Nello stesso periodo in cui i metodi terapeutici andavano moltiplicandosi, numerose ricerche sull’efficacia della psicoterapia, mettevano in evidenza due dati fondamentali:
- il primo è che nessun approccio terapeutico può vantare risultati positivi significativamente maggiori rispetto agli altri. Il Dodo Bird Verdict, dal racconto Alice nel paese delle meraviglie (Tutti hanno vinto e tutti hanno diritto a un premio), è diventato una metafora per rappresentare lo stato dell’arte della ricerca in psicoterapia (Duncan, 2002; Luborsky et al., 2002; Luborsky & Singer, 1975) per affermare che tutti gli approcci hanno la medesima efficacia;
- il secondo è che tali risultati sono dovuti non tanto alle tecniche specifiche tipiche di ogni singolo metodo, quanto alla presenza di alcuni fattori comuni a ciascuno di essi.
In altre parole, ciò che emerge e che attualmente si va sempre più facendo strada, è
l’idea che il cambiamento terapeutico non sia dovuto direttamente all’uso delle varie tecniche che caratterizzano un trattamento (i fattori terapeutici specifici), bensì alla presenza, all’interno del processo terapeutico, di alcuni elementi, detti appunto fattori terapeutici comuni (aspecifici) che fanno parte integrante di tutte, o quasi tutte, le tecniche d’intervento.
Diverse ricerche hanno avanzato il sospetto che i fattori comuni (aspecifici) potrebbero essere addirittura i veri responsabili del potenziale curativo delle psicoterapie (Giusti, 1997).
Da una metanalisi effettuata su circa 100 ricerche (Lambert e Barley, 2001) è emerso
che i fattori relazionali incidono per il 30% sul risultato di una psicoterapia mentre le tecniche specifiche spiegano soltanto il 15% del successo. Queste variabili relazionali sono:
- lo stile relazionale del terapeuta;
- e le caratteristiche personologiche del terapeuta;
- l’empatia, il calore e la congruenza espressi nella relazione e l’alleanza terapeutica.
L’azione sinergica di queste variabili accresce di molto le probabilità di un esito positivo della terapia. Inoltre, i pazienti attribuiscono il successo della terapia soprattutto alle modalità relazionali del terapeuta che vengono descritte come calorose, attente, disinteressate, comprensive e rispettose.
Revisionando più di 2000 studi, dal 1950 al 1994, Orlinsky et al. (1994) hanno identificato una serie di variabili relazionali efficaci nell’orientare positivamente il trattamento psicoterapico. Le variabili significative risultano essere:
- la credibilità del terapeuta,
- l’abilità,
- la comprensione empatica,
- l’accettazione incondizionata del paziente,
- la capacità di focalizzare l’attenzione del paziente sull’esperienza affettiva,
- la congruenza del terapeuta.
Grencavage e Norcross (1990), dopo aver raccolto ed esaminato cinquecento pubblicazioni su questo argomento, hanno costruito cinque categorie in base alla frequenza con cui veniva citato un determinato fattore:
- elementi relazionali (56%);
- processi di cambiamento: catarsi (38%), l’apprendimento di nuovi comportamenti
(32%); - caratteristiche del cliente (26%);
- qualità del terapeuta (24%);
- un razionale che spiega i problemi del paziente e le procedure per risolverli (24%).
Un buon riassunto dei principali punti in comune di tali fattori terapeutici (vedi immagine in alto in questo articolo) è riportato da Tracey et al. (2003) in accordo con la classificazione originale di Grencavage & Norcross, (1990).
Abbiamo parlato di approcci diversi di psicoterapia, di fattori specifici e di fattori aspecifici. Tuttavia va sottolineato che i requisiti essenziali da cui ogni trattamento psicoterapeutico non può prescindere sono la presenza di una relazione tra paziente e terapeuta, il contesto interpersonale e l’assunto, implicito nella nozione di formazione specifica e professionalità, che la terapia sia condotta secondo un modello teorico di riferimento che guida le azioni del terapeuta.
La relazione terapeutica si ricollega al processo di coinvolgimento emotivo tra terapeuta e paziente che include anche il concetto di transfert e controtransfert. Il terapeuta crea per il paziente un contesto interpersonale caratterizzato da un clima in cui egli si può sentire a proprio agio nell’esporre i propri problemi e disagi: si tratta di un legame emotivo di fiducia. Con una buona alleanza terapeutica, terapeuta e paziente possono muoversi nella stessa direzione e lavorare per gli stessi obiettivi, rinforzando il sentimento di una responsabilità condivisa. Importante è anche lo schema concettuale di riferimento che potrebbe anche rappresentare una sorta di mito, assai poco scientifico,
ma in grado di fornire una spiegazione plausibile dei sintomi del paziente e che prescriva un rituale ovvero una procedura per affrontarli. Sembra che non importi quale spiegazione venga data del sintomo, purché paziente e terapeuta credano in essa.
La quasi totalità degli approcci di psicoterapia affermano che un individuo può cambiare in conseguenza di una presa di coscienza che può influenzarlo profondamente, ma il disaccordo permane, al contrario, su quali tecniche siano più adatte perché un individuo elabori tale consapevolezza. La trasparenza dei sentimenti e dei pensieri che avviene in terapia è naturalmente diversa da quella che si ha in rapporti più informali. La relazione paziente-terapeuta aiuta, appunto, nella formulazione di atti comunicativi altrimenti non esprimibili, espletando una funzione cicatrizzante, offrendo in tal modo al paziente l’opportunità di rendere accessibile a se stesso il sistema dei costrutti e delle regole cognitive, in base alle quali egli stesso si forma delle convinzioni, dirige le proprie azioni e si autoprescrive i copioni emotivi corrispondenti.
I nuovi modi di sentire, pensare e comportarsi, raggiunti in terapia devono essere poi messi in pratica nell’ambiente naturale. La sperimentazione diretta è essenziale. È un’esperienza emotiva correttiva che prevede, dopo il superamento delle vecchie modalità, una diversa risposta del terapeuta al paziente. In ciò il condizionamento operato dalla più o meno esplicita o conscia approvazione o disapprovazione del terapeuta, è cruciale. I terapeuti fanno in modo che i loro pazienti abbiano un riscontro di sé stessi presso gli altri e che imparino a conoscersi e a osservarsi e quindi a capire sentimenti e azioni da un altro punto di vista. Accompagnando il paziente sulla via del cambiamento delle modalità in cui interpreta gli eventi della propria vita, oltre a dargli un diverso modo di pensare e, quindi, una nuova prospettiva della vita, il terapeuta permette un apprendimento in grado di conferire una diversa padronanza cognitiva degli eventi stessi. Attraverso il ruolo ideale che è attribuito allo psicoterapeuta, il paziente assimila anche alcuni valori e abilità, apprendendo schemi comportamentali che il terapeuta stesso lascia trapelare attraverso le affermazioni, il linguaggio non verbale, le convinzioni implicite e le rappresentazioni di ruolo.
La suggestione e la persuasione che il terapeuta riesce a indurre sembra giocare una parte notevole e tra le qualità del terapeuta ritenute più importanti troviamo una personalità che ben si adatta all’accrescimento delle aspettative positive del paziente per il cambiamento, la capacità di motivare, saper creare un’atmosfera di sostegno in cui il terapeuta stesso si lasci guidare dal paziente per facilitare la sua autonomia.
I pazienti partecipano attivamente al processo terapeutico, impegnandosi nell’autoesplorazione e nella trasparenza. Il fatto che essi abbiano già delle aspettative positive e una forte convinzione di poter cambiare grazie alla terapia, è determinante. Il processo stesso che porta queste persone a chiedere aiuto attivamente deve far supporre che esse credano veramente al potenziale della psicoterapia. Il contesto curativo fornisce struttura e formalità al processo terapeutico e aiuta a distinguere la terapia dall’amicizia ovvero da una conversazione casuale. L’uso del setting favorisce anche le aspettative del paziente che un tipo di lavoro molto particolare sta per aver luogo e l’allestimento di un rituale curativo richiede una certa partecipazione attiva da parte di entrambe le parti (Giusti, 1997).
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Lo Staff di Medicina OnLine
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