Il comportamento sessuale femminile NON è diverso da quello maschile

MEDICINA ONLINE GELOSIA UOMO EGOISTA SAD COUPLE AMORE DONNA PENE EREZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE VAGINA SESSULITA SESSO COPPIA TRISTE GAY ANSIA JEALOUS LOVE COUPLE FRINEDS LOVERUno dei luoghi comuni più diffusi al mondo, soprattutto nella cultura occidentale, è quello secondo cui il comportamento maschile sarebbe molto più orientato alla sessualità rispetto a quello femminile. Per dirla in altri termini si è a lungo pensato (e in parte si pensa ancora) che gli uomini fossero promiscui e poligami, mentre le donne schive e monogame.
Il pregiudizio circa la differenza tra la vita sessuale maschile e quella femminile è stato a lungo sostenuto anche dalla scienza e in particolare dalla biologia. Ma i risultati scientifici sono sempre certi e puri oppure subiscono anche loro una serie di condizionamenti sociali? In questo caso è particolarmente importante appurarlo perché è proprio da questa convinzione che deriva l’idea secondo cui una donna che va a letto con più uomini è “troia”, mentre un uomo che fa la stessa cosa è affascinante e vincente, o ancora la faccia sbigottita che qualcuno fa quando scopre che una donna tiene dei preservativi nel proprio portafoglio: perché mai dovrebbe farlo? Vediamo di capirlo, procedendo per gradi.

L’origine biologica del pregiudizio

Tutto nasce dalla differenza tra sperma maschile e ovulo femminile; in particolare dalla differenza tra l’energia (concepita in termini di costo) che serve per produrre uno spermatozoo e quella che serve per produrre un ovulo. Già Darwin la chiamava anisogamia e pensava che fosse alla base dei diversi comportamenti sessuali maschili e femminili. In che modo? L’idea è questa: la produzione di uno spermatozoo richiede meno energia, cioè è più economica, e quindi il membro maschile della specie può tranquillamente accoppiarsi con diverse femmine senza incorrere in alcun rischio biologico. La produzione dell’ovulo femminile invece richiede molta più energia, ovvero è costosa, e quindi le femmine sono molto più selettive, cercano il maschio migliore che le possa fecondare. Quella che per Darwin era solo un’intuizione diventa una vera e propria teoria scientifica dimostrata quando, nel 1948, Angus Bateman, botanico che non si era mai occupato di genetica, studia la differenza tra comportamento sessuale maschile e femminile nella colonia di moscerini che si era creata attorno alle sue piante di frutta. Lo studio conduce alla conferma della teoria darwiniana, e viene poi ulteriormente verificato, nel 1972, da Robert Trivers, biologo e sociologo, che trasforma l’anisogamia nella teoria dell’investimento parentale. Non cambia molto: lo sperma richiede minore investimento, quindi i maschi hanno più tempo, energia e motivazione di cercare altre compagne da fecondare, mentre le femmine no.

Cosa non funziona dal punto di vista della natura maschile

Tanto per iniziare bisogna fare un’osservazione. Nei casi di studio citati in precedenza il paragone in termini di costo/investimento veniva svolto tra UNO spermatozoo e UN ovulo. Cosa, questa, che non ha molto senso. Come ha notato Donald Dewsbury, docente emerito di psicologia alla University of Florida, il maschio produce milioni di spermatozoi per fecondare UN solo ovulo. Ed è questo il paragone giusto da prendere in considerazione, cioè quello tra milioni di spermatozoi e UN ovulo. Se la pensiamo così risulta evidente che in realtà i costi di produzione non sono poi così diversi.
Non solo ma, nella maggior parte delle specie, il seme prodotto dal maschio contiene un composto bioattivo che richiede moltissima energia per essere prodotto; non a caso esistono situazioni in cui il corpo maschile non riesce a produrre sperma. Infine bisogna anche notare che anche i maschi sono selettivi: non è vero che non scelgono la propria partner. Non tutti i maschi di una determinata specie si potrebbero accoppiare con le femmine di quella stessa specie.

Cosa non funziona dal punto di vista della natura femminile

Gli studi svolti sugli uccelli, in questo caso, sono fondamentali. Nel 1980 si pensava che  circa il 90% delle specie di uccelli conosciute fosse monogamo, ovvero che il maschio e la femmina si accoppiassero solo tra di loro e facessero dei cuccioli da crescere insieme. Oggi invece sappiamo che solo il 7% delle specie di uccelli conosciute è davvero monogamo. Le nuove tecniche di analisi del patrimonio genetico ci hanno infatti permesso di scoprire che tanto i maschi quanto le femmine tendono ad accoppiarsi e a riprodursi con più partner nell’arco della vita. Non solo, ma sappiamo anche che sono soprattutto le femmine a svolgere un ruolo attivo nella seduzione e nella ricerca di altri partner. Ed è proprio questo che, al contrario di quello che si pensava in origine, aiuta a produrre prole e quindi consente alla specie di sopravvivere. In un libro intitolato Promiscuità. Una storia evoluzionistica della competizione spermatica e del conflitto sessuale e pubblicato nel 2001, si legge: “intere generazioni di biologi hanno dato per scontato che le femmine fossero monogame, ma è ormai chiaro che si erano sbagliati.”

Perché ci siamo sbagliati

Le teorie/credenze scientifiche circa la differenza tra il comportamento sessuale maschile e femminile sono il prodotto di un condizionamento sociale, da cui evidentemente neanche la scienza può considerarsi esente. Come detto all’inizio, infatti, tutto ha origine da un’intuizione darwiniana, ma è importante ricordare che le teorie di Darwin subivano l’influenza dell’epoca e della cultura vittoriana. Gli stereotipi sociali e le verità scientifiche in quel periodo erano fortemente legati. Più precisamente la scienza doveva dimostrare gli stereotipi sociali. L’idea cioè che gli uomini fossero attivi, biologicamente complessi, determinanti per l’evoluzione e quindi grandi conquistatori per natura, mentre le donne avevano un ruolo passivo, erano semplici, sottomesse all’uomo, chiaramente prive di mire e di sessualità. Le donne dovevano procreare e non essere interessate ad altro. Stiamo parlando in questo caso di uno stereotipo sociale così radicato da essere esteso anche a tutte le altre specie non umane. La scienza quindi doveva dimostrare che differenze di questo tipo esistevano tra i maschi e le femmine di qualsiasi specie.
Non si può propriamente dire che ci sono state raccontate delle bugie. Diciamo invece che a partire da un dato certo, in un’epoca in cui non esistevano mezzi per circoscrivere e spiegare quel dato, ne venivano date delle interpretazione che sono poi state considerate delle verità scientifiche a partire da cui svolgere studi più accurati. Oggi i dati che abbiamo a disposizione rendono chiaro che le cose stanno diversamente, ma i tempi che servono per distruggere uno stereotipo ben radicato sono spesso più lunghi di quelli richiesti da una scoperta scientifica.

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