Psicologia sociale e gruppo: conformismo, normalizzazione, polarizzazione

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Scena dal film “L’attimo fuggente”

Il conformismo sociale

Viviamo accanto ad altre persone e questo influenza il nostro giudizio, senza che noi ce ne accorgiamo. Il rispetto di ciò che viene ritenuto valido dagli altri membri del gruppo in cui siamo immersi può infatti portare a effetti sorprendenti, come emerge nel seguente esperimento ideato e condotto da Salomon Asch (Varsavia, 14 settembre 1907 – 20 febbraio 1996), psicologo polacco naturalizzato statunitense.
Alcune persone dovevano svolgere un compito: si trattava di paragonare la lunghezza di una linea retta A con quella di altre linee rette B, C e D di lunghezza diversa, individuando la linea di lunghezza uguale alla A. Solo la C era effettivamente di lunghezza pari alla linea A, quindi la risposta corretta al test era la C. Posti singolarmente di fronte a tale problema, abbastanza semplice, tutti davano la risposta corretta, ma all’interno di un gruppo e sottoposte a una pressione anche minima, le persone fornivano risposte ben diverse, anche sbagliate, lasciandosi influenzare dagli altri. Un soggetto veniva infatti introdotto in una stanza in cui stavano già sedute numerose altre persone, che in realtà erano collaboratori del ricercatore precedentemente istruiti.
Dopo aver svolto senza difficoltà due compiti di paragone tra linee rette, veniva proposto un terzo esercizio dello stesso tipo. Ma questa volta, e per altri undici quesiti simili, la maggioranza delle persone presenti forniva una risposta sbagliata e difendeva tale soluzione in modo sicuro e tranquillo. Ebbene, il 36% degli individui che si trovavano all’interno di un tale gruppo arrivavano a dare una risposta palesemente sbagliata pur di adeguarsi all’opinione della maggioranza, ovvero, un terzo delle persone si lasciavano indurre a rispondere in modo sbagliato anche quando era del tutto ovvio quale fosse la risposta giusta, secondo il principio che “se lo dicono in tanti, sarà vero“. Più era grande la maggioranza e più il soggetto era portato a dare risposte palesemente errate, omologandosi.
Intervistando le persone con cui aveva condotto l’esperimento, Asch rilevò che la maggior parte dei soggetti, pur avendo nella propria mente individuata la palese risposta corretta, aveva cambiato risposta “cedendo all’opinione della maggioranza” perché, da un certo punto, in poi non si fidava più del proprio giudizio ed aveva delegato la propria opinione alla massa più ampia di persone. In tanti ambiti, come quello della moda e dell’abbigliamento, quando il giudizio è più complesso e non esiste un’unica soluzione giusta, abbiamo tutti presente l’effetto del conformismo sociale. Chi insisterebbe sulla bellezza di una pettinatura o di un paio di pantaloni quando la maggior parte del proprio gruppo li trovasse orrendi? Alcuni continueranno ad essere certi delle proprie convinzioni, ma la maggioranza tenderà a conformarsi all’opinione della società, pur se in contrasto con la propria idea. Soprattutto in ambienti come la scuola, gli individui tendono a uniformarsi per venire in contro alle aspettative degli altri componenti del gruppo, per evitare di venire isolati e bullizzati.

La normalizzazione

E’ chiaro che ogni essere vivente tenda ad adeguare il proprio giudizio a quello degli altri, soprattutto se “gli altri” sono milioni di persone. È probabile che, grazie a questo bias cognitivo, evitiamo anche le decisioni troppo arrischiate e i colpi di testa visto che “se tante persone ne sono convinte, evidentemente sarà giusto così”. Ma questo ragionamento è sempre giusto? No. Esistono tante situazioni in cui il conformismo sociale ha delle conseguenze negative.
I libri di testo della psicologia sociale riportano casi di aerei precipitati perché l’unico membro dell’equipe che aveva notato un problema tecnico, si era sottomesso al giudizio – fatalmente sbagliato – della maggioranza ed aveva ritirato le proprie idee.
I pericoli del conformismo sociale sono quindi piuttosto evidenti. Eppure, numerosi studiosi, innanzitutto negli anni Cinquanta del secolo scorso, hanno ritenuto vantaggioso affidare il potere decisionale nelle istituzioni a gruppi di persone. Secondo questi ricercatori, un individuo da solo può compiere più facilmente delle scelte estreme, mentre le decisioni di un gruppo tendono verso la via di mezzo, la strada più sicura,  per esempio, nella conduzione di un’azienda, di una scuola oppure dello Stato. Tale tendenza ad una scelta meno estrema e, in teoria, più ponderata e “normale”, viene chiamata normalizzazione.

La polarizzazione

All’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, alcuni esperimenti condotti dallo psicologo americano James Stoner studiarono a fondo la teoria della normalizzazione, con una serie di test di cui uno era estremamente interessante. Stoner domandò ai suoi soggetti sperimentali (tutti studenti di economia) un loro giudizio riguardo a una serie di decisioni rischiose. I quesiti seguenti sono stati utilizzati per gli esperimenti di Stoner e di altri psicologi sociali.

  • Un ingegnere elettrotecnico, laureato da cinque anni, sposato con figli, lavora presso una grande azienda. Il suo posto di lavoro è garantito, lo stipendio è modesto ma sufficiente e non subirà aumenti degni di nota. Un giorno riceve l’offerta di una piccola impresa appena fondata in cui non solo guadagnerebbe di più, ma avrebbe anche la possibilità di diventare comproprietario. Tuttavia, il futuro della piccola azienda è incerto.
  • Un impiegato statale, scontento del suo modesto stipendio e delle limitate possibilità di avanzamento di carriera, vorrebbe lasciare il suo posto sicuro per intraprendere, traendo frutto di una sua piccola invenzione, un’attività commerciale in proprio. Con tale attività potrebbe guadagnare tanto, ma potrebbe anche fallire. Che cosa gli consiglieresti? Rischiare il posto garantito, lo stipendio fisso e la pensione per un futuro insicuro?
  • Negli ultimi momenti di una partita di calcio, il capitano di una delle due squadre non sa se scegliere una strategia di gioco che porterà al pareggio, oppure se mirare alla vittoria con uno stile più offensivo che, tuttavia, potrebbe anche portare a una disfatta totale.
  • Un uomo vorrebbe sposare una donna che conosce da poco più di un anno. Sono innamorati, ma, negli ultimi tempi, hanno scoperto delle differenze notevoli nel loro modo di vedere alcuni aspetti della vita famigliare. 

Riunite poi in gruppi, le stesse persone avevano occasione di discutere delle scelte, con il compito di giungere a una decisione unanime. 12 gruppi su 13 modificarono il loro giudizio, scegliendo il maggior rischio. Alcune settimane dopo, gli studenti vennero interrogati di nuovo individualmente sulle loro decisioni: il 39% continuava a optare per un rischio maggiore di quanto avevano dichiarato prima della discussione di gruppo.
In certi casi, i gruppi si mostrano più propensi alla cautela, per esempio quando si tratta del giudizio sull’opportunità di contrarre matrimonio con una determinata persona. Paragonando i giudizi espressi singolarmente a quelli del gruppo si giunge tuttavia a una regola valida per tutti i casi: le decisioni di gruppo estremizzano l’orientamento che i partecipanti hanno manifestato prima delle discussione con gli altri: una tendenza che è stata denominata polarizzazione. Quindi, se è chiaro che da un gruppo molto ampio può scaturire una risposta “via di mezzo” (normalizzazione), è anche chiaro che è gruppo può convincere una persona “cauta”  a dare risposte più estreme (polarizzazione), come ad esempio accaduto nel periodo del nazismo.

Un limite del metodo sperimentale

Di primo acchito sembra che gli psicologi, dagli anni Sessanta del Novecento in poi, sostengano esattamente il contrario di ciò che dicevano i loro predecessori. Tuttavia le tendenze alla normalizzazione e alla polarizzazione non si contraddicono necessariamente. Se il singolo cerca l’appoggio degli altri, sarà anche più disposto ad accettare dei rischi nel momento in cui vede i compagni muoversi nella stessa direzione. Sarebbe quindi il gruppo a permettere uno spostamento delle opinioni verso l’estremo. In ogni caso, sarà difficile prevedere se un gruppo reale prenderà delle decisioni arrischiate o meno. Gli esperimenti da laboratorio, come sappiamo, sono lontani dalla realtà quotidiana. Ma anche considerando le incertezze nel campo di ricerca e nell’applicazione, una regola emerge da tutte gli studi empirici: i singoli tendono ad evitare di assumersi delle responsabilità personali e seguono l’andamento del gruppo tanto più questo gruppo è ampio.

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