L’ictus cerebrale è una grave condizione medica in cui una improvvisa chiusura o rottura di un vaso sanguigno cerebrale determina il mancato afflusso di sangue – e quindi di ossigeno e nutrimento – ai tessuti cerebrali (ischemia cerebrale) e, se il flusso sanguigno non viene rapidamente ripristinato, determina un danno alle cellule cerebrali che possono andare incontro a necrosi, cioè a morte, smettendo di funzionare e compromettendo il funzionamento di una parte del sistema nervoso centrale, il che può determinare la comparsa di sintomi gravi o di coma e, nei casi più gravi, morte.
Prime fasi di trattamento
L’ictus è un’urgenza medica che richiede un ricovero immediato in ospedale. Il paziente con ictus va sempre ricoverato perché è solo con gli accertamenti eseguibili in regime di ricovero che si può rapidamente diagnosticare sede, natura e origine del danno cerebrale, oltre che evidenziare e curare eventuali complicanze cardiache, respiratorie e metaboliche. Nelle prime 48 ore dall’esordio di un ictus vengono sorvegliate le funzioni vitali (ritmo cardiaco e frequenza cardiaca, pressione arteriosa, saturazione dell’ossigeno nel sangue e temperatura) e lo stato neurologico (monitoraggio). Vanno prevenute le infezioni urinarie (evitando, per esempio il catetere vescicale) e polmonari e va posta particolare attenzione allo stato nutrizionale del paziente, tenendo presente che è importante riconoscere la presenza di un disturbo della deglutizione (disfagia). Vanno prevenute anche le trombosi venose profonde in pazienti a rischio elevato. Vanno trattate le eventuali crisi epilettiche e l’edema cerebrale. Importante è la mobilizzazione precoce, ossia la possibilità di far muovere il paziente, già nelle prime ore dopo l’ictus cerebrale.
Obiettivi del trattamento
Gli obiettivi primari del trattamento di un ictus cerebrale, sono:
- minimizzare il rischio di morte del paziente;
- eliminare se possibile il danno a monte (emorragia o ostruzione);
- diminuire l’ipertensione intracranica in caso di edema;
- limitare il danno cerebrale e le sue conseguenze;
- evitare le recidive;
- limitare la comorbosità conseguente al danno neurologico, alle condizioni cardiocircolatorie ed all’immobilità.
Il medico e gli altri professionisti della salute che gestiscono il paziente (infermieri, fisioterapisti, logopedisti…), devono:
- favorire il recupero delle abilità compromesse dall’ictus allo scopo di promuovere il più possibile il reinserimento sociale e professionale del paziente;
- informare il paziente sui comportamenti che possono prevenire nuovi ictus;
- informare il paziente e la sua famiglia sulle possibilità di gestione della condizione sul lungo periodo.
Trattamenti
Il trattamento di un ictus nelle prime ore si basa sulla disponibilità di strutture e di personale dedicati alla cura dell’ictus (stroke unit) e nel caso dell’ictus ischemico, sulla possibilità di sciogliere il coagulo nelle prime 4.5 ore (trombolisi), di asportare meccanicamente il trombo mediante procedure interventistiche di tromboaspirazione o di recupero con stentriever, e di contrastare la formazione di ulteriori trombi attraverso farmaci che prevengono l’aggregazione delle piastrine (antiaggreganti, in primo luogo, l’acido acetilsalicilico).
Terapia con trombolisi
Il farmaco trombolitico deve essere somministrato per via endovenosa nelle prime 4.5 ore. L’efficacia del trattamento diminuisce progressivamente dopo le 3 ore. I dati infatti indicano che per ogni 1.000 pazienti trattati, 57 di quelli trattati entro 6 ore e 140 di quelli trattati entro 3 ore evitano morte o dipendenza a 3 mesi, malgrado la comparsa di emorragia secondaria sintomatica in 77 pazienti in più (non fatale in 48 casi, fatale in 29 casi) quando trattati entro 6 ore. La trombolisi va effettuata in centri esperti, dotati di caratteristiche organizzative che consentano di minimizzare l’intervallo di tempo fra arrivo del paziente e inizio del trattamento, e che assicurino una monitorizzazione accurata dello stato neurologico e della pressione arteriosa per le 24 ore successive al trattamento. La selezione dei pazienti candidati alla trombolisi deve essere accurata, secondo criteri di esclusione atti a ottimizzare il rapporto rischi/benefici del trattamento.
Trombectomia meccanica
Nei centri dotati di unità di neuroradiologia interventistica, nel caso di occlusione dei tronchi arteriosi maggiori (carotide interna, arteria cerebrale media, arteria basilare) è sempre più frequentemente impiegato il trattamento con tecniche avanzate di trombectomia meccanica per via arteriosa endovascolare, con l’impiego di strumentazione che permette l’aspirazione diretta del trombo o il recupero dello stesso con dispositivi dedicati (stent retriever o stentriever). Tali tecniche, introdotte negli ultimi 10 anni, sono state recentemente validate da trial clinici ne hanno dimostrato l’efficacia anche in una finestra temporale più ampia di quella della trombolisi endovenosa.
Antiaggreganti ed anticoagulanti
L’aspirina (antiaggregante piastrinico) viene prescritta in fase acuta (a un dosaggio consigliato di 300 mg) in tutti i pazienti con l’esclusione di quelli candidati al trattamento trombolitico (nei quali può essere cominciato dopo 24 ore) o con indicazione al trattamento anticoagulante. In alternativa (per i pazienti già in trattamento con aspirina prima dell’ictus e per quelli che hanno controindicazioni all’uso dell’aspirina) si utilizzano ticlopidina, clopidogrel o dipiridamolo. I pazienti con fibrillazione atriale non valvolare vengono trattati con terapia anticoagulante orale come pure i pazienti con altra eziologia cardioembolica che hanno un elevato rischio di recidiva precoce (valvulopatie con o senza fibrillazione atriale), o fra 2,5 e 3,5 (protesi valvolari meccaniche). Nei casi con patologia aterotrombotica dei vasi arteriosi extracranici che, malgrado adeguata terapia antiaggregante, presentano ripetute recidive, è indicata la terapia anticoagulante orale.
Trattamenti di una emorragia cerebrale
Il primo obiettivo del personale medico, di fronte ad un paziente con emorragia cerebrale, è salvaguardare le sue funzioni vitali: ad esempio ventilazione meccanica e nutrizione enterale o parenterale. In alcuni casi è necessario un tempestivo intervento chirurgico che ha l’obiettivo di impedire ulteriore sanguinamento e ridurre l’ematoma. Nei pazienti per i quali non è necessario l’intervento chirurgico è fondamentale un attento e continuo monitoraggio dello stato neurologico e dei parametri vitali: particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell’ipertensione arteriosa, dal momento che un picco pressorio potrebbe peggiorare nettamente la situazione. In caso di importante edema cerebrale può essere richiesta la somministrazione di diuretici osmotici. In caso di emorragia cerebrale in concomitanza con una terapia anticoagulante si fa solitamente uso di preparati in grado di ripristinare rapidamente la normale coagulazione del sangue (vitamina K, protamina, concentrati piastrinici).
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Lo Staff di Medicina OnLine
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