Picnic a Hanging Rock (1975): spiegazione del finale del film

MEDICINA ONLINE Picnic at Hanging Rock film Peter Weir 1975 Joan Lindsay Il lungo pomeriggio della morte Anne Louise Lambert TEEN FLOWER BEAUTIFUL CINEMA WALLPAPER LOVE NATURA FIOREAvete appena finito di vedere il bellissimo film del 1975 Picnic a Hanging Rock diretto da Peter Weir ed avete la faccia a forma di punto interrogativo? Continuate a leggere e – forse – avrete le risposte che cercate! Sia il film, sia la versione attuale del romanzo scritto da Joan Lindsay da cui è stato preso, si concludono con un (finto) estratto da un giornale di Melbourne del 14 febbraio 1913 in cui si cita la morte dell’arcigna direttrice Mrs. Appleyard. Il finale però lascia molti interrogativi senza risposta, tra cui quello più importante: che fine hanno fatto Miranda e le altre ragazze scomparse? E soprattutto: perché sono scomparse? Il film non lo spiega e questa, almeno per me, è una delle cose più belle di un film che, a 40 anni di distanza, tiene incollati allo schermo fino alla fine per poi lasciarci puntualmente a bocca aperta. Ma quindi esiste o no un finale che spieghi qualcosa? No. Oppure si?

Il capitolo escluso dal romanzo

Secondo quanto racconta John Taylor, agente letterario di Joan Lindsay, in “The Secret of Hanging Rock”, l’editore del romanzo aveva avuto la brillante idea di rimuovere il diciottesimo ed ultimo capitolo, cioè l’ultimo capito, quello in cui la scrittrice spiegava quello che era successo alle ragazze scomparse. Un colpo di genio commerciale, senza il quale forse il romanzo non avrebbe avuto la stessa risonanza. Taylor conobbe la scrittrice nel 1972 durante le trattative per la cessione dei diritti cinematografici. Dopo aver letto il romanzo, Taylor confessò alla Lindsay di aver notato delle incongruenze nel terzo capitolo e “di essere giunto ad alcune conclusioni”. La Lindsay gli rispose che lui era stata l’unica persona ad avvicinarsi alla soluzione e gli consegnò una copia dattiloscritta del diciottesimo capitolo, con l’impegno a non rivelarlo prima della sua morte. Una copia ulteriore venne rinvenuta tra le carte della scrittrice ed è conservata nella sua casa di Mulberry Hill, vicino Melbourne, oggi un museo. C’è un motivo in tutto questo. Il terzo capitolo contiene dei paragrafi presi di peso dal diciottesimo capitolo perduto ed appiccicati lì con poca grazia. Perché sia stato fatto questo, non è dato da saperlo. Forse la Lindsay voleva lasciare una traccia per condurre il lettore verso una possibile soluzione.

Le stranezze del terzo capitolo

In effetti è nel terzo capitolo che è racchiusa la chiave del mistero. Gente più acuta di me si sarà sicuramente accorta che la seconda parte del terzo capitolo ha qualcosa che non va. Se provate a leggere attentamente notate delle curiose ripetizioni. E’ il momento in cui le quattro ragazze sono impegnate nell’ascesa verso la sommità della rocca. Le ragazze sostano per due volte in una spianata e compiono gli stessi gesti: osservano il gruppo dei campeggiatori dall’alto come fossero delle formiche e riposano. In entrambe le situazioni Edith implora una delle amiche di tornare indietro. E’ curioso che una quattordicenne timorosa come Edith, dopo aver chiesto una prima volta ad Irma di andare via, si metta tranquillamente a riposare sopra una roccia, poi si risvegli e solo dopo aver vanamente pregato Miranda di tornare, fugge via sconvolta. Queste incongruenze sono in parte presenti anche nel film.

Il capitolo diciottesimo e la spiegazione del finale

Ricapitoliamo: Joan Lindsay aveva scritto un romanzo composto da diciotto capitoli, con un finale che forniva la spiegazione della scomparsa delle tre ragazze sulla roccia e del ritrovamento di Irma. Per ragioni commerciali l’editore aveva chiesto alla Lindsay di rimuovere l’ultimo capitolo (il diciottesimo) e la Lindsay aveva acconsentito, lasciando al suo agente il compito di pubblicarlo dopo la sua morte. La spiegazione del film si trova quindi – in teoria – nel famoso diciottesimo ed ultimo capitolo del romanzo, che è stato poi riproposto nel libro “The Secret of Hanging Rock“. Quest’ultimo capitolo inizia dal momento in cui Edith fugge in preda ad una crisi isterica dalla roccia tornando verso il campo base. Le tre ragazze, Marion, Miranda ed Irma continuano la salita lungo il monolite fino ad arrivare in un pianoro dove iniziano a sperimentare delle strane sensazioni. Poco dopo sono raggiunte dalla signorina McGraw, loro insegnante di matematica, con la camicia strappata e senza la gonna, che non ricorda più il suo nome e quello delle ragazze. Anche le ragazze non riconoscono la donna. La McGraw agisce come una sorta di guida spirituale nei confronti delle ragazze guidandole verso la rivelazione di un altro tipo di realtà. Il momento chiave avviene quando Marion incita le altre ragazze a gettare i costrittivi corsetti nel precipizio ma gli indumenti, invece di cadere, restano fermi in una sorta di vuoto spazio-temporale. Successivamente la McGraw indica alle ragazze un’apertura tra le rocce, una sorta di varco spazio-temporale, entro le quali entrano prima lei, poi Marion e Miranda, trasformandosi in piccole creature striscianti, forse delle lucertole. Solo Irma resta fuori, forse per aver esitato troppo e la possibilità di passare dall’altra parte le viene negata da una frana che chiude l’apertura. La storia si conclude con Irma che “si gettò sulle rocce e andava rompendo e battendo la faccia granulosa del macigno con le sue mani nude.”

Superare una realtà di costrizioni

Il capitolo diciottesimo fornisce quindi una spiegazione sul mistero, pur aprendo altri interrogativi. Spiega la scomparsa delle ragazze e dell’insegnante (e dei loro corpi), il misterioso ritrovamento di Irma dopo otto giorni in stato di shock ma in buono stato fisico, il mistero delle unghie spezzate e dei piedi puliti della ragazza. Nel commento al capitolo, Yvonne Rousseau afferma che si tratta di una soluzione molto vicina all’esoterismo, il passaggio delle ragazze da una realtà (quella del mondo reale) costrittiva e limitata, ad una superiore e più ampia, in cui è forte la comunione con una natura misteriosa ed avvolgente. È evidente anche il collegamento con il paesaggio australiano, dominato dalla mai spenta tradizione aborigena del “sogno”, ovvero la fusione tra realtà materiale e spirituale, tra mondo dei morti e mondo dei vivi. Joan Lindsay non spiega però apertamente chi o che cosa abbia provocato l’apertura del passaggio, se esso fosse già esistente oppure no. Il fatto che solo tre delle quattro protagoniste abbiano avuto la possibilità di attraversare la soglia sembra dovuto al fatto, dice la Rousseau, che Marion, Miranda e la signorina McGraw erano persone spiritualmente elevate, diversamente dalla frivola e materialista Irma.

La traduzione in italiano del famoso diciottesimo capitolo

Sta accadendo adesso. Come è accaduto fin dal momento in cui Edith Horton è fuggita inciampando e urlando verso il pianoro. E come accadrà fino alla fine del tempo. La scena non cambierà mai, neppure per la caduta di una foglia o il volo di un uccello. Per le quattro persone sulla Roccia la recita avverrà sempre nel dolce tramonto di un presente senza passato. La loro gioia ed agonia saranno nuove senza fine.
Miranda è di poco avanti ad Irma e Marion mentre si spingono attraverso i cornioli, i suoi lisci capelli biondi che danzano liberamente come fiori di grano sulle sue spalle in movimento, come se nuotasse, solcando onda dopo onda di un verde opaco. Un’aquila sospesa allo zenit si accorge di un insolito tramestio di macchie più chiare nella boscaglia in basso, e spicca il volo nell’aria più alta e pura. Infine i cespugli si diradano davanti alla parete di una piccola rupe che trattiene l’ultima luce del sole. E’ così che in un milione di sere d’estate la traccia si forma e si riforma sui picchi e i pinnacoli della Hanging Rock.
L’altopiano sul quale sono emerse ora dalla boscaglia è molto simile a quello inferiore: macigni, pietre nomadi, a volte un albero stentato. Gruppi di felci gommose si agitavano leggermente nella pallida luce. La pianura sotto era infinitamente vaga e distante. Guardando in basso attraverso il circolo delle rocce, esse potevano appena distinguere l’andare e il venire di piccole figure, in mezzo a sbuffi di fumo rosato. Una forma nera che poteva essere un veicolo accanto al riflesso dell’acqua.
“Cosa stanno a fare quelle persone laggiù, zampettando come un mucchio di piccole formiche impegnate?” Giunse Marion e guardò sopra le spalle di Irma. “Un incredibile numero di esseri umani è privo di scopo.” Irma rise. “Ho l’impressione che si considerino molto importanti.”
Le formiche e i loro fuochi vennero scartate senza ulteriori commenti.
E comunque Irma si accorse, per un breve momento, di un suono piuttosto curioso che veniva dal piano, come il rimbombo di tamburi distanti. Miranda era stata la prima a vedere il monolite: una singola formazione di roccia, qualcosa simile a un uovo mostruoso, che cresceva regolarmente dalle pietre davanti, sopra una violenta scarpata sulla pianura. Irma, alcuni metri dietro le altre due, le vide arrestarsi d’improvviso con una lieve oscillazione, mentre la testa chinata e le mani pressate sul petto era come se si difendessero da una raffica di vento.
“Che c’è Marion? Cosa ti turba?”
Gli occhi di Marion erano fissi e brillanti, le sue narici dilatate ed Irma pensò casualmente quanto simile lei fosse a un levriero.
“Irma! Non riesci a sentirlo?”
“Sentire cosa, Marion?” Neppure un rametto si muoveva sugli alberelli seccati.
“Il monolite. Mi trascina come la marea. E’ come se mi trascinasse fuori, se vuoi saperlo.” Dato che Marion Quade scherzava raramente, Irma ebbe timore di sorridere. Specialmente mentre Miranda stava richiamandola alle sue spalle, “da che parte lo senti più forte, Marion?”
“Non riesco a capirlo. Mi sembra che stiamo ruotando sulla superficie di un cono – in ogni direzione allo stesso momento.”
Ancora matematica! Quando Marion Quade era particolarmente comica era il momento in cui qualcosa aveva a che fare con le somme. Irma disse leggermente “Mi sembra più come un circo! Forza, ragazze – non volete restare a guardare quel coso per sempre.”
Non appena il monolite fu superato e fu lontano dalla vista, tutte e tre furono sopraffatte da un’irresistibile letargia. Distese in fila sulla liscia superficie di un piccolo pianoro, caddero in un sonno così profondo che un lucertola corse fuori da sotto una roccia e si fermò senza paura nella cavità formata dal braccio allungato di Marion, mentre numerosi insetti dalla corazza di bronzo visitarono senza fretta il capo dorato di Miranda.
Miranda fu la prima a destarsi, in un tramonto senza colori nel quale ogni dettaglio era intensificato, ogni oggetto chiaramente definito e separato: un nido abbandonato nella biforcazione dei rami di un albero morto da tempo, con ogni pagliuzza ed ogni piuma complicatamente intrecciate e tessute; le pieghe della gonna strappata di mussolina di Marion come una conchiglia; i boccoli neri di Irma lontani dal suo volto in una squisita confusione di crini, le ciglia disegnate con vigorosi movimenti sugli zigomi. Tutto, se puoi osservarlo con sufficiente chiarezza, come adesso, è bello e completo. Tutto ha la sua propria perfezione.
Un serpentello marrone che trascinava il suo corpo squamoso sul selciato creò lo stesso rumore del vento sul terreno. L’aria per ogni dove risuonava della vita microscopica.
Irma e Marion erano ancora addormentate. Miranda poteva udire il battito separato dei loro due cuori, come due tamburelli, ciascuno con un ritmo diverso. E nel sottobosco oltre la fenditura, il crepitio e lo schioccare di rami nel punto in cui una creatura vivente si muoveva invisibile verso di loro in mezzo alla vegetazione. Essa si avvicinava, il calpestio e il crepitio ruppero il silenzio quando i cespugli vennero violentemente aperti e un oggetto pesante venne spinto dalla boscaglia quasi nel grembo di Miranda.
Era una donna con un volto scavato e consunto, tagliato da nere folte sopracciglia – una figura clownesca che indossava una camicetta strappata di calico e lunghi mutandoni di calico ricamati sotto il ginocchio di due gambe come bastoni, che davano deboli calci dentro stivaletti neri con lacci.
“Ce l’ho fatta!” esclamò la bocca spalancata, ed ancora “Ce l’ho fatta!”
La testa in disordine cadde di lato, le palpebre pesanti si chiusero. “Poverina! Sembra malata,” disse Irma. “Da dove arriva?”
“Mettile il braccio sotto la testa” disse Miranda “mentre le slaccio il corsetto.”
Libera dalla corteccia che la costringeva, con la testa che riposava su una sottoveste ripiegata, il respiro della straniera si fece regolare, l’espressione affaticata le abbandonò il volto e, gettandosi sulla roccia, si addormentò.
“Perché non ci togliamo tutte questi vestiti assurdi?” chiese Marion. “In fondo, abbiamo abbastanza costole per tenerci diritte.”
Non appena le quattro paia di corsetti furono gettate sulle rocce restituendo una deliziosa frescura e libertà, il senso dell’ordine di Marion venne offeso. “Tutto nell’universo ha un posto assegnato, a cominciare dalle piante. Sì, Irma, ci credo proprio. Non c’è bisogno che rida. Anche i nostri corsetti su Hanging Rock.”
“Bene, non troverai certo un guardaroba,” disse Irma, “anche se ti metti d’impegno a cercarlo. Dove li possiamo mettere?” Miranda suggerì di gettarli nel precipizio. “Passameli.”
“Da che parte sono caduti?” Marion voleva saperlo. “Ecco giusto accanto a te ma non sono riuscita a capirlo.”
“Non li hai visti cadere perché non sono caduti.” La precisa voce gracidante giunse loro come una tromba dalla bocca della donna-pagliaccio sulla roccia, che si era ora tirata a sedere con un’aria perfettamente in salute.
“Credo che se tu, ragazza, girassi la testa a destra e guardassi all’altezza della vita…” Girarono tutte la testa verso destra e lì, davvero, c’erano i corsetti, fermi nell’aria senza vento come una flotta di piccole navi. Miranda aveva raccolto un ramo secco, abbastanza lungo da raggiungerli, e stava frustando quelle stupide cose che sembravano incollate sullo sfondo dell’aria grigia.
“Fammi provare!” Disse Marion. Whack! Whack! “Devono essere ancorate a qualcosa che non vedo.”
“Se volete la mia opinione,” gracchiò la straniera, “sono ancorate nel tempo. Tu ricciolina – che cosa stai guardando?”
“Non volevo guardarvi. Il fatto è che quando voi avete parlato del tempo, ho avuto la curiosa impressione di avervi incontrata da qualche parte. Molto tempo fa.”
“Tutto è possibile, finché non ne sia provata l’impossibilità. E talvolta anche in tal caso.” La stridula voce aveva un tono convincente di autorità.
“E adesso, dato che ci troviamo insieme sul piano di un’esperienza comune – non ho idea del perché – posso conoscere i vostri nomi? Apparentemente ho lasciato il mio contrassegno individuale da qualche parte lì sopra.” Indicò in direzione del muro anonimo di sterpi. “Non importa. Percepisco di essermi liberata di un buon numero di vestiti. Ad ogni modo, eccomi qui. La pressione sul mio corpo fisico deve essere stata molto severa.” Mosse una mano su- gli occhi e Marion chiese con una strana umiltà, “voi suggerite che dovremmo andare avanti prima che la luce svanisca?”
“Per una persona della tua intelligenza – posso discernere il tuo cervello piuttosto bene – tu non hai un gran spirito di osservazione. Dato che qui non ci sono ombre, anche la luce qui non cambia.”
Irma appariva preoccupata. “Non capisco. Per favore, ciò significa che se ci fossero delle caverne, esse sarebbero riempite di luce o tenebra? Sono terrorizzata dai pipistrelli.”
Miranda era radiante. “Irma, cara – non vedi? Significa che arriveremo nella luce!”
“Arriveremo? Ma Miranda… dove stiamo andando?” “La ragazza Miranda ha ragione. Riesco a vedere il suo cuore, pieno di comprensione. Ogni creatura vivente deve arrivare in qualche posto. Se non altro, è quello che ho capito.” Si era alzata in piedi e per un momento loro pensarono che apparisse quasi bella. “In realtà, credo che stiamo arrivando. Adesso. “ Un improvviso mancamento fece ruotare tutto il suo corpo come una giostra. Quando terminò, lei vide davanti a se la fessura. Non era una fessura nelle rocce, né una fessura nel terreno. Era una fessura nello spazio, più o meno come una bella luna piena d’estate, che andava e veniva. Lei l’osservò come i pittori e gli scultori osservano una fessura, una cosa esistente, che dava forma e significato alle altre forme. Come una presenza, non come un’assenza – un’affermazione concreta di verità. Lei pensò che avrebbe potuto continuare a guardarla per sempre, felicemente in estasi, da sopra, da sotto e dall’altra parte. Era solida come un globo, trasparente come una bolla d’aria. Un’apertura facile da attraversare, eppure per nulla concava.
Lei aveva passato la vita intera a fare domande e adesso venivano a lei le risposte, semplicemente guardando alla fessura. Questa si dissolse e finalmente venne la pace in lei.
Il serpentello marrone era riapparso di nuovo e stava adagiato su una spaccatura che correva chissà dove sotto l’inferiore di due macigni che era in equilibrio uno sopra l’altro. Quando Miranda si piegò per toccarle le squame così squisitamente disegnate, essa scappò via in un groviglio di viticci.
Marion si inginocchiò accanto a lei ed insieme cominciarono a rimuovere il pietrisco e i cavi intrecciati del viticcio.
“E’ andata là sotto. Guarda, Miranda – dentro quell’apertura.” Una fessura – forse il labbro di una caverna o di un tunnel, orlato di foglie spezzate a forma di cuore.
“Sarai d’accordo che è mio privilegio entrare per prima?”
“Entrare?” dissero, guardando dallo stretto labbro della caverna alle ampie anche angolari.
“E’ molto semplice. Tu stai pensando nei termini di misurazioni lineari, ragazza Marion. Quando ti darò il segnale – credo un tocco sulla roccia – voi potrete seguirmi, e la ragazza Miranda potrà seguirvi. Avete capito bene?”
Il volto rugoso era radiante.
Prima che potessero rispondere, il lungo torace ossuto si era disteso sul terreno accanto alla fessura, prendendo deliberatamente la forma più adatta a una creatura creata per strisciare e risiedere sotto la terra. Le braccia sottili, incrociate dietro la testa con i suoi luminosi occhi transfissi, divennero le tenaglie di un gigantesco granchio che abita in un ruscello fangoso e transitorio.
Lentamente il corpo si spinse centimetro dopo centimetro nella fessura. Prima a scomparire fu la testa; poi le scapole unite; i mutandoni ricamati, i lunghi neri bastoni delle gambe fuse insieme come una coda che terminava in due stivaletti neri.
“Non vedo l’ora che arrivi il segnale,” disse Marion. Quando infine risuonarono dei colpetti fermi da sotto la roccia, lei andò sotto facilmente, con la testa per prima, lasciandosi la camicetta senza girarsi indietro. “Tocca a me adesso,” disse Miranda. Irma osservò Miranda inginocchiarsi accanto alla fessura, i suoi piedi nudi intrecciati nelle foglie di viticcio – così calma, così bella, così priva di timori. “Oh, Miranda, cara Miranda, non andare laggiù – ho paura. Torniamo a casa!”
“A casa? Non capisco, mia dolce amica. Perché stai piangendo? Ascolta! Non è Marion che mi chiama? Devo andare.” I suoi occhi brillarono come stelle. Il richiamo venne di nuovo. Miranda tirò le sue lunghe meravigliose gambe dietro di lei e scomparve.
Irma si sedette sulla roccia in attesa. Una processione di piccoli insetti si stava svolgendo in mezzo a licheni secchi e selvaggi. Da dove venivano? Dove stavano andando? Dove erano andate tutte? Perché, perché Miranda aveva infilato il suo capo luminoso in un’oscura fessura del suolo? Guardò in alto verso il cielo grigio e senza colore, alle tristi felci senza consistenza e pianse a dirotto.
Per quanto tempo era rimasta a fissare l’orlo della caverna, guardando e aspettando di sentire il richiamo di Miranda sulla roccia? Ascoltando e guardando, guardando e ascoltando. Due o tre ruscelli di sabbia fine scesero picchiettando dall’inferiore dei due grandi macigni sulle foglie rovesciate dei viticci, il quale ruotò lentamente in avanti, e scendendo con precisione dolorosa direttamente dentro la fessura.
Irma si era gettata sulle rocce e si mise a rompere e a colpire la faccia granulosa del macigno con le mani nude. Era sempre stata brava nel ricamo.
Aveva delle belle mani delicate, morbide e bianche.

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