Il binge drinking (letteralmente «abbuffata alcolica») è il termine oggi in uso per misurare oggettivamente il bere eccessivo e/o a rischio, convenzionalmente indicato come 5 o più unità alcoliche bevute in un’unica occasione. James Bond, secondo un lavoro apparso di recente sul British Medical Journal (firmato da un‘equipe di specialisti che ha letto tutti i volumi della sua sagra e registrato tutti i momenti in cui l’eroe di Fleming cede ai piaceri dell’alcol), sarebbe stato un prototipo ante litteram di accanito binge drinker e per questo – secondo i ricercatori – incapace delle imprese descritte nei libri. Ma al di là delle incongruenze letterarie, il problema maggiore è che il fenomeno del binge drinking sta prendendo sempre più piede fra i giovani, a partire già dall’adolescenza e di questo si è parlato a Torino, alla giornata di studio su «Realtà e rappresentazioni del binge drinking», tra i cui promotori ci sono l’Osservatorio Permanente Giovani e Alcol, e il Dipartimento Culture Politica e Società, Università di Torino. In particolare, sono stati presentati i risultati di due indagini qualitative – realizzata dalla società Ecletica – svolte in tre città (Torino, Roma e Salerno) e sul web, che ha dato voce a un campione di 134 adolescenti (15-17 anni) e giovani (22-24 anni) che praticano abitualmente il binge drinking. Obiettivo del lavoro era cercare di spiegare il perché della differenza riscontrata in Italia (in base ai dati disponibili) tra le dichiarazioni sugli episodi di ubriacatura (13%, dato tra i più bassi in Europa) e quelle relative al binge drinking (35,5%, di poco sotto la media europea).
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