possibile intervenire anche con terapia farmacologica. Attualmente non esistono specifici farmaci per il trattamento del disturbo oppositivo provocatorio: i farmaci principalmente utilizzati sono principalmente gli stabilizzatori dell’umore e gli antidepressivi. I farmaci dovrebbero essere usati non singolarmente, bensì come parte di un trattamento più ampio ed integrato, sopratutto nei casi in cui è presente anche il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, disturbi d’ansia o dell’umore.

Parent training (“allenamento dei genitori”)

L’intervento rivolto all’allenare i genitori ad affrontare il proprio figlio, produce risultati significativi nella riduzione dei comportamenti sintomatologici del disturbo oppositivo provocatorio in tutti i gruppi d’età. Il parent training insegna ai genitori in modo pratico a fronteggiare i comportamenti del proprio figlio in modo positivo e prevede tecniche disciplinari e una supervisione adatta all’età del bambino. Questa modalità di trattamento di fonda su:

  • incrementare positivamente il parenting tramite una supervisione supportiva e coerente;
  • instaurare di una disciplina autorevole;
  • diminuire le pratiche parentali inefficaci o dannose (come l’eccessiva severità o il continuo focalizzarsi sugli errori del bambino);
  • migliorare la capacità di attuare punizioni adeguate.

Esistono diverse tipologie di parent training in base all’età:

  • Incredible years per bambini fino agli 8 anni;
  • Triple P Positive Parent Trainig per ragazzi fino ai 13 anni;
  • Parent-Child Interaction Therapy (PCIT) per bambini dai 2 agli 8 anni;
  • Center for Collaborative Problem Solving per ragazzi fino ai 18 anni;
  • The Adolescent Transitions Program (ATP) per ragazzi dagli 11 ai 13 anni.

Tra queste tipologie, la parent child interaction therapy (PCIT) presenta una caratteristica particolare: a differenza di altri percorsi prevede il coinvolgimento non solo della coppia genitoriale ma anche del bambino. E’ divisa in due fasi precise:

  1. Child-Directed Interaction (CDI): si concentra sul bambino e sul potenziamento dell’attaccamento sicuro genitore-figlio;
  2. Parent-Directed Interaction (PDI): sottolinea l’importanza di un uso coerente della disciplina e delle direttive impartite.

I fondamenti teorici del CDI si ritrovano nella teoria dell’attaccamento e nel principio secondo cui negli anni prescolari il bambino è più suscettibile alle risposte date dal genitore piuttosto che a quelle fornite dai pari o dalle figure di riferimento scolastiche e ciò influenza in modo determinante le sue risposte comportamentali. Lo scopo del trattamento è quello di ridurre i comportamenti problematici attraverso l’insegnamento di nuove modalità di rinforzo positivo che il genitore potrà attuare con il figlio, così da aumentare il senso di efficacia di quest’ultimo. L’acquisizione di queste tecniche avviene in un setting in cui il terapeuta guida attivamente il caregiver. In questo modo l’adulto riceve un feedback immediato sull’efficacia dei rinforzi appresi e sarà poi in grado di ripeterli autonomamente anche all’interno del contesto domestico. Sono previste sessioni settimanali di un’ora, per un trattamento medio di circa 14 incontri (con un minimo di 10 e un massimo di circa 20 sedute), tuttavia i genitori proseguono l’intervento fino a quando non mostrano di aver imparato a padroneggiare adeguatamente il metodo.

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