Funzioni cognitive: attenzione attiva, passiva, selettiva e diffusa

MEDICINA ONLINE STUDIO STUDIARE LIBRO LEGGERE LETTURA BIBLIOTECA BIBLIOGRA LIBRERIA QUI INTELLIGENTE ESAMI 30 LODE TEST INGRESSO MEDICINA UNIVERSITA SCUOLA COMPITO VERIFICA INTERROGAZIONE ORALE SCRITTO PICTURE HD WALLPAPERLe funzioni cognitive sono l’insieme di caratteristiche e processi consci ed inconsci che permettono all’essere umano di identificare, elaborare, memorizzare, richiamare, usare e comunicare informazioni. Esempi di funzioni cognitive sono la percezione, la memoria, il riconoscimento, l’attenzione, le funzioni prassiche, la comprensione e l’elaborazione del linguaggio, le funzioni esecutive. In questo articolo ci occuperemo in particolare dell’attenzione.

L’attenzione

L’attenzione non va intesa come un processo singolo ma è riferito, come termine, ad una gamma di comportamenti e processi cognitivi che danno effetti diversi (Cohen et al., 1992). Essa è la funzione psichica che permette di focalizzare la coscienza su una determinata esperienza percettiva consentendo l’organizzazione di risposte appropriate; da essa hanno origine i processi cognitivi di ordine più complesso, le emozioni e i comportamenti. L’attenzione è pertanto un processo basilare per lo sviluppo del pensiero e per l’adattamento e la sopravvivenza stessa dell’individuo.
Nell’uomo il livello di attivazione, controllato dalla sostanza reticolare, è uno stato globale dell’organismo che si svolge lungo un continuum che va dal sonno all’eccitazione diffusa. Il livello di attivazione è considerato un fattore importante nella determinazione dell’efficienza di un soggetto in prestazioni o compiti. Attenzione e livello di attivazione sono due stati correlati fra di loro ma che non si identificano: l’attivazione può essere infatti definita come uno stato globale dell’organismo mentre l’attenzione è la funzione selettiva che si correla con il livello di attivazione. Il grado di attenzione dipende dal livello di attivazione dell’organismo che a sua volta dipende sia dalle condizioni interne che dagli stimoli esterni: stimoli intensi suscitano attenzione, poi le informazioni vengono selezionate in ingresso in base alla loro rilevanza biologica o psicologica. Proprio in quanto processo di selezione di informazioni l’attenzione può essere definita come un processo cognitivo.

La classificazione delle attenzioni

L’attenzione può essere volontaria (attiva) o involontaria (passiva):

  • se il soggetto focalizza la propria attenzione su un evento (per esempio, la lettura di un libro) essa viene definita volontaria;
  • se l’oggetto invece attrae l’attenzione del soggetto senza uno sforzo consapevole da parte di quest’ultimo, viene definita involontaria.

L’attenzione inoltre è:

  • selettiva se rivolta preferenzialmente a un oggetto o evento specifico,
  • diffusa se è rivolta a più elementi differenti presenti nell’ambiente e determina
    la capacità di svolgere contemporaneamente compiti diversi.

In particolare, l’attenzione selettiva è la funzione che filtra e seleziona alcuni tra gli stimoli molteplici provenienti dal mondo esterno, lasciandone decadere altri.
La dimostrazione di ciò è data da un fenomeno noto come cocktail party. Se ci troviamo in un luogo molto affollato, riusciamo a prestare attenzione a una sola conversazione nonostante ve ne siano parecchie in corso che potrebbero interferire: nonostante le emissioni sonore provenienti da tutti gli astanti siano colte dai nostri recettori acustici, noi siamo in grado di selezionare e analizzare solo quelle provenienti dalla persona
con la quale stiamo conversando. Per approfondire: Effetto Cocktail Party: discriminare la voce dell’interlocutore e interessarsi se qualcuno dice il nostro nome

Secondo alcune teorie alla nostra attenzione viene posta una continua e rapida presentazione di stimoli rilevanti e irrilevanti (da ignorare) che subiscono un filtraggio e vengono selezionati in base al significato, alle caratteristiche fisiche, spaziali, al colore, all’intensità. Anche stimoli in partenza rilevanti, ma che vengono presentati per lungo tempo o ripetuti più volte, tendono ad essere considerati via via sempre meno rilevanti, a meno che non si verifichi una situazione che li renda più rilevanti.
L’attenzione divisa si riferisce alla capacità dell’uomo di poter svolgere più compiti contemporaneamente. La situazione sperimentale tipica nello studio dell’attenzione divisa è quella relativa al doppio compito; il risultato che in genere si osserva in questa situazione (due compiti presentati in contemporanea) è che la prestazione risulta peggiore rispetto a quella ottenuta dallo stesso soggetto quando svolge i due compiti separatamente.
Alcune teorie spiegano che durante lo svolgimento di due compiti in contemporanea si assiste a un rapido spostamento dell’attenzione tra i diversi compiti. L’uomo ha una singola risorsa, ovvero un unico processore a capacità limitata. Quando dobbiamo svolgere un compito, l’elaborazione per il secondo compito viene sospesa finché la prima non è completata. La velocità con cui si verifica questo spostamento nelle due direzioni, rende i due compiti svolgibili apparentemente nello stesso momento. In questa prospettiva, l’attenzione è vista come un fenomeno tutto-o-nulla. Altre teorie invece, sottolineano la divisibilità delle risorse cognitive tra i diversi compiti contemporanei e la possibilità di assegnare in modo graduato parte delle risorse a ciascun compito, con differenti approcci. In questa prospettiva, l’attenzione è vista come una risorsa divisibile.
Kahneman (1973) elaborò un modello che rappresenta il tentativo di unificare le diverse teorie. Egli afferma che l’uomo ha una capacità limitata per l’esecuzione di attività mentali e che il limite varia con il livello di attivazione: più è alta l’attivazione fisiologica, maggiore è la disponibilità di capacità. Kahneman ritiene che l’aumento del numero delle azioni da svolgere contemporaneamente comporti un corrispondente aumento della quantità di risorse mobilitate. Quando però le richieste eccedono le risorse disponibile, la prestazione del soggetto non è più adeguata alla domanda e si ha un’interferenza tra i compiti. In parole semplici, una persona può svolgere più funzioni contemporaneamente in modo ottimale ma quando ne svolge troppe – raggiunto un certo limite – rischia di farle tutte male.

I disturbi dell’attenzione

L’attenzione è ridotta in alcune situazioni fisiologiche sperimentate da ogni individuo, come gli stati di affaticamento, sonnolenza o noia. Può essere presente un calo dell’attenzione anche in alcuni stati patologici come i traumi cranici, l’ipertermia, gli stati tossici, l’epilessia, le psicosi, la depressione o la mania. In questa sede parleremo in particolare del disturbo da deficit di attenzione/iperattività, o ADHD, una patologia tipica dell’età evolutiva la cui caratteristica principale è la difficoltà di attenzione. In questa patologia è presente l’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente. È bene precisare che l’ADHD non è una normale fase di crescita che tutti attraversano, non è una caratteristica caratteriale propria del bambino e non è nemmeno il risultato di una educazione carente.
Dal punto di vista clinico la sintomatologia dell’ADHD comprende difficoltà di attenzione, calo della concentrazione, mancanza di controllo degli impulsi e iperattività (eccessivo livello dell’attività motoria e vocale). I bambini che sono affetti da tale sindrome, rispetto ai loro coetanei, presentano un’evidente difficoltà a rimanere attenti od a svolgere un compito per un periodo di tempo sufficientemente prolungato. Diversi autori sostengono che il deficit principale della sindrome sia proprio rappresentato dalla difficoltà di mantenere l’attenzione, soprattutto in attività ripetitive e monotone in situazioni scolastiche/lavorative e sociali. Il bambino, pur in assenza di altri deficit cognitivi, difficilmente ottiene brillanti risultati scolastici e presenta problematiche anche in situazioni ludiche, attuando frequenti passaggi da un gioco a un altro, senza però completarne alcuno. Per quanto riguarda la prognosi si può affermare che si osserva mediamente una lieve attenuazione della sintomatologia con il passare degli anni, ma ciò non significa che il problema sia risolto con l’aumentare dell’età, in quanto spesso possono riscontrarsi anche altri disturbi mentali, per esempio depressione, condotta antisociale o ansia durante l’adolescenza.

Per approfondire:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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