La profonda correlazione tra psicopatologia e alterazione del sonno è documentata dalla presenza quasi costante dei disturbi del sonno nella patologia psichiatrica e dalle ripercussioni della perdita di sonno sugli aspetti fenomenici ed evolutivi di questa. Ciò appare vero anche nel paziente schizofrenico.
Sintomi e segni
Le alterazioni del sonno nella schizofrenia appaiono nel complesso modeste, aspecifiche e limitate ad una percentuale non rilevante di pazienti. Disturbi del sonno in senso deficitario sono stati descritti soprattutto nelle fasi di invasione psicotica, nelle riacutizzazioni delle forme croniche e nelle schizofrenie in passato definite acute (e verosimilmente non tutte identificabili con l’attuale diagnosi di schizofrenia), soprattutto allorché concomita uno stato di eccita- mento psicomotorio: in queste condizioni il sonno appare alterato nei suoi aspetti quantitativi per difficoltà di addormentamento (aumento
della latenza) e nella sua continuità (risvegli notturni) con conseguente perturbazione della configurazione ciclica. Negli schizofrenici catatonici la riduzione del tempo di sonno è maggiore che nei paranoidi e può talora concretizzarsi in una completa insonnia. Sono stati tuttavia descritti pazienti in fase di invasione psicotica o di acuzie sintomatologica senza compromissione degli aspetti quantitativi del sonno. Le alterazioni quantitative rilevate negli stati di acuzie tendono a regredire con l’attenuarsi della sintomatologia psicotica, pur potendo persistere nelle fasi di risoluzione e in misura attenuata nelle forme croniche, in cui è stata segnalata talora una frammentazione della continuità del sonno, ma più frequente ipersonnia.
Studi poligrafici e diagnosi
Alle modificazioni quantitative in senso deficitario rilevate nella fase di acuzie psicotica, fanno riscontro sul piano poli grafico alterazioni a carico del sonno REM, ma soprattutto del sonno NREM. L’aumento del sonno REM in «schizofrenici acuti» sottolineato negli studi pionieristici dei primi anni ’60 non ha trovato conferma nei contributi successivi che, al contrario, sembrano documentare, nel contesto di un’ampia variabilità individuale e nello stesso paziente da notte a notte, una riduzione del sonno REM nelle fasi di esordio, nei primi mesi di malattia e nelle riacutizzazioni psicotiche di pazienti cronici o una sua invarianza. La durata del primo periodo REM, diversamente dai depressi, nei quali tipicamente è aumentata, risulta sovrapponibile a quella dei soggetti di controllo. Il quantitativo REM negli schizofrenici cronici e nei cronici in remis-sione non differisce da quello dei soggetti di controllo.
Per quanto concerne la latenza REM i dati della letteratura non sono univoci: negli schizofrenici acuti è stata descritta una grande variabilità interindividuale, una distribuzione bimodale e un accorciamento specie nei pazienti più gravi fino alla comparsa del REM immediatamente dopo l’addormentamento (SOREM). Un accorciamento della latenza REM è stato riscontrato anche in schizofrenici in fase di remissione e in schizofrenici cronici. Altri Autori descrivono invece un allungamento della latenza REM o nessuna modificazione di questo parametro.
La compromissione del sonno REM negli schizofrenici acuti trova conferma negli esperimenti di REM deprivation (effettuata mediante farmaci, derivati amfetaminici, o tecniche di risveglio dal sonno REM) dai quali è emerso che questi pazienti non presentano nelle notti di recupero una normale compensazione REM (accorciamento
della latenza REM, aumento del tempo e dell’attività REM), ma solo un accorciamento della latenza REM che si mantiene per più notti, come se il meccanismo di compensazione messo in moto non si completasse. Negli schizofrenici cronici invece la compensazione REM si realizza in modo più completo pur mancando dell’attesa iperattività REM (aumento dei movimenti oculari rapidi).
Il rilievo di un mancato o ritardato recupero REM è stato assunto come espressivo dell’esistenza nella schizofrenia acuta di un’alterazione dei meccanismi di produzione del sonno REM. Dal punto di vista sintomatologico la REM deprivation non aggrava i sintomi psicotici e in alcuni pazienti determina un transitorio miglioramento.
È stata documentata l’esistenza di una correlazione positiva tra attività REM e gravità clinica (espressa come dose di fenotiazine necessarie per controllare la fenomenica psicotica), una correlazione negativa tra latenza REM e gravità della sintomatologia e aspetti sintomatologici (sintomi negativi e l’item «Deliri» della scala dei sintomi positivi di Andreasen) e tra tempo REM e punteggi della sintomatologia psicotica.
Gli studi longitudinali del pattern ipnico indicano che nella fase di invasione psicotica, in concomitanza con una riduzione del tempo di sonno, si realizza una riduzione quantitativa del sonno REM (sia in valori assoluti che percentuali) e un aumento della latenza REM. In corso di miglioramento e di remissione sintomatologica il sonno REM recupera valori normali senza fenomeni di rebound o con un rebound tardivo (maggior durata REM, breve latenza REM e REM storms) dopo la risoluzione della sintomatologia psicotica.
Per quanto concerne il sonno NREM le alterazioni più rilevanti sono rappresentate dalla riduzione del sonno delta e principalmente della sua componente più lenta, lo stadio 4 (il reperto di più frequente riscontro), sia nelle fasi di esordio e di acuzie psicotiche che negli stadi cronici. Questa riduzione, che nel 40 degli schizofrenici può giungere alla
completa assenza, attiene soprattutto al primo ciclo di sonno. Le tecniche di analisi computerizzata hanno dimostrato che questa compromissione è riconducibile alla minor sincronizzazione dell’attività bio elettrica cerebrale (riduzione del numero, frequenza e ampiezza delle onde delta) rilevabile anche nei pazienti che non presentano un
minor quantitativo degli stadi 3 e 4. La compromissione del sonno delta si mantiene anche nelle fasi di remissione sintomatologica e costituisce l’alterazione poli grafica di
più frequente riscontro nella schizofrenia cronica anche in assenza di una florida sintomatologia psicotica. Sono state intraviste varie correlazioni tra sonno delta e aspetti clinici: negli schizofrenici acuti una correlazione negativa con i sintomi depressivi e nei cronici una correlazione positiva con la compromissione delle prestazioni neuropsicologiche e una correlazione negativa con i sintomi negativi.
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Cause e fisiopatologia
Numerose ipotesi sono state proposte per spiegare le alterazioni del sonno REM negli schizofrenici e tra queste un posto di rilievo spetta a quelle biochimiche. Una relazione tra mancato recupero REM e ipoattività serotoninergica è stata suggerita dall’abolizione del REM rebound con paraclorofenilalanina e dalla sua ricomparsa con la somministrazione di 5-idrossitriptofano e dal riscontro di un aumento del turnover della serotonina durante il recupero della REM deprivation nel ratto. Si è dato rilievo inoltre al deficit funzionale della noradrenalina.
In analogia a quanto sostenuto per i pazienti con depressione, l’accorciamento della latenza REM negli schizofrenici è stato ricondotto ad un’iperattività colinergica centrale o ad una supersensitività colinergica. Come nei depressi, anche negli schizofrenici è stata avanzata l’ipotesi di un’alterazione del ritmo circadiano del sonno REM. Per la riduzione del sonno delta è stata ipotizzata un’alterazione di un processo metabolico di ristoro neuronale NREM correlato con l’entità della sincronizzazione EEG (e che si manifesta al più alto livello durante lo stadio 4), la cui funzione sarebbe quella di invertire gli effetti della veglia sul cervello. Secondo questa concezione sia un’alterazione dei processi me-
tabolici cerebrali del sonno delta sia una compromissione delle funzioni cognitive verrebbero a riflettersi in una minor sincronizzazione durante il sonno che impedisce il processing di questo substrato o ne facilita la dissipazione. È stata chiamata in causa anche una compromissione del sistema serotoninergico sulla base del riscontro di una
correlazione negativa tra stadio 4 e un’anomalia biochimica del sangue riscontrata in alcuni schizofrenici (effetto del plasma sull’uptake del triptofano e del 5-idrossitriptofano degli eritrociti).
Le alterazioni poligrafiche ad oggi documentate non consentono di delineare uno specifico profilo ipnico della schizofrenia, né autorizzano il suo impiego a fini clinico-diagnostici. I dati acquisiti tuttavia indicano che il pattern poligrafico della schizofrenia è dissimile per molti aspetti da quello della depressione e in particolare non ripropone la caratteristica costellazione di alterazioni del primo ciclo di sonno
(accorciamento della latenza REM, aumento della durata del primo periodo REM, aumento della densità REM) che connotano questo tipo di patologia dell’umore.
Terapia farmacologica
Il trattamento dell’insonnia nel paziente con schizofrenia si avvale dell’ impiego di neurolettici sedativi (fenotiazine) e incisivi (aloperidolo, pimozide), questi ultimi soprattutto allorché l’insonnia è correlata alla presenza di deliri e allucinazioni. Le fenotiazine dimostratesi più efficaci sono rappresentate dalla cloropromazina e dalla levomepromazina. Di scarsa utilità si sono rivelate le benzodiazepine ipnotiche.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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