Con “chemioterapia” in oncologia si indica una modalità terapeutica che distrugge le cellule neoplastiche attraverso la somministrazione di farmaci particolari, chiamati chemioterapici. La chemioterapia può essere sistemica o loco-regionale (a seconda del campo d’azione del farmaco) e può essere neoadiuvante o adiuvante.
L’associazione di diversi farmaci chemioterapici aumenta l’efficacia della terapia perché consente di aggredire le cellule tumorali colpendo contemporaneamente diversi meccanismi essenziali per la loro replicazione. Si ostacola così la loro capacità di evolvere verso forme resistenti alle cure.
Per le diverse malattie esistono quindi diversi schemi di chemioterapia chiamati con acronimi formati dalle iniziali dei medicinali utilizzati: per esempio CMF (ciclofosfamide, metotrexate e fluorouracile) per il tumore al seno o CVP (ciclofosfamide, vincristina e prednisolone) per alcuni linfomi. Esistono quasi un centinaio di sostanze che possono essere variamente combinate per combattere meglio le diverse forme di tumore, e nuove molecole sono continuamente scoperte, sintetizzate o estratte e messe a punto nei laboratori di tutto il mondo.
Per ogni tumore e per ogni malato, sulla base dei dati raccolti in decenni di ricerche, i medici scelgono lo schema più adatto per ottenere il miglior risultato possibile con il minor carico di effetti collaterali. A questo stesso scopo la chemioterapia viene spesso somministrata in cicli e non in maniera continua, questo avviene perché non tutte le cellule sono contemporaneamente in fase di replicazione quindi non tutte le cellule bersaglio sarebbero colpite con un solo ciclo. Anche in un tumore a rapida crescita ve ne sono sempre alcune “a riposo” o, come si dice, “in fase quiescente”. Queste cellule sfuggono all’azione dei farmaci che hanno la caratteristica di uccidere le cellule mentre si dividono. Per questo la ripetizione del trattamento in cicli successivi elimina le cellule tumorali via via che entrano nella fase di replicazione.
Per ciclo di trattamento si intende il periodo in cui si riceve il trattamento e la fase di intervallo prima di quello successivo. Un ciclo di 3 settimane, per esempio, può prevedere la somministrazione dei farmaci solo al primo giorno, e 20 giorni senza trattamenti.
L’intervallo tra un ciclo e l’altro consente di attendere che una nuova popolazione di cellule tumorali entri in fase di replicazione e, nel contempo, permette all’organismo di riprendersi dagli effetti collaterali della cura, soprattutto quelli che colpiscono le difese immunitarie.
In genere la chemioterapia si prolunga per un periodo che va da tre a sei mesi, nel corso del quale si effettuano in genere da tre-quattro a sei-otto cicli di trattamento.
Il programma tuttavia può cambiare in relazione al tipo di malattia, al singolo paziente e alla reazione individuale alle cure.
Gli esami del sangue, da cui può emergere un livello troppo basso di globuli bianchi o di piastrine, oppure il sospetto che il fegato o i reni stiano soffrendo delle cure, possono per esempio indurre i medici ad allungare gli intervalli tra un trattamento e l’altro o ad abbassare le dosi dei farmaci.
Altre volte gli accertamenti eseguiti nel corso del trattamento mostrano una scarsa risposta della massa tumorale che non si riduce di volume nonostante la terapia. Questo può spingere i medici a utilizzare un’altra combinazione di farmaci che possa rivelarsi più efficace.
Infine, nella programmazione dei cicli di trattamento, è talvolta possibile tenere conto delle esigenze personali del paziente: parlandone con il medico con il dovuto anticipo si può cercare di impostare i cicli in modo che non condizionino la partecipazione a eventi importanti, familiari o di lavoro.
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