Con “disturbo da depersonalizzazione” o “disturbo da depersonalizzazione-derealizzazione” o “sindrome di depersonalizzazione-derealizzazione” o semplicemente “depersonalizzazione” (in inglese “depersonalization disorder” da cui l’acronimo DPD o depersonalization/derealization disorder da cui l’acronimo DPDR) in medicina e psicologia si intende un disturbo psicologico in cui la persona ha sentimenti persistenti o ricorrenti di depersonalizzazione e spesso di derealizzazione.
Sebbene brevi episodi di spersonalizzazione o derealizzazione possano essere comuni nella popolazione generale, il disturbo viene diagnosticato solo quando questi sintomi causino disagio sostanziale, compromettano il funzionamento sociale, lavorativo o interferiscano con altre aree importanti della vita dell’individuo.
Il disturbo da depersonalizzazione appartiene al gruppo dei disturbi dissociativi insieme al disturbo dissociativo dell’identità (anche noto come “disturbo di personalità multipla”), all’amnesia dissociativa (anche nota come “amnesia psicogena”) ed alla fuga dissociativa (anche nota come “fuga psicogena” o “stato di fuga”).
Cause
La causa esatta della depersonalizzazione-derealizzazione è sconosciuta, sebbene siano state identificate correlazioni e fattori scatenanti biopsicosociali. Si pensa che il disturbo di depersonalizzazione-derealizzazione sia causato in gran parte da traumi interpersonali come l’abuso sessuale infantile. Una concettualizzazione cognitivo-comportamentale è che l’interpretazione errata dei sintomi dissociativi normalmente transitori come un’indicazione di una grave malattia mentale o di un deterioramento neurologico porta allo sviluppo del disturbo cronico. Questo porta a un circolo vizioso di ansia intensificata e sintomi di spersonalizzazione e derealizzazione. Non si sa molto sulla neurobiologia del disturbo di depersonalizzazione, tuttavia vi sono prove convergenti che la corteccia prefrontale possa inibire i circuiti neurali che normalmente formano il substrato dell’esperienza emotiva.
Una scansione PET ha rilevato anomalie funzionali nella corteccia visiva, uditiva e somatosensoriale, nonché nelle aree responsabili di uno schema corporeo integrato. In uno studio con risonanza magnetica, scene di avversione emotiva hanno attivato la corteccia prefrontale ventrale destra. I partecipanti hanno dimostrato una risposta neurale ridotta nelle regioni sensibili alle emozioni, nonché una maggiore risposta nelle regioni associate alla regolazione emotiva. In un test simile della memoria emotiva, i pazienti con disturbo di depersonalizzazione non hanno elaborato materiale emotivamente saliente nello stesso modo dei controlli sani. In un test sulle risposte di conduttanza cutanea a stimoli spiacevoli, i soggetti hanno mostrato un meccanismo inibitorio selettivo sull’elaborazione emotiva.
Gli studi hanno scoperto che i pazienti con depersonalizzazione-derealizzazione potevano essere distinti dai pazienti con depressione clinica e disturbo da stress post-traumatico.
Il disturbo di depersonalizzazione potrebbe essere associato alla disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, l’area del cervello coinvolta nella risposta “combatti o fuggi”. I pazienti mostrano livelli anormali di cortisolo e attività basale. Si è pensato che la spersonalizzazione sia stata causata da una risposta biologica a situazioni pericolose o potenzialmente letali che provocano un aumento dei sensi e neutralità emotiva. Se questa risposta si verifica in situazioni di vita reale, non minacciose, il risultato può essere scioccante per l’individuo.
Non è chiaro se la genetica giochi un ruolo, tuttavia sembra che il disturbo sia più frequente nei membri della stessa famiglia.
Relazione con altri disturbi psichiatrici
La spersonalizzazione esiste sia come fenomeno primario (cioè che insorge “da solo”, senza che siano presenti altri disturbi), che secondario (cioè determinato da altro disturbo), anche se fare una distinzione clinica sembra facile ma non è assoluta. I disturbi concomitanti più comuni sono la depressione e l’ansia, sebbene esistano casi di disturbo di depersonalizzazione senza sintomi di entrambi. Possono esistere comportamenti ossessivi e compulsivi, che nascono come tentativi di affrontare la spersonalizzazione. Molte persone con disturbi di personalità come il disturbo schizoide di personalità, il disturbo schizotipico di personalità e il disturbo borderline di personalità avranno una più alta probabilità di avere un disturbo di depersonalizzazione. I ricercatori dell’Istituto di Psichiatria di Londra, in Inghilterra, suggeriscono che il disturbo di depersonalizzazione sia associato ai disturbi d’ansia e dell’umore (come inteso nell’ICD-10), invece che ai disturbi dissociativi (come inteso nel DSM).
Fattori di rischio
Fattori di rischio sono il sesso femminile, l’età tra 20 e 40 anni, l’avere parenti con disturbo di depersonalizzazione-derealizzazione e la presenza di altra patologia psichiatrica. Le persone che vivono in culture altamente individualistiche possono essere più vulnerabili alla spersonalizzazione, a causa dell’ipersensibilità alle minacce e di un locus of control esterno.
Fattori scatenanti
I fattori scatenanti possono includere:
- stress significativo e prolungato;
- improvvisi traumi psicologici e/o fisici;
- attacchi di panico;
- uso di droghe (ad esempio ingestione di allucinogeni);
- disturbo depressivo maggiore;
- panico;
- alcol;
- stanchezza;
- forte tabagismo.
Fattori “calmanti”
I fattori che tendono a diminuire i sintomi sono confortanti interazioni personali, intensa stimolazione fisica o emotiva e rilassamento. Anche il distrarsi (impegnandosi in una conversazione o guardando un film tranquillo, per esempio) può fornire un sollievo temporaneo. Alcuni altri fattori che tendono ad alleviare la gravità dei sintomi sono la dieta corretta e bilanciata, l’esercizio fisico costante ed adeguato, la vita attiva e piena di interessi.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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