Pubalgia acuta e cronica: cause, gravità, sintomi, esercizi e rimedi

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Con il termine “pubalgia”, nell’uso comune, si intende una sindrome dolorosa generica che può interessare la regione del basso addome, l’inguine e la zona interna delle cosce. Le cause di una pubalgia possono essere molto diverse e spaziano da patologie tendinee o muscolari, ossee o articolari fino a quelle di tipo infettivo e tumorale; tuttavia con pubalgia in senso stretto, si intende una sindrome dolorosa della griglia pelvica che rientra tra le “patologie da sovraccarico”, cioè la cui origine si fa risalire a una serie di microtraumi ripetuti nel tempo, come quelli che si verificano negli sportivi. In sostanza, quindi, la pubalgia è un dolore muscolare (mioentesite) che riguarda diversi gradi di lesione dei muscoli della zona frontale e bassa dell’addome e della sinfisi pubica. La pubalgia è una sindrome temuta da tutti gli atleti: il dolore è in genere talmente fastidioso, da rendere impossibile anche per diverse settimane la normale attività sportiva.

Dove fa male quando si soffre di pubalgia?

Quando si soffre di pubalgia, il dolore intressa una o più delle tre seguenti zone:

  • zona inguinale, situata fra la radice della coscia e la base della parete addominale (in parole semplici, tra la fine del basso addome e l’inizio della gamba);
  • zona pubica, la porzione anatomica triangolare situata in corrispondenza della sinfisi pubica (in parole semplici, la zona che dopo la pubertà si ricopre di peli a coprire i genitali);
  • interno coscia.

Le tre zone sono evidenziate nell’immagine in alto in questo articolo.

Pubalgia acuta o cronica: differenze

La pubalgià può essere definita “acuta“, se i sintomi permangono meno di tre mesi; si parla invece di pubalgia cronica nei casi in cui la sintomatologia duri oltre i tre mesi. Generalmente la pubalgia acuta determina sintomi più dolorosi e fastidiosi, rispetto alla forma cronica.

Diffusa tra gli sportivi

Questa patologia interessa soprattutto gli sportivi, in particolare i professionisti, cioè coloro che svolgono attività continuative e ad alto livello, come ad esempio i giocatori di calcio, e le donne in gravidanza. Ma non solo. Non è infrequente che tale problema emerga anche in atleti che svolgono altre attività sportive come il tennis, la scherma, la pallamano, l’atletica, la danza, l’equitazione, discipline nelle quali è richiesta l’intensa sollecitazione degli arti inferiori. A parte il tipo di sport praticato, non bisogna dimenticare che la pubalgia può sopraggiungere anche a seguito di un cambiamento del tipo di allenamento o, anche, del terreno sul quale lo si svolge (troppo cedevole o eccessivamente irregolare, ad esempio), del tipo di scarpe utilizzato, oppure in relazione alle caratteristiche strutturali dell’atleta, come un’accentuata curvatura lombare, una dismetria degli arti inferiori, patologie congenite dell’anca o problemi posturali che creano asimmetria del bacino.

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Pubalgia e gravidanza

Esiste una particolare variante della pubalgia che colpisce le donne in gravidanza, in quanto man mano che aumenta la dimensione del feto, si ha una retroversione del bacino con conseguente iperlordosi, che determina una di quelle condizioni che favoriscono l’insorgenza della patologia, oltre ad uno stiramento della muscolatura dell’addome. Inoltre man mano che la gravidanza procede, il corpo secerne un ormone chiamato Relaxina che tende a rendere le articolazioni più morbide ed elastiche, tra cui la sinfisi pubica che sarà molto importante durante il parto. Per approfondire: Pubalgia in gravidanza: cause e rimedi del dolore all’osso pubico

Cause e fattori di rischio

Le cause ed i fattori di rischio sono molti, ma il più frequente è sicuramente lo sbilanciamento funzionale tra i muscoli addominali e il muscolo adduttore, con il secondo che risulta essere quasi sempre molto più forte e tonico. Talvolta la comparsa di una pubalgia è secondaria ad una contrattura o stiramento dei flessori dell’anca, i quali inducono un cambiamento nella postura. Può contribuire anche una eccessiva lordosi lombare, che determina una retroversione del bacino con conseguente stiramento e sovraccarico nella zona inguinale dove appunto si inseriscono adduttori e retto dell’addome.
In certi casi, il dolore compare anche in seguito a continui allenamenti su terreni non adatti (terreni troppo morbidi o troppo duri), o in seguito a calzature che modificano la dinamica della corsa, andando a sovraccaricare la zona.

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Gradi di pubalgia

La pubalgia ha diversi stadi di gravità:

  • Grado 0: è un dolore leggero, spesso silente, che viene messo in evidenza alla palpazione, ma che non inficia minimamente la deambulazione
  • Grado 1: è una pubalgia, che il paziente avverte, solo quando prova a praticare lo sport, ma che passa dopo aver terminato. È il grado più sottovalutato, in quanto la maggior parte delle persone tendono a sottovalutare la sintomatologia, o ancor peggio tendono a “stringere i denti” sperando che passi da solo.
  • Grado 2: Il dolore persiste anche dopo la pratica sportiva, e il paziente lo avverte anche camminando normalmente. Parliamo qui di un grado importante di infiammazione che va curato immediatamente per evitare che peggiori e passi al grado successivo
  • Grado 3 (tendinosi cronica): in questo grado il paziente ha un dolore che gli impedisce anche solo di camminare. Il dolore è molto forte, e sopratutto, tende a non risolversi neanche con gli antinfiammatori. I tempi di recupero sono molto lunghi e non sempre le cure rispondono in maniera soddisfacente, limitando molto l’attività sportiva anche per mesi.

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Diverse forme di pubalgia

La pubalgia è provocata da un carico eccessivo che si può verificare, come detto, nella pratica sportiva o anche durante il periodo della gravidanza. A seconda della zona interessata, si possono riscontrare forme diverse di patologia:

  • la “sindrome retto-adduttoria” che riguarda l’infiammazione dei muscoli che si inseriscono sulla parte antero-superiore dell’osso iliaco è di gran lunga la più frequente; in questo caso, la zona centrale del bacino (osso pubico) viene sottoposta a forti sollecitazioni e tensioni muscolari, provenienti dall’alto (muscoli addominali) e dal basso (muscoli adduttori della coscia) che possono, a lungo andare, creare una patologia da sovraccarico. In questa zona, inoltre, si trova il canale inguinale, che spesso è una parte debole e causa principale dei dolori, la cui origine è proprio un deficit della muscolatura addominale. In coloro che si dedicano all’attività calcistica si può presentare più frequentemente una infiammazione dei muscoli e dei tendini adduttori senza escludere, però, quelli addominali;
  • la “sindrome sinfisaria” che riguarda il parziale cedimento della sinfisi pubica. La sinfisi pubica è un’articolazione fibro-cartilaginea praticamente immobile che si trova al centro del bacino: la sua mobilità limitata è comunque molto importante, soprattutto nelle donne durante il parto, perché consente, grazie alla sua elasticità, il passaggio del feto. In gravidanza, la griglia pelvica della donna è sottoposta a grandi stress per i movimenti di nutazione e contronutazione; inoltre, per effetto di un generale aumento della lassità dei legamenti, a causa della produzione degli ormoni relaxina e progesterone, può verificarsi un rilasciamento (diastasi) della sinfisi pubica che può causare dolore, più o meno intenso, mentre si cammina o nei cambi di posizione, soprattutto a letto. Tale disturbo, in genere, non deve destare preoccupazione in quanto legato a cause funzionali e destinato a risolversi spontaneamente dopo il parto. Da non sottovalutare, però, l’eventuale malposizionamento del feto durante la gestazione, che potrebbe avere conseguenze dirette sul disallineamento articolare e della griglia pelvica.

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Sintomi e segni

Il principale sintomo della pubalgia è naturalmente il dolore, che parte dall’osso pubico, si dirama in tutta la regione e si localizza nell’inguine fino a interessare, in certi casi, la faccia interna della coscia. Nelle forme lievi, compare al risveglio e si manifesta all’inizio degli esercizi fisici, tendendo poi a scomparire una volta effettuato il riscaldamento. Nelle fasi più gravi della patologia, al contrario, il dolore può apparire anche in modo improvviso, durante lo svolgimento dell’attività sportiva, tanto da impedirne la continuazione o, addirittura, rendere difficile la semplice deambulazione. In questo caso, il dolore diventa persistente, continuo e tende ad aggravarsi con l’attività mentre soltanto il riposo lo attenua.

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Terapia della pubalgia

La terapia della maggioranza dei casi di pubalgia è il riposo. Se vi trovate nel grado zero, probabilmente basterà un riposo di circa una settimana, associato a impacchi di ghiaccio sulla zona dolente per circa 10-15 minuti, per 3 volte al giorno. Può essere utile massaggiare al zona con una crema antinfiammatoria, e fare esercizi di stretching almeno una volta al giorno. Già seguendo queste accortezze, il dolore dovrebbe scomparire, ma se non fosse così può essere associato un antinfiammatorio per via orale, previo consulto col medico curante.
Se vi trovate invece nel grado 1, allora la situazione è più complessa, e va considerato il problema in maniera più completa. Va consultato immediatamente un medico per la corretta diagnosi, escludere altre patologie ed per affrontare al meglio l’iter curativo. I soggetti che si trovano in questo stadio tendono a commettere un errore classico: sottovalutano la problematica e “stringono i denti”, convinti che il dolore per magia scomparirà da solo, ma non è affatto così che funziona, anzi si creano i presupposti per allungare i tempi di recupero. Se non verranno prese in considerazione le giuste precauzioni, si passerà facilmente al grado 2 o addirittura al grado 3, con tutti i problemi che ne conseguono. Valgono ugualmente i consigli per il grado 0, ma devono essere associati trattamenti fisioterapici-riabilitativi (ad esempio tecarterapia) per guarire efficacemente.

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Esercizi utili nella pubalgia

Uno degli esercizi utili in caso di pubalgia è la posizione yoga della farfalla. Si parte da seduti, con la schiena dritta e le gambe piegate. I piedi sono posti a contatto tra loro con la pianta e le caviglie tenute con le mani, mentre i talloni toccano terra.
Senza spingere con forza verso il basso, ma limitandosi a rilassare gli arti, le ginocchia vengono fatte oscillare simulando appunto il battito d’ali di una farfalla. Il movimento delle ginocchia va ripetuto per dieci volte, mentre la posizione mantenuta per circa due minuti.
Un secondo esercizio prevede l’utilizzo di un asciugamano o di un tessuto di lunghezza pari a quella delle gambe o poco meno. Questo perché si passa dalla posizione iniziale, sdraiati sulla schiena con gambe e braccia distese, al piegamento del ginocchio al petto della gamba interessata e la successiva distensione verso l’alto dell’arto.
Una volta piegato il ginocchio al petto si posizionerà il panno sull’estremità del piede, poco sotto le dita, così da assicurare un’azione tirante durante la fase di distensione della gamba. Chi riesce a toccare la punta del piede con le mani può fare a meno del panno. Da ripetere per 10 volte, rilassando la respirazione ed eseguendo movimenti dolci e senza fretta.
In alternativa tale effetto si può ottenere partendo da seduti, con una gamba piegata come per eseguire la posizione della farfalla, mentre l’altra sarà distesa. Inclinare il busto in avanti fino a toccare a tirare la punta del piede, in maniera analoga a quanto accade per l’esercizio precedente. Allo stesso modo potrà essere utilizzato, qualora non si riuscisse a toccare i piedi con le mani, un asciugamano.
Sempre da seduti è possibile effettuare un nuovo esercizio. Dalla posizione di partenza, seduti con gambe distese in avanti, si piegherà una delle due gambe all’indietro di modo che la pianta del piede vada a contatto con il fianco.
A questo punto si inclinerà il busto all’indietro, volgendo però dal lato della gamba tenuta in posizione distesa. Il tutto in maniera leggera e fermandosi non appena si avvertiranno le prime tensioni, aumentando gradualmente col tempo l’inclinazione. Una volta trascorso un minuto ripetere con l’altra gamba.
Infine è possibile ricorrere ad un esercizio che stimoli i muscoli adduttori e addominali. Sdraiati a gambe distese si solleveranno gli arti inferiori e si terrà la posizione più a lungo possibile, poggiando poi le gambe di nuovo a terra quanto più dolcemente possibile. Nei casi più gravi è consigliato appoggiare le gambe alla parete, così da ridurre l’arco disegnato con i piedi e alleggerire di conseguenza il carico per i muscoli.
Gli esercizi appena descritti potrebbero risultare indicati soltanto per alcune delle possibili cause alla base della pubalgia. È opportuno quindi un consulto preventivo, come indicato per qualsiasi attività di recupero psicofisico, con il proprio medico curante.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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