Le funzioni cognitive sono l’insieme di caratteristiche e processi consci ed inconsci che permettono all’essere umano di identificare, elaborare, memorizzare, richiamare, usare e comunicare informazioni. Esempi di funzioni cognitive sono la percezione, la memoria, il riconoscimento, l’attenzione, le funzioni prassiche, la comprensione e l’elaborazione del linguaggio, le funzioni esecutive. Quando una o più funzioni cognitive sono alterate per un danno congenito o acquisito, si parla di “deficit cognitivo“. Prima di organizzare una terapia specifica, il medico e lo psicoterapeuta hanno bisogno di valutare se il deficit è effettivamente presente e quanto è grave, attraverso la valutazione cognitiva del paziente.
La valutazione clinica e strumentale delle funzioni e dei disturbi cognitivi
La valutazione cognitiva di un individuo comprende lo studio delle sue funzioni cognitive, come il pensiero, l’attenzione, la memoria, il linguaggio, le abilità visuo-spaziali. L’utilità di tale valutazione si può riscontrare in ambito clinico, come strumento fondamentale per giungere a una diagnosi ed a un approfondimento di eventuali deficit cognitivi in bambini con difficoltà dell’apprendimento (generalmente con deficit cognitivi congeniti), in soggetti con lesioni cerebrali e malattie neurologiche (deficit cognitivi acquisiti, ad esempio da demenze, Alzheimer, ictus cerebrali…) e negli anziani con deterioramento delle facoltà mentali. La valutazione delle funzioni cognitive viene inoltre utilizzata in ambito forense nella stesura di perizie civili e penali, nel campo assicurativo e pensionistico.
Strumenti validi e attendibili, fondamentali per la valutazione dei disturbi cognitivi
sono il colloquio clinico con il paziente, l’esecuzione di esami (di laboratorio e di diagnostica per immagini) e la somministrazione di test: in questo articolo ci occuperemo di quest’ultimi.
Test cognitivi
Esistono vari tipi di test cognitivi, tra cui test d’intelligenza, il test delle matrici di Raven, il Wisconsin Card Sorting Test ed il Mini Mental State Examination.
Test d’intelligenza
Alla fine dell’Ottocento, l’antropologo e matematico britannico Francis Galton per primo cercò di sviluppare un test per la valutazione delle abilità intellettive. Secondo l’opinione di Galton, l’intelligenza è una questione di capacità sensoriali e percettive: tutte le informazioni possono essere acquisite attraverso i sensi e, di conseguenza, l’individuo sarà intelligente se possiede un sistema percettivo sensibile e preciso. Egli sosteneva che le capacità sensoriali e percettive vengono trasmesse geneticamente alla prole; da ciò derivava la convinzione che esistessero famiglie biologicamente e intellettivamente superiori.
Al fine di valutare l’intelligenza, Galton costruì una batteria di prove usando come variabili da studiare le dimensioni della testa dell’individuo, i tempi di reazione, l’acuità visiva, la memoria e la soglia visiva. In realtà questi test, somministrati a oltre 9000 persone, non portarono ai risultati sperati; le capacità cognitive di un individuo non dipendevano dunque strettamente dalle variabili da lui utilizzate.
All’inizio del XX secolo, il francese Alfred Binet formulò l’ipotesi che l’intelligenza fosse la capacità di ragionamento e di risoluzione di problemi, indipendentemente dalle capacità percettivo-motorie. Su richiesta del governo francese e in collaborazione con un altro psicologo francese Theophile Simon, costruì una scala d’intelligenza pubblicata nel 1905. La scala venne costruita con lo scopo di valutare le facoltà mentali di bambini dai 6 agli 8 anni, per individuare coloro che, avendo capacità inferiori, non potevano affrontare il normale iter scolastico. A questo scopo Binet introdusse i concetti di età mentale (EM) e di età cronologica (EC). Il test prevedeva una scala di item di crescente difficoltà, che misurava il tipo di cambiamento intellettivo normalmente associato alla crescita. Tanti più erano gli item a cui un bambino rispondeva, tanto più elevata era la sua età mentale che veniva confrontata successivamente con la sua età cronologica, determinata dalla data di nascita. Bambini particolarmente brillanti riuscivano a rispondere a item a cui rispondevano la maggior parte dei bambini più grandi d’età, dimostrando un’età mentale maggiore di quella eronologica. Viceversa un bambino lento rispondeva solo a item per bambini più piccoli, ottenendo un’età mentale inferiore a quella cronologica.
Successivamente il test sviluppato da Binet venne modificato da Lewis Terman alla Stanford University. Egli standardizzò la somministrazione dei test e identificò i punteggi normativi su un campione di migliaia di bambini. Nel 1916 pubblicò la revisone Stanford della scala di Binet, ora chiamata scala Stamford-Binet, in seguito revisionata nel 1937, nel 1960, nel 1972, nel 1986, tuttora utilizzata. Terman conservò il concetto di EM e di EC e, in collaborazione con lo psicologo tedesco William Stern, introdusse un nuovo indice: il QI o quoziente intellettivo. Esso esprime l’intelligenza come il rapporto fra età mentale ed età cronologica: QI = EM\EC x 100.
Nel 1939 David Wechsler sviluppò un nuovo test d’intelligenza. Egli riteneva che non potesse esistere un parallelismo nella relazione tra maturazione di un individuo e sviluppo dell’intelligenza e che la scala di Stanford-Binet non fosse adatta per gli adulti. Secondo l’opinione di Weschler, nel test di Binet troppi item richiedevano capacità linguistiche, mentre egli sosteneva l’ipotesi che le capacità intellettive fossero soprattutto non verbali. Per questo ebbe l’idea di riequilibrare gli item che facevano appello all’uso del linguaggio con item di performance che valutassero l’intelligenza per mezzo di prove pratiche di manipolazione di oggetti. Formulò così la Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS), revisionata successivamente nel 1939, nel 1955, nel 1981, che oggi rappresenta il test d’intelligenza più usato in soggetti al di sopra dei sedici anni. La WAIS non misura il solo fattore di intelligenza generale, ma comprende una serie di dimensioni, coerenti alloro interno per tipologia di prove, che compongono il test, in altre parole la WAIS è un test multi dimensionale di varie abilità intellettive.
Wechsler attribuì un nuovo significato al concetto di QI. Riteneva infatti che la tesi di Stern secondo cui il QI è un indice della velocità di sviluppo intellettivo non potesse valere per gli adulti e non potesse nemmeno essere sempre valida per i bambini. Secondo Wechsler il quoziente intellettivo deve rappresentare la misura dell’efficienza mentale di un individuo riferita alla media di un gruppo di appartenenza. Questo è il significato che ancora oggi si attribuisce al concetto di quoziente di intelligenza. Nella scala di Wechsler, il punteggio ottenuto nella compilazione del test è quindi un indice di efficienza che consente di collocare il soggetto all’interno del suo gruppo d’età. Per la determinazione del QI si opera una trasformazione del punteggio grezzo ottenuto al test, in un punteggio standard rapportato a una distribuzione gaussiana. Tale distribuzione avrà media 100 e deviazione standard di 15 (parametri rapportati a QI Stern). Attualmente:
- il 25% della popolazione ha un QUI al di sotto di 90 (il 21,5 ha un QI compreso tra 90 e 70, il 3,5 si colloca al di sotto di 70);
- il 50% della popolazione presenta un QI compreso tra 90 e 110;
- il 25% della popolazione si trova al di sopra di 110 (il 21,5% di individui va da 110 a 130, il 3% da 130 a 140 e solo lo 0,5% supera un punteggio di 140).
Wechsler in seguito formulò anche la Wechsler Intelligence Scale for Children (WISCH), adatta per bambini tra i sei e i sedici anni e la WPPSI-R, adatta in età prescolare, dai tre agli otto anni. Queste scale sono le più utilizzate oggi per la valutazione delle capacità cognitive dei bambini, per l’indagine dei problemi di apprendimento, per la diagnosi dei ritardi mentali e per approfondire le effettive capacità di bambini particolarmente dotati.
Il test delle matrici di Raven
Nella scala Stanford-Binet e nella WAIS il livello di scolarizzazione ha un ruolo fondamentale, rappresentando una potenziale distorsione se i test vengono applicati ad altre tipologie di educazione o a persone non scolarizzate. Questa caratteristica ha richiesto la progettazione di una tipologia di test cosiddetta culture free, non influenzata dal tipo di cultura del soggetto: il più noto è quello pubblicato da John Raven nel 1938, chiamato test delle matrici progressive o matrici di Raven. Questo test viene utilizzato per la valutazione delle funzioni intellettive non verbali, mettendo in evidenza capacità analitiche non dipendenti da nozioni precedentemente apprese, come abilità spaziali e di ragionamento.
Le matrici di Raven sono considerate il test elettivo per misurare il fattore gf dell’intelligenza ovvero l’intelligenza definita fluida. Vi sono tre differenti tipi di matrici, per diversi tipi di soggetti.
- matrici progressive colorate (bambini e gruppi speciali);
- matrici progressive standard (adulti da 6 a 80 anni);
- matrici progressive avanzate (adolescenti e adulti).
Studi su questo test dimostrano che esso non misura in modo adeguato i soggetti molto
più intelligenti della norma, mentre è più adatto per la valutazione del ritardo mentale.
Wisconsin Card Sorting Test – WCST
Questo test è indicato per lo studio e l’approfondimento di pazienti con lesioni della corteccia prefrontale; essi presentano tipici disturbi dell’attenzione, incapacità di ragionamento astratto, perseverazione, difficoltà nella formulazione di strategie per la risoluzione di un compito, scarsa flessibilità mentale.
Il test di selezione di carte di Wisconsin viene in genere usato per valutare la flessibilità delle strategie nel problem solving e la sensibilità del paziente al feedback proveniente dal risultato della propria esecuzione. Inoltre il test sembra particolarmente appropriato per lo studio della perseverazione: Milner nel 1963 verificò che soggetti con lesione frontale dorsolaterale dell’emisfero sinistro commettevano un maggior numero di errori perseveratori e raggiungevano un numero inferiore di categorie. Milner osservò che i disturbi cognitivi più accentuati conseguivano a un danno delle aree dorso-laterali dei lobi frontali. Inoltre pazienti cosiddetti “frontalizzati” che presentano vistose anormalità nel comportamento sociale possono rispondere in modo normale a molti test di intelligenza: possono esserci infatti affezioni del cervello senza che i test misurino menomazioni significative. Per questo motivo può essere utile completare l’indagine neuropsicologica con altre prove atte a indagare l’adeguatezza del comportamento sociale. È possibile infatti che un soggetto che abbia subito lesioni frontali abbia perso ogni conoscenza riguardante il comportamento sociale per cui, anche se dotato di normali meccanismi di ragionamento, non sia in grado di risolvere un problema, oppure possieda ancora quelle conoscenze, ma non sia più in grado di metterle insieme ed elaborarle per compiere una scelta.
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Scale cliniche per la valutazione cognitiva globale – MMSE
Il Mini Mental State Examination (MMSE) costruito da Folstein et al. (1975) è una scala di valutazione clinica ampiamente utilizzata nella valutazione delle funzioni cognitive dei soggetti anziani e fornisce un punteggio indicativo della presenza e del grado di un eventuale deterioramento globale delle funzioni cognitive. L’MMSE è quindi uno strumento di fondamentale importanza per la diagnosi di demenza, indipendentemente dall’eziologia, la ragione di questa ampia diffusione in ambito sia clinico sia di ricerca sta nel fatto che la sua somministrazione richiede solo pochi minuti e che è attendibile nel determinare il grado del deficit cognitivo e nel seguire la progressione di una condizio-ne di demenza.
L’MMSE è costituito da trenta items che fanno riferimento a sette aree cognitive differenti: orientamento nel tempo, orientamento nello spazio, registrazione di parole, attenzione e calcolo, rievocazione, linguaggio, prassia costruttiva. Il punteggio totale è compreso tra un minimo di O e un massimo di 30 punti. Un punteggio:
- uguale o inferiore a 18 è indice di una grave compromissione delle abilità cognitìve;
- un punteggio compreso tra 18 e 23 è indice di una compromissione da moderata a lieve;
- un punteggio pari a 26 è considerato borderline.
Molti studi hanno tuttavia messo in luce i limiti di questo strumento. Uno dei problemi dell’utilizzo del MMSE nella popolazione anziana è la forte influenza che le variabili demografiche, quali l’età, l’educazione e la cultura esercitano sui punteggi ottenuti al test. Per controllare le conseguenze di queste variabili, aumentando la sensibilità e specificità del MMSE nella definizione dei problemi cognitivi, sono stati condotti numerosi studi negli anni passati. Oggi la disponibilità di punteggi aggiustati permette una migliore comparazione dei dati ottenuti in studi trasversali su popolazioni di differenti età e livelli di scolarità.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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