Le ultime analisi delle scatole nere del volo Air India AI171, precipitato lo scorso mese poco dopo il decollo dall’aeroporto internazionale Sardar Vallabhbhai Patel di Ahmedabad con destinazione Londra Heathrow, hanno confermato uno scenario inquietante: la catastrofe non sarebbe il frutto di un’avaria meccanica o errore umano accidentale, bensì di un atto deliberato da parte del comandante. Secondo quanto emerso, appena tre secondi dopo il distacco dalla pista, il comandante Sumeet Sabharwal ha disattivato manualmente entrambi i motori del Boeing 787 Dreamliner. Il velivolo, privo di spinta, è precipitato al suolo dopo soli 32 secondi. L’impatto ha causato la morte di 241 persone a bordo – tra passeggeri ed equipaggio – con un solo sopravvissuto in condizioni critiche. Ulteriori 19 vittime si registrano a terra, tra residenti e operatori aeroportuali. La conversazione registrata dalla cabina di pilotaggio lascia poco spazio all’immaginazione. Il primo ufficiale, Clive Kunder, ha tentato disperatamente di comprendere e reagire all’azione del comandante. Si sente urlare: “Perché hai spento i motori?”, a cui segue una breve negazione da parte di Sabharwal, prima che cali un silenzio angosciante. Nessun altro tentativo di ripristino o risposta viene registrato nei secondi successivi.
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Un pilota esperto, ma potenzialmente affetto da disturbi psichiatrici
Sumeet Sabharwal era un comandante con oltre 15.000 ore di volo alle spalle, conosciuto nel settore come un professionista rigoroso e tecnicamente preparato. Tuttavia, le indagini in corso da parte dell’Autorità per l’Aviazione Civile Indiana (DGCA) e dell’Agenzia per la Sicurezza del Trasporto Aereo (AAIB) stanno ora concentrando l’attenzione sul suo stato psicologico nei mesi precedenti al volo. Fonti riservate indicano che Sabharwal avrebbe manifestato segni compatibili con una possibile depressione maggiore, una condizione che in ambito aeronautico, per quanto sotto stretta sorveglianza, può talvolta restare sottostimata o non dichiarata dai piloti per timore di ripercussioni professionali. Alcuni colleghi, sotto anonimato, hanno riferito che recentemente il comandante appariva “molto stanco” e “emotivamente distaccato”. Al momento, però, non risultano referti psichiatrici ufficiali o segnalazioni mediche pregresse depositate presso la compagnia. L’ipotesi di un crollo psicologico improvviso, o di una patologia depressiva non diagnosticata, si fa sempre più concreta alla luce degli elementi raccolti finora. Le autorità non escludono del tutto un malfunzionamento tecnico o una sequenza accidentale di eventi, ma l’orientamento principale delle agenzie occidentali – inclusa la European Union Aviation Safety Agency (EASA) – è che si sia trattato di un suicidio esteso (suicide-homicide).
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Precedenti inquietanti: il problema dei suicidi pilotati
Quello di Sabharwal non sarebbe il primo caso nella storia dell’aviazione moderna in cui un pilota, sopraffatto da disagio psichico, ha deliberatamente causato la caduta di un aereo. Il più noto e documentato è quello del volo Germanwings 9525 del 24 marzo 2015, in cui il copilota Andreas Lubitz, affetto da una forma severa di depressione, approfittò dell’assenza momentanea del comandante dalla cabina per chiudersi all’interno e far schiantare volontariamente l’aereo sulle Alpi francesi. Le 150 persone a bordo morirono sul colpo. Altro episodio simile è quello del volo SilkAir 185 del 1997, precipitato in Indonesia: anche in quel caso, l’inchiesta finale indicò un gesto volontario da parte del comandante, sebbene alcuni aspetti restino controversi. Analogo destino ebbe il volo LAM Mozambique Airlines 470 nel 2013, il cui comandante decise di disattivare il pilota automatico e lanciarsi in una discesa fatale, causando 33 vittime. Questi eventi, definiti “pilot-assisted suicides” o “aircraft-assisted suicide” rappresentano un nodo critico nella sicurezza del trasporto aereo. Le statistiche parlano di una rarità estrema – circa lo 0,3% degli incidenti aerei fatali – ma l’impatto mediatico e umano è immenso. L’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile (ICAO) e numerose autorità nazionali hanno da anni adottato protocolli di monitoraggio della salute mentale dei piloti, promuovendo una cultura di trasparenza e supporto psicologico, ma il caso Air India AI171 dimostra che il rischio, seppur minimo, non è mai azzerabile.
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Conseguenze e interrogativi
L’incidente del volo AI171 riapre il dibattito sulla gestione della salute mentale nel personale di volo. Serve maggiore vigilanza, ma anche un contesto lavorativo che consenta ai piloti di segnalare eventuali disagi senza timore di perdere la licenza o subire stigma. Nel frattempo, le famiglie delle vittime chiedono giustizia e verità. Le autorità indiane hanno promesso una revisione completa dei protocolli di selezione, monitoraggio e supporto psicologico dei piloti. Resta, però, l’amarezza per una tragedia che – come dimostrano le registrazioni – avrebbe potuto essere evitata. Il nome di Sumeet Sabharwal si aggiunge ora, tristemente, a una lista di professionisti del volo che, invece di garantire sicurezza, hanno trasformato la cabina di pilotaggio in un luogo di silenziosa disperazione e morte.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine