Malattia da decompressione: terapia e fisiopatologia

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma APNEA OSTRUTTIVA DEL SONNO CAUSE RISCHI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneLa malattia da decompressione (MDD) è una patologia che appartiene al gruppo delle “patologie da decompressione“, che comprende anche l’embolia gassosa arteriosa (EGA). Sia MDD che EGA sono accomunate dal fatto che il danno all’organismo è causato da una rapida variazione pressoria ambientale e sono tipiche tra i pazienti che, per lavoro o per hobby, sottopongono il proprio organismo ad ambienti caratterizzati da differenti pressioni ambientali (ad esempio sub o aviatori).
La MDD è caratterizzata dalla formazione di bolle all’interno del circolo ematico o dei tessuti e provocata dalla mancata eliminazione di gas inerti (azoto). La malattia può verificarsi tipicamente in seguito ad un’immersione subacquea, ma può anche verificarsi in altre situazioni, come ad esempio quando si verifica una rapida perdita di pressione nella cabina di un velivolo. Ogni evento di MDD richiede un trattamento di ricompressione di tipo diverso a seconda della gravità dei sintomi e del tipo di MDD.

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Fisiopatologia della malattia da decompressione

I reali meccanismi di formazione, accrescimento e distribuzione delle microbolle non sono ancora del tutto chiariti. Per capire la patogenesi della MDD, sono necessarie tre premesse:

  • a causa della fisiologica vorticosità del flusso ematico, della presenza di ostacoli al flusso e altri fattori, nel sangue di chiunque si formano sempre delle microbolle, che si dissolvono in pochissimo tempo senza possibilità alcuna di creare il benché minimo danno;
  • la perfusione è la quantità di sangue che irrora l’organo: il fegato è molto più perfuso del tessuto adiposo, per fare un esempio;
  • la diffusione è la facilità di un gas (nel caso dell’MDD, si parla di azoto) ad essere assorbito (saturazione) e successivamente eliminato (desaturazione) da un distretto. Si possono quindi avere tessuti altamente perfusi e in cui l’azoto diffonde molto velocemente (“tessuti rapidi”, tipo il sangue), o all’estremo opposto tessuti scarsamente perfusi in cui però l’azoto diffonde molto bene (“tessuti molto lenti”,ad esempio, cartilagini e grasso).

Durante un’immersione, aumentando la profondità il subacqueo vede aumentare la pressione esterna (circa 1 atm ogni 10 metri di profondità). In tal modo aumenta anche la pressione parziale di azoto che sta respirando, in virtu’ della legge di Dalton. Aumentando la pressione parziale, ovviamente l’azoto diffonde con gran facilità nei vari tessuti. Il problema sta nel rilascio di azoto durante la risalita dei tessuti lenti. Il sangue si trova sempre in una condizione di sovrasaturazione, dato che deve smaltire l’azoto che i vari tessuti stanno cedendo, ognuno alla sua velocità, ed ovviamente è più probabile che si formino delle bolle che aumentino di dimensione. Tuttavia normalmente ciò non è un problema, in quanto il sangue venoso viene mandato direttamente ai polmoni, e quindi eventuali bolle di azoto si bloccano all’altezza dei capillari polmonari, dove si possono sciogliere con calma (non danneggiano il polmone, dato che il polmone viene “nutrito” dall’arteria bronchiale, e non dall’arteria polmonare). Tuttavia, in presenza di un elevato numero di bolle di cospicua entità o di difetti circolatori (potenzialmente non noti al subacqueo), le bolle sono in grado di passare oltre il filtro dei capillari polmonari e tornare al cuore, andandosi poi a fermare nei capillari dei vari organi, provocando ovviamente danni all’organo interessato. A tutti questi fattori bisogna sommarne anche altri, tra cui:

  • sforzo fisico: all’aumentare dell’attività fisica, aumenta la perfusione dei muscoli;
  • temperatura: interferisce con la perfusione periferica e con la frequenza respiratoria, aumentandola;
  • stress: le emozioni possono alterare la perfusione ed aumentare la frequenza respiratoria e cardiaca.

La MMD può insorgere non solo in soggetti sani che hanno fatto errori durante l’attività di immersone, ma anche in soggetti predisposti nonostante il fatto che l’immersione sia stata effettuata entro la curva di sicurezza (un rapporto tra profondità e tempi di immersione che non consentono un accumulo eccessivo di azoto nell’organismo) oppure nonostante il rigoroso rispetto delle soste di decompressione (soste stabilite a determinate quote in base al superamento di determinate profondità e tempi di immersione per smaltire accumuli eccessivi di azoto). Questo accade perché i fattori che possono provocare un eccessivo assorbimento – o un insufficiente smaltimento – dei gas inerti sono diversi e dipendono sia dalle condizioni fisiche del subacqueo e dal suo allenamento, sia dall’ambiente esterno (ad es. stress ed affaticamento del subacqueo in immersione e/o temperatura rigida dell’acqua).

Sintomi e forme di malattia da decompressione

I sintomi della MDD sono molto variabili: talvolta sono talmente lievi da rendere l’individuazione della MDD difficoltosa ad un’analisi superficiale, altre volte invece sono estremamente gravi e letali. Si distinguono due forme a diversa gravità: la MMD di primo tipo (meno grave) e la MMD di secondo tipo (più grave).

Malattia da decompressione di primo tipo

La MMD di primo tipo è la forma meno grave ed i suoi sintomi sono:

  • febbre medio-alta;
  • prurito;
  • tumefazioni simili all’orticaria ;
  • arrossamenti;
  • chiazze bluastre (cutis marmorata);
  • tumefazioni o rigonfiamenti nel sottocutaneo, in corrispondenza dei linfonodi o dei tessuti attraversati dai vasi stessi (da ostruzione linfatica);
  • dolore articolare sordo, persistente, intenso e circoscritto, solitamente a carico delle articolazioni degli arti (ginocchia, gomiti, caviglie e polsi, mano).

Il dolore articolare inizia gradualmente e può aumentare muovendo l’articolazione coinvolta; per contro non si riduce immobilizzandola. Va prestata attenzione in caso di dolore intenso in area toracica, addominale, al bacino o alle spalle in quanto può essere sintomo di un coinvolgimento midollare e richiedere un trattamento per MDD di secondo tipo. Il rigonfiamento da causa linfatica può persistere anche dopo un eventuale trattamento di ricompressione.

Malattia da decompressione di secondo tipo 

La MMD di secondo tipo è la forma più grave ed i suoi sintomi sono:

  • sintomi neurologici: derivanti dalla presenza di bolle nel cervello o nel midollo spinale. Di norma qualunque manifestazione di tipo neurologico, compreso un eventuale senso di spossatezza sproporzionato al tipo di sforzo affrontato nell’immersione, deve far presumere la possibile insorgenza di una MDD di secondo tipo e deve pertanto essere trattato come tale. Nello specifico, i sintomi neurologici possono riguardare:
    • cervello: i sintomi sono diversi a seconda dell’area del cervello coinvolta; si va da disturbi della visione, difficoltà motorie, difficoltà nella parola, paralisi di metà del corpo fino alla morte nel caso in cui le bolle coinvolgano il tronco encefalico. I danni possono essere permanenti;
    • midollo spinale: anche in questo caso i sintomi sono diversi a seconda del tratto di midollo coinvolto; si possono avere formicolio o insensibilità nelle gambe, paraplegia, tetraplegia o altri sintomi intermedi. Anche in questo caso i danni possono essere permanenti;
  • sintomi polmonari: la produzione cospicua di bolle intravascolari può provocare una congestione dei capillari polmonari e quindi la riduzione dello scambio gassoso. I sintomi sono dolore al torace che si intensifica inspirando, difficoltà respiratorie e/o aumento della frequenza respiratoria e tosse stizzosa (chiamata chokes). Può aversi drastico peggioramento delle condizioni fino al collasso respiratorio, perdita di conoscenza e morte.
  • sintomi relativi all’orecchio interno: la MDD è provocata dalla formazione di bolle nell’endolinfa; i sintomi sono violente vertigini, nausea e vomito, perdita di equilibrio, difficoltà uditive, acufeni. La comparsa dei sintomi è spesso tardiva (24/36 ore dall’immersione).

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Trattamento della malattia da decompressione

L’unica terapia efficace è la somministrazione immediata di ossigeno puro (idealmente bisognerebbe far respirare proprio il 100% di pO2 alla vittima), da continuare fino all’arrivo in ospedale o comunque il più a lungo possibile e l’uso della camera iperbarica, poiché tramite la ricompressione le bolle di gas presenti nei vasi sanguigni si risaturano, e successivamente con l’uso di specifiche tabelle decompressive terapeutiche con successive tappe a pressioni inferiori i gas vengono desaturati. Per la particolare complessità e relativi rischi, di norma bisogna sempre affidarsi ad un centro iperbarico gestito da tecnici e medici anestesisti. La terapia comprende anche la tassativa sospensione delle immersioni per un lungo periodo.

Prevenzione della malattia da decompressione

L’immersione conservativa da parte dei subacquei dovrebbe essere effettuata utilizzando le tabelle di decompressione rispettando i tempi indicati o, nel caso si utilizzi un computer subacqueo, prestando attenzione a non avvicinarsi mai troppo ai limiti di non-decompressione, soprattutto nel caso l’immersione si sia estesa oltre i 30 metri di profondità. Sforzi continuati o improvvisi durante l’immersione, così come dopo l’emersione, situazioni di stress, acqua particolarmente fredda, aumentano il rischio di una MDD.

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