Con il termine “emorroidi” si identifica un gruppo di strutture vascolari appartenenti al canale anale che proteggono i muscoli dello sfintere anale durante il passaggio delle feci e giocano un ruolo molto importante nella continenza fecale; quando le emorroidi sono gonfie ed infiammate, diventano “patologiche” e causano una sindrome nota come malattia emorroidaria, spesso semplicemente chiamata “emorroidi“.
Diagnosi di malattia emorroidaria
Le emorroidi devono sempre rappresentare una diagnosi di esclusione in quanto qualunque tipo di approccio semeiologico anorettale può portare alla constatazione dell’esistenza di emorroidi. Ma ciò non basta: è assolutamente necessario ricercare una possibile associazione casuale con le malattie intestinali infiammatorie o con le neoplasie. La diagnosi di emorroidi interne si raggiunge con l’anamnesi e soprattutto con l’anoscopia. Le emorroidi di primo grado possono non costituire una diagnosi sicura dato che la maggior parte degli individui presentano una certa lassità della mucosa che può protrudere nell’anoscopio, per cui il confine tra normale e patologico è di difficile definizione. Se l’anamnesi è compatibile con un quadro di emorroidi e consente di escludere ragionevolmente un’ altra patologia quale il carcinoma, ed ovviamente non vi sono reperti di rilievo né all’esame obiettivo generale né alla rettosigmoidoscopia (che sono obbligatori), è corretto effettuare un trattamento sclerosante od una legatura elastica. La conferma diagnostica sarà così ex juvantibus. Se il sanguinamento con-
tinua dopo due settimane, sarà necessario effettuare un elisma opaco o una colonscopia anche in un paziente giovane.
L’indagine radiologica invece dovrà essere ordinata in prima istanza se al sanguinamento si associa un cambiamento dell’alvo nel senso di una diminuzione nella frequenza o nella consistenza delle feci, specie se si tratta di individui non giovani.
L’esame generale del paziente è comune a qualunque patologia anorettale e i nclude l’esame dell’ addome ed eventualmente uno studio ematologico se si sospetta un’anemia.
L’ispezione rivelerà le emorroidi prolassate di terzo e quarto grado con la mucosa più o meno irritata o sanguinante o rivestita da un epitelio di tipo squamoso per un processo di metaplasia. La cute perianale potrà mostrare i segni dell’irritazione, del grattamento o le alterazioni cromatiche legate ad una micosi facilitata nell’istaurarsi dall’umidità della zona. L’imbuto perianale potrà presentarsi appiattito o invertito con il ponzamento oppure già a riposo. Il ponzamento, nelle emorroidi di secondo o terzo grado, potrà provocare la fuoriuscita del prolasso. Alle marische spesso si indirizza l’attenzione del paziente che è portato ad identificarle con emorroidi esterne o con un prolasso.
L’evocazione del riflesso cutaneo anale varrà anche a provare le condizioni della sensibilità cutanea; può avere un certo interesse nei pazienti che riferiscono perdite fecali o di gas o che hanno già subito interventi chirurgici o crioterapici
per le emorroidi.
L’esplorazione digitale non serve a far diagnosi di emorroidi interne. Consente di escludere eventuali masse, di percepire il tono dello sfintere e, in uscita, sia di verificare la facilità al sanguinamento che, chiedendo al paziente di spingere, di facilitare l’eventuale protrusione. Inoltre prepara il paziente all’ anoscopia.
L’anoscopia rappresenta il momento fondamentale nell’esame proctologico per porre diagnosi di emorroidi. Le emorroidi protrudono nel lume dell’anoscopio ed eventualmente sanguinano per il trauma dovuto all’esplorazione precedente ed all’introduzione dell’anoscopio. Si riesce così ad evidenziare il punto esatto che va trattato. Per quantificare il grado del prolasso si chiede al paziente di spingere mentre fuoriesce l’anoscopio. Se la mucosa anale non esce, le emorroidi sono di primo grado, mentre i gradi superiori prolassano. Se con la cessazione del ponzamento rientrano subito, si tratta di emorroidi di secondo grado, se richiedono il posizionamento manuale, di terzo grado. Per farle protrudere può essere utile introdurre una garza attraverso l’ anoscopio e quindi trazionarla verso l’esterno. Ciò tuttavia può essere doloroso, per cui tale manovra è da effettuare preferibilmente in anestesia. Per valutare la presenza e l’entità del prolasso può essere opportuno indurre il paziente a defecare, eventualmente stimolandolo con un piccolo clistere. È stato proposto anche l’uso di uno specchio con una lunga impugnatura da utilizzare quando il paziente è seduto nel water, dato che la posizione seduta comporta un diverso assetto del piano perineale rispetto a quella sul fianco sinistro. La rettosigmoidoscopia è un mezzo diagnostico che diventa obbligatorio quando l’anoscopia non dimostra emorroidi che giustifichino la sintomatologia emorragica. Tuttavia è buona norma nell’ambulatorio proctologico eseguire una rettosigmoidoscopia a tutti i pazienti che si presentino per emorroidi o per qualunque altra patologia anale.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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