Molte ricerche sembrano indicare che, in epoca preistorica, l’essere umano vivesse circa 30 anni e che questa fosse la sua vita “programmata” dalla natura. In effetti si osserva un declino costante delle funzioni cognitive proprio a partire dai 30 anni, con una più rapida progressione nell’età senile, età in cui sono più marcati gli effetti dell’invecchiamento sulla memoria, sulle funzioni cognitive e sul comportamento dell’anziano.
Apparentemente tutte le funzioni cognitive sono interessate da questo declino, sebbene taluni elementi di tipo verbale (il lessico, bagaglio di informazioni e indispensabile per la comprensione) resistano meglio agli effetti dell’invecchiamento rispetto a quelli di tipo esecutivo (disegnare un cubo, contare al contrario, fare calcoli, la sistemazione di una figura, l’assemblaggio di oggetti, l’associazione simboli-numeri…). Tutto ciò è ovviamente soggettivo: ad esempio un pittore professionista può riuscire a mantenere, anche in età molto avanzata, una capacità esecutiva relativa al disegno decisamente maggiore di un anziano che non ha mai sviluppato questa attitudine. Un matematico professionista anziano può, invece, conservare una certa capacità di fare calcoli decisamente maggiore rispetto ad un anziano di pari età ma non matematico.
Gli effetti più definiti dell’età sono in genere quelli sull’apprendimento, la memoria e la risoluzione di problemi, in cui il declino cognitivo probabilmente è attribuibile a una riduzione progressiva della velocità di processamento delle informazioni.
La capacità di memorizzare, acquisire e ritenere nuove informazioni, richiamare nomi alla memoria ed evitare la distrazione mentre si svolge un compito diminuisce con l’avanzare dell’età, in particolare nei soggetti con più di 70 anni. Inoltre, le funzioni mnesiche possono essere alterate nonostante la relativa integrità delle altre capacità intellettive. Caratteristicamente si ha difficoltà a rievocare il nome o la data specifica di un evento malgrado l’integrità del ricordo relativo al contenuto dell’esperienza o alle caratteristiche della persona il cui nome “sfugge” (fenomeno della “punta della lingua”). Altrettanto tipico è il ricordo incostante del nome o dell’informazione in un momento successivo. Questo tipo di disturbo della memoria è noto come smemoratezza senile benigna oppure deficit di memoria associato all’età. A differenza della malattia di Alzheimer, esso peggiora poco o per nulla nell’arco di molti anni e non interferisce significativamente con le prestazioni lavorative o le attività quoti-
diane del soggetto.
Le alterazioni presenti nella smemoratezza senile benigna, rilevabili in grado variabile nella maggior parte degli anziani, talvolta pongono un problema clinico, ovvero come accertare se siano parte del processo di invecchiamento o se costituiscano invece manifestazioni precoci della malattia di Alzheimer. La distinzione solitamente può essere compiuta con una valutazione attenta dello stato mentale nell’arco di mesi o anni.
La ripetizione di materiale presentato verbalmente, come per esempio una serie di numeri, l’orientamento spazio-temporale, la capacità di apprendere e ritenere alcune frasi, test aritmetici e di calcolo (concentrazione) e test specifici per la memoria (in particolare alcuni test di rievocazione a distanza) sono prove in grado di rilevare che la persona con invecchiamento fisiologico invariabilmente ha prestazioni superiori rispetto ai soggetti affetti da malattia di Alzheirner.
Un grado elevato di cultura, abitudini di lavoro ben organizzate, una buona capacità di giudizio ed una vita sana (dieta corretta, esercizio fisico regolare, niente alcol e fumo…) compensano la maggior parte dei deficit progressivi dell’invecchiamento: una persona che si è sempre tenuta in forma fisicamente e mentalmente riesce a “resistere meglio” all’avanzare dell’età ed ai suoi processi di deterioramento.
Modificazioni della personalità nell’anziano
Come molti di noi avranno notato nei nostri nonni o nei nostri genitori, molte persone anziane diventano via via più ostinate, ripetitive, rigide, conservatrici, mentre in altri soggetti si osservano elementi opposti – eccessiva arrendevolezza, titubanza, accettazione acritica delle opinioni altrui. Spesso questi cambiamenti sono in realtà accentuazioni di tratti caratteriali già presenti nel corso della vita.
Le persone anziane tendono a diventare sempre più caute; molti sembrano avere scarsa fiducia in sé stessi, sia dal punto di vista fisico che mentale ed hanno bisogno di sapere in anticipo che il compito che stanno per intraprendere ha buone probabilità di andare a buon fine, il che può influire negativamente sul rendimento nei test neuropsicologici. Studi su gemelli monozigoti anziani suggeriscono che i fattori genetici siano più importanti rispetto a quelli arnbientali nella modulazione di tali tratti caratteriali.
Gli individui energici e con molti interessi, che li portano ad avere varie interazioni sociali, sembrano resistere meglio ai “danni” dell’età rispetto ai soggetti con caratteristiche opposte. Persone apatiche, solitarie, con pochi interessi, sono maggiormente portate all’isolamento sociale ed a stati depressivi. Le persone con tendenza alla depressione sono più facilmente sopraffatte dall’invecchiamento e assumono un atteggiamento di disperazione, timore, sospetto, preoccupazione, il che può spiegare l’aumento di tre volte dei suicidi nell’età adulta avanzata e nella vecchiaia. La sindrome ansioso-depressiva è la malattia psichiatrica più frequente in questa fascia d’età.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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