La valutazione delle funzioni cognitivo-comportamentali di un soggetto anziano richiede l’utilizzo di tecniche e procedure che permettano di distinguere tra:
- il normale declino delle capacità mentali;
- le modificazioni del comportamento dell’anziano “sano”;
- le alterazioni delle capacità cognitive secondarie a patologie non demenziali (considerando come patologia anche situazioni socio-ambientali);
- i disturbi della memoria e delle altre funzioni superiori legate ad una involuzione
patologica del sistema nervoso centrale (SNC).
A tal fine si utilizza, oltre all’osservazione diretta della persona da parte del sanitario – essenziale ma troppo legata alla soggettività dell’esaminatore – una serie di test mentali il cui risultato sia comprensibile da tutti. Dei numerosi test mentali attualmente in circolazione alcuni hanno preminentemente finalità di ricerca, altri hanno finalità più pratiche (screening tra normalità e patologia, diagnosi, evoluzione); molti di questi ultimi, normalmente utilizzati in ambito specialistico neurologico, psichiatrico/psicoterapeutico e geriatrico, per la loro semplicità, senza detrimento della specificità, possono agevolmente essere utilizzati anche dal medico di base e da medici di altra specialità. Scopo fondamentale delle batterie di test attualmente utilizzate è la differenziazione, in fase precoce, tra la normalità, la demenza, il disturbo cognitivo primitivamente psichiatrico, e la deviazione dalla norma che non rientri in una classe patologica.
Le scale cognitive
Riferendoci a questo articolo, abbiamo visto come nell’applicazione del test Mini Mental State (MMS) con anziani, ci troveremo spesso di fronte a casi di soggetti con punteggi nettamente inferiori alla norma. Ciò indica, semplicemente, uno scadimento delle funzioni cognitive, ma il test non è in grado di indicare niente altro di specifico riguardo al tipo di alterazione, né fornire informazioni che possano indirizzare verso una migliore definizione eziologica di tale compromissione intellettiva.
Sarà indispensabile in questi casi, quindi, l’invio al neurologo per la necessità di associare un opportuno esame delle altre funzioni neurologiche, clinico ed, eventualmente, laboratoristico e strumentale, nonché per approfondire l’esame neuropsicologico del soggetto in questione con test più specifici.
Perché un test neuropsicologico sia valido, sia in grado cioè di svolgere i compiti che da essa ci attendiamo, dovrà possedere certe caratteristiche precise:
- esplorare il maggior numero di funzioni intellettive superiori, essere cioé ben articolata in vari sub-test;
- ciascun sub-test dovrà essere il più possibile specifico per ogni singola abilità cognitiva;
- la somministrazione dovrà essere eseguita in condizioni identiche per ciascun soggetto, in maniera il più possibile neutrale per non influenzare il soggetto stesso (aiutare il soggetto nel dare le risposte sortisce l’unico effetto di alterare i risultati e quindi la diagnosi);
- l’esigenza di ottenere il maggior numero di informazioni circa le diverse abilità cognitive, non dovrà incidere troppo sulla lunghezza e sulla pesantezza della somministrazione.
Eventualmente sarà bene suddividere la seduta diagnostica in più volte, nel caso il paziente dia segni di stanchezza, e ciò non solo per motivi etici, ma anche per non inficiare i risultati del test.
Per individuare, in soggetti anziani, un’iniziale demenza, distinguerla da una possibile pseudo-demenza depressiva, e specificarne le caratteristiche neuropsicologiche, la batteria di test dovrà essere composta di varie sezioni, riguardanti ognuna un’area cognitiva. Non ci dilunghiamo qui nel riferire i singoli elementi da considerare, trattandosi di materiale tecnico specialistico.
Un’ottima batteria di test neuropsicologici che risponde ai requisiti richiesti è certamente quella proposta ed utilizzata da Caltagirone e Gainotti (1979) (vedi anche Bisiach 1983; Spinnler 1987b; Bisiach, 1987). Anche il Mini Mental State contiene in sé gran parte delle suddette prove anche se non possiede tutti i requisiti necessari per una valutazione approfondita.
Le scale di comportamento
Riferendoci sempre a questo articolo, abbiamo visto come nell’applicazione del test Mini Mental State (MMS), ci troveremo in alcuni di casi ad anziani che presentino un punteggio ai limiti inferiori della norma (quindi comunque entro il range di normalità), pur manifestando disturbi comportamentali che fanno sospettare al medico di base il possibile inizio di un invecchiamento cerebrale patologico. Anche in questi casi, come nella situazione precedente, sarà utile l’appoggio del neurologo o del geriatra ed una valutazione dello stato (e della evoluzione) somministrando a questi soggetti una
scala di valutazione comportamentale.
Un deterioramento cerebrale, infatti, non necessariamente si esprime direttamente come deficit delle funzioni cognitive, ma, a volte, può manifestarsi prevalentemente come alterazione del comportamento dell’individuo (raffrontato ovviamente al passato).
All’osservazione clinica, necessariamente limitata, almeno in condizioni ambulatoriali e non di degenza, si potrà quindi associare la somministrazione di questionari che esplorino le varie aree della vita quotidiana del paziente.
I risultati ottenibili con queste scale di valutazione sono indicativi del grado di autonomia/dipendenza dagli altri, della capacità di prendersi cura di se stessi, della capacità di iniziativa psicomotoria, della presenza di eventuali disturbi del ritmo sonno-veglia e del comportamento alimentare e sessuale, della capacità e possibilità di relazione con l’ambiente.
Molte sono le scale comportamentali oggi in uso, tra cui ci sembrano validi esempi la Scala di valutazione geriatrica di Plutchik (1971); la Clifton assessment procedures for elderly di Pattie (1979, 1981), la Sandoz Clinical Assessment Geriatric (SCAG) (Shader,
1974).
Sandoz Clinical Assessment Geriatric (SCAG)
La Sandoz Clinical Assessment Geriatric (SCAG), Shader 1974, considera la presenza o l’assenza dei seguenti sintomi:
- confusione
- ridotta vigilanza
- deterioramento della memoria recente
- disorientamento
- ansia
- depressione dell’umore
- instabilità emotiva
- iniziativa – motivazione
- irritabilità
- ostilità
- molestia
- indifferenza verso l’ambiente
- asocialità
- non cooperatività
- ridotta cura della persona
- affaticamento
- anoressia
- capogiri.
Il punteggio va così interpretato:
- da 0 a 18 assenza di modificazioni comportamentali;
- da 19 a 36 modificazioni comportamentali molto lievi;
- da 37 a 72 modificazioni comportamentali lievi-moderate;
- da 73 a 126 modificazioni comportamentali moderate-gravi.
Continua la lettura con:
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Lo Staff di Medicina OnLine
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