L’alternarsi del sonno con la veglia nell’ambito del nictemero può essere concettualizzato e studiato come un processo crono-biologico in relazione continua con altri processi circadiani e ultradiani endogeni e con processi esogeni «marca tempo» che lo sincronizzano con l’ambiente esterno. In condizioni di normale esposizione al ciclo luce-buio e con riferimenti temporali esterni, la tendenza all’addormentamento nella specie umana mostra un preciso andamento circadiano ritmico; questo dato è stato ottenuto valutando la posizione temporale dell’addormentamento spontaneo in larghe popolazioni, autostimando la sonnolenza nell’arco delle 24 ore e valutando variabili neuropsicologiche, con assetti sperimentali capaci di filtrare gli effetti dipendenti dalla veglia precedente. È stato così possibile identificare:
- periodi di estrema facilitazione all’addormentamento, chiamate «porte del sonno», dell’inizio del sonno in corrispondenza della tarda serata e delle prime ore del pomeriggio;
- periodi di vigilanza elevata, «zone proibite», situate intorno alle 11 del mattino ed alle 19.
In condizioni normali la curva di propensione al sonno appare in stretta relazione con la curva delle variazioni della temperatura corporea, essendo la massima propensione al sonno in fase con l’inizio della discesa della temperatura corporea e coincidendo il punto di mezzo del periodo di sonno col punto più basso del ciclo della temperatura.
In condizioni di isolamento temporale le due curve si desincronizzano dimostrando l’indipendenza dei due oscillatori preposti e l’importanza di riferimenti temporali per mantenerli in fase. L’andamento della curva di propensione al sonno è grossolanamente sinusoidale e possono essere fissate soglie di livello minimo e massimo per l’addormentamento e il risveglio (processo C).
Aspetti omeostatici
Il bisogno di dormire cresce con la progressione del tempo, tuttavia questa crescita non segue un andamento lineare come non è lineare il rapporto fra il tempo di veglia precedente e la durata del sonno di recupero. È pertanto evidente che la privazione di sonno può essere compensata non tanto da un aumento della durata del sonno di recupero quanto da una maggiore intensità di questo.
L’analisi spettrale offre un parametro che può con buona approssimazione essere usato come misura dell’intensità del sonno: la densità delle onde lente nel primo ciclo di sonno.
Una deprivazione di sonno induce un aumento della densità (potenza relativa alle onde appartenenti alla banda delta) nel primo ciclo del sonno di recupero successivo; al contrario un sonno prolungato al mattino o un sonno pomeridiano si traduce in una diminuzione della densità del delta al primo ciclo di sonno della notte successiva. Brevi sonni distribuiti nell’arco della giornata contengono quantità di onde delta progressivamente crescenti. Appare pertanto dimostrato che la densità di delta è in relazione costante con la lunghezza della veglia precedente il sonno e che può essere usata come parametro di misura della componente omeostatica e recuperativa della propensione al sonno; questa componente può essere simulata con un processo esponenziale crescente in funzione della veglia precedente (processo S).
Interazione fra processi omeostatici e circadiani di propensione al sonno
La posizione nel tempo e la durata degli episodi di sonno possono essere interpretate come il risultato dell’interazione fra i processi circadiani (processo C), indipendenti dalla veglia precedente, e quelli omeostatici (processo S), da questa invece dipendenti. La pro-
pensione totale nei confronti del sonno sarebbe quindi il risultato della somma fra l’intensità del bisogno di sonno, derivante dal trascorrere del tempo, costantemente crescente nell’arco della giornata, e quella derivante dall’oscillatore circadiano, non modificabile dall’occorrenza di sonno/veglia, con massimi e minimi in momenti fissi. La coincidenza dei punti massimi di entrambi i processi avviene intorno alle ore 23. L’integrazione fra gli aspetti omeostatici e quelli circadiani spiega il variare della durata dei periodi di sonno in funzione dell’ora del giorno in cui avviene l’addormentamento e offre un’efficace chiave di interpretazione per i disturbi del sonno occorrenti in lavoratori turnisti, persone soggette a frequenti e rapidi cambiamenti di fuso orario (piloti di aerei) e nei soggetti che sfasano, ritardando (giovani nottambuli) o anticipando (anziani) la fase del loro addormentamento nei confronti dei ritmi circadiani. Su queste interpretazioni si basano anche tecniche terapeutiche miranti a recuperare un’integrazione fra ritmi biologici e ritmi ambientali come la cronoterapia e la fototerapia.
Regolazione della struttura interna del sonno
La struttura del sonno del giovane adulto in condizioni di normalità presenta un quadro caratterizzato dall’alternarsi ciclico del sonno REM e NREM, l’addensarsi del sonno ad onde lente nei primi cicli della notte, il progressivo aumento della lunghezza degli episodi REM e il predominare degli stadi di sonno 2 nei cicli terminali. Anche l’intensità del sonno, determinabile con la soglia di risveglio, mostra una tendenza a crescere nel primo ciclo fino al raggiungimento del sonno 4 e decresce progressivamente nei cicli successivi, essendo estremamente variabile durante gli episodi di sonno REM. Anche in questo caso sono riconoscibili aspetti omeostatici e aspetti oscillatori, in questo caso ultradiani.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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