Come riconoscere la cellulite?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO OSPEDALE ANAMNESI ESAME OBIETTIVO SEMEIOTICA FONENDOSCOPIO ESAMELa cellulite (anche detta cellulite estetica per distinguerla dalla cellulite infettiva, più correttamente denominata panniculopatia edemato-fibro-sclerotica o PEFS) indica una alterazione del tessuto sottocutaneo che è ricco di cellule adipose. Presenta una localizzazione elettiva nella regione trocanterica e supero-laterale delle cosce e in quella laterale e mediale delle ginocchia.

Alterazioni del tessuto

Il derma della cute sovrastante il tessuto adiposo affetto da cellulite è stato esaminato tramite microscopia elettronica, con le seguenti risultanze: aumento dei glicosaminoglicani, incremento dell’attività dei fibroblasti, alterazioni della parete dei microvasi, rarefazione delle fibre di collagene e sub elastiche epidermiche, maggior presenza di liquidi interstiziali. In sintesi: il quadro istochimico indica un’anomala evoluzione della risposta connettivale, esitante nell’abnorme neofibrillopoiesi.

Le alterazioni del derma sono secondarie al danno dell’ipoderma

L’esame riconduce ad alcune osservazioni morfoistochimiche di S. B. Curri condotte negli anni ’80, volte alla classificazione del quadro patologico della cellulite. Secondo Curri, le alterazioni del derma sono secondarie e successive, nel tempo, al danno dell’ipoderma e ad esso conseguenti e proporzionali, come gravità ed estensione. Perciò Curri specificava e proponeva il termine di panniculopatia edemato-fibro-sclerotica (PEFS), senza il termine dermo o dermato, ponendo l’accento, sul piano eziopatogenetico, alla fase finale del processo, caratterizzato dalla sclerosi diffusa e dalla comparsa del nodulo dolente, alla pressione profonda. Veniva escluso, quindi, qualsiasi processo infiammatorio e si proponeva la denominazione onnicomprensiva di liposclerosi con stasi capillaro-venulare. La struttura portante dell’impalcatura tassonomica e nosologica della cellulite diventava perciò l’alterata permeabilità capillaro-venulare, con rallentamento della velocità e del volume di flusso sanguigno (vasomotion) a livello microcircolatorio distrettuale.
Veniva studiata l’unità microvascolo-tessutale del sottocutaneo, la quale, nella sua integra espressione è caratterizzata da una rete capillare a maglie ravvicinate e strettamente comunicanti con l’adipocita, con assenza di anastomosi artero-venose, con estreme ramificazioni longitudinali e perpendicolari dei vasi, collegate alla rete del derma e a quella muscolare. L’ipotesi patogenetica era il processo abiotrofico regressivo dell’unità microvascolo-tessutale, conseguente a una condizione talora inquadrabile nella fase preclinica dell’insufficienza venosa, vale a dire conseguente a un primitivo difetto dei dispositivi arteriolari di modulazione del flusso (ridotta vasomotion) ed evolventesi in una cronica microcircolatory maldistribution. Su questa base etiopatogenetica veniva tracciata la sequenza del processo regressivo: rallentamento della circolazione ematica, sludge eritrocitari, compromissione dell’equilibrio idrostatico capillare, ridotta ossigenazione parietale e tessutale, danno endoteliale, permeabilità delle pareti vasali, aumento dei fluidi interstiziali con relativo contenuto proteico, edema interadipocitario, rotture delle membrane adipocitarie, neofibrillopoiesi con ispessimento dell’intreccio, ipossia e danno ossidativo, aggregati adipocitari conglobati in capsule di collagene, infine, evoluzione sclerotica irreversibile.

Evoluzione della cellulite

Curri, identificava quattro stadi evolutivi della PEFS, ancor oggi di riferimento nella diagnosi: edema, sclerosi, fibrosclerosi localizzata con micronoduli, sclerosi diffusa con macronoduli. Le osservazioni morfo-istochimiche di Curri sono, oggi, globalmente accettate, ma la controversia sulla etiopatogenesi della cellulite è ancora aperta.Alla luce delle attuali conoscenze possiamo indicare che il processo presenta nella sua sequenza evolutiva:

  • Un edema da eccessiva idrofilia della matrice intercellulare.
  • Un’alterazione microcircolatoria, cui fa seguto l’evoluzione fibrosclerotica.
  • Ernie adipocitarie intradermiche, tipiche del sottocutaneo femminile.
  • Una diseguale risposta dei tralci connettivali interlobulari, indipendente dal grado di sovrappeso.
  • Una proteolisi dei suddetti tralci, prodotta dalle metalloproteinasi e da altri enzimi endogeni.
  • Una condizione cronica, subclinica, d’infiammazione.

Altre analisi morfologiche del sottocutaneo, poste in essere da tecnologie innovate e più performanti, quali l’ecografia e la risonanza magnetica, hanno aggiunto ulteriori considerazioni. Innanzi tutto il decorso dei tralci connettivali, che nell’uomo è obliquo e delimitano lobuli adipocitari piccoli mentre nella donna è perpendicole al derma e separa lobuli più voluminosi. Gli apici dei lobuli giungono a premere contro il derma reticolare sotto forma di papille adipose. Aumentando lo spessore del sottocutaneo, le papille adipose diventano ipertrofiche sino a rendere il confine dermo-ipodermico di aspetto collinare, con un alternanza di rilievi e di depressioni, che nella loro massima espressione porta al fenomeno della mattress skin.

Le donne inoltre, sembrano avere un confine dermo-ipodermico più irregolare e discontinuo, ovvero un piano di demarcazione più predisposto alla protrusione delle papille adipose: i lobuli adipocitari, anche quelli di piccole dimensioni, arriverebbero ad insinuarsi nello spessore del derma reticolare (buccia d’arancia). Anche a pari obesità, si nota una differenza tra i due sessi: le donne manifestano più elevati spessori del sottocutaneo con la presenza di una condizione fibrotica, quest’ultima totalmente assente nel maschio. La pannicolopatia non apparirebbe come la condizione successiva a stasi, con relativa involuzione sclerotica dell’unità microvascolo-tessutale, ma come alterazione dei tralci connettivali interlobulari, che oltre alla costituzionale sottigliezza, o lassità, diventano oggetto di fibrosclerosi, di stiramento e lacerazioni parziali, o d’ispessimento reattivo, conportante la retrazione meccanica del piano dermico (cute crateriforme). Le lacerazioni dei tralci interlobulari sembrano favorite da elastasi e collegenasi endogene correlate all’attività degli estrogeni e dall’azione di altri enzimi come le matalloproteinasi correlabili al processo infiammatorio.

L’evoluzione patogenetica sarebbe accresciuta dalla presenza dei glicosaminoglicani, che per loro caratteristica chimica intrappolerebbero l’acqua liberatasi dagli enzimi, impedendone il legame con il collagene: fibre di collagene deidratate, rigide e fragili risultano meglio predisposte all’attacco enzimatico e, pertanto, contribuiscono al processo abiotrofico della matrice. Il processo, tuttavia, non può essere circoscritto all’evoluzione morfoistochimica di alcune componenti tissutali. Occorre ritornare agli adipociti e agli altri elementi cellulari della matrice, nel loro intreccio di relazioni sistemiche con gli organi e i vasi, per comprendere l’etiopatogenesi complessiva della pannicolopatia. L’alterazione nell’attività endocrina e paracrina degli adipociti (resistenza insulinica nei soggetti obesi), il rilascio di molecole aterogene, come il rilascio di enzimi proteolitici e di citochine flogogene, l’aumentato infiltrato macrofagico, la riduzione dei fattori di crescita (endoteliali) e di difesa, rappresentano nell’insieme eventi causali che indurrebbero a una condizione cronica di basso livello infiammatorio. In questo contesto, la cellulite sarebbe degna di chiamarsi tale.

Il quesito di fondo permane la conoscenza della stadiazione del processo pannicolopatico, prima di adire alla terapia. Si può comprendere come il solo calo ponderale, condotto nel breve termine e con diete estreme, o la correzione dermocosmetica, o quella chirurgica, non vadano a mutare la condizione cellulitica, anzi spesso ne aggravano il quadro.

Si può comprendere come, preliminare all’adozione di un corredo diagnostico strumentale – ecografia, termografia, capillaroscopia – si debba inserire la sequenza ordinata e semeiologica del sottocutaneo, tra cui: l’anamnesi prossima e remota, l’ispezione, lo sfioramento superficiale, la palpazione superficiale e profonda, la palpazione digitale mirata. Modalità di esecuzione, significati diagnostico e prognostico, in relazione a quadri anatomo – patologico ed istologico di riferimento, permetteranno la classificazione dello stadio pannicolopatico e costituiranno la base degli interventi correttivi.

L’anammnesi

La  raccolta dei dati anamnestici pone, in sequenza, la disamina dei seguenti parametri:

  • le abitudini alimentari;
  • la comparsa del menarca;
  • l’assunzione di contraccettivi;
  • il numero delle gravidanze portate o meno a termine;
  • la situazione psico-fisica e neuroendocrina contingente;
  • la storia ponderale recente;
  • la farmacoterapia attuale e pregressa;
  • l’attività fisica giornaliera.

In breve, il soggetto dovrà, dapprima, essere inquadrato nella tipologia psico-somatica, raccogliendo il maggior numero possibile di informazioni, così da poter valutare le interferenze sul quadro clinico attuale.

Leggi anche:

L’esame obiettivo

È rivolto alla valutazione dello stato tissutale, con focus sulla condizione degli arti inferiori per l’osservazione di eventuale stasi, o di insufficienza venosa. Si valuterà la presenza di:

  • Edema malleolare;
  • Senso di pesantezza agli arti inferiori
  • Parestesie (e/o bruciori);
  • Crampi diurni;
  • Crampi notturni;
  • Teleangectasie;
  • Varici.

I soggetti con PEFS lamentano spesso parestesie, senso di pesantezza, d’intorpidimento e di tensione degli arti inferiori, piedi freddi, crampi e  dolori.
Molti pazienti presentano una sintomatologia poco eclatante; va posta quindi l’attenzione anche alle manifestazioni clinicamente poco appariscenti, o transitorie, o stagionali, che rientrano comunque nella flebopatia ipotonica, o fase preclinica delle macroflebopatie da stasi. In altri termini, l’assenza di varicosità  macroscopiche o di taleangectasie, non esclude di per sé la presenza di un  processo pannicolopatico. Così pure costituisce un errore di valutazione negare a priori l’esistenza di una pannicolopatia in soggetti giovani, normopeso, di apparente buona muscolarità e somaticamente gradevoli all’ispezione. Anche pochi segni, o sintomi, dovranno pertanto orientare verso l’indagine strumentale per la conferma del dato anamnestico.

L’ispezione

Dopo aver proceduto alla valutazione dello stato nutrizionale del soggetto in esame, si procede all’ispezione della superficie cutanea. Va eseguita sul paziente in posizione eretta, dapprima  frontalmente e poi posteriormente e da ambo i lati, destro e sinistro, con particolare riguardo alle regioni: trocanterica, supero-laterale, supero-mediale e posteriore delle cosce e delle ginocchia, addominale, sovrapubica, gluteale.

Si considera la presenza o meno di adiposità localizzata (cosidetti cuscinetti di grasso in regione trocanterica) e si apprezzano volume e forma delle cosce e dei glutei.
I segni e i sintomi, valutabili all’ispezione, sono nell’ordine:

  • La scabrosità cutanea generalizzata (skin roughness o pelle a buccia di arancia).
  • La scabrosità cutanea localizzata, caratterizzata  dalla  presenza di introflessioni crateriformi o irregolari della superficie cutanea (madras skin o mattres phenomenon); oppure della  cosidetta quilt skin o cute a coltrone  in cui predominano le ondulazioni lineariformi, in genere con  andamento trasversale rispetto all’asse maggiore dell’arto.
  • La superficie della cute appare segmentata in settori di forma rettangolare, trapezioidale o romboidale, irregolari.
  • Il  colore della pelle, con  particolare riguardo alle sedi con tonalità  grigio-giallastra.
  • Il pallore cutaneo (cute pallida) che denuncia la presenza di aree ipotermiche.
  • Le teleangectasie, o microvaricosità, o venulo-ectasie intradermiche, con particolare riguardo alla localizzazione in corrispondenza delle regioni supero-medio­ ed infero-laterale delle cosce.

Se ne apprezzeranno le diverse estrinsecazioni anatomo-cliniche, quali:

  • Le microvarici rosse, di raro riscontro.
  • Le microvarici bleu-violacee, con aspetto a stella, o aracniforme, o ramificate: a placca, a grappolo d’uva, puntiformi, arboriformi, sinuosità  semplice o complessa.
  • Le smagliature cutanee (striae atrophicae distensae cutis) di cui si apprezzano la lunghezza, la forma, la profondità, il colore (striature rosse o striature bianche).
  • Le eventuali cicatrici.
  • Le atrofie cutanee.
  • Le ipercromie da iperpigmentazione, le discromie e le ipocromie.

Particolare attenzione va posta agli ematomi da traumi di scarsa entità, quale segno di abnorme fragilità capillare.

L’esame obiettivo

È rivolto alla valutazione dello stato tissutale, con focus sulla condizione degli arti inferiori per l’osservazione di eventuale stasi, o di insufficienza venosa. Si valuterà la presenza di: la palpazione superficiale e profonda.

La palpazione costituisce il cardine semeiologico imprescindibile, su cui si basa la diagnosi di presunzione. Va premesso che è necessario un periodo di apprendimento, per facilitare la corretta interpretazione delle singole percezioni tattili.

La sensibilità cresce e si affina solo con l’esperienza personale. Ad esempio, ci si adagia spesso alla compressione di una grossa plica cutanea tra le due mani, per provocare la comparsa della pelle a buccia d’arancia: è una manovra ricorrente seppur errata.La semeiotica clinica è già apprezzabile al semplice sfioramento con i polpastrelli delle dita, alla palpazione pluridigitale superficiale o profonda ed infine alla palpazione monodigitale mirata.

Gli elementi palpatori, utili per giungere alla diagnosi, hanno diverso peso semeiologico: per l’approfondimento suggeriamo l’Atlante Semeiologico del Prof. S.B. Curri.

Alcune manovre evidenziano la presenza di macronoduli o la sensazione palpatoria di fine granulia, o il dolore spontaneo o provocato, oppure ancora le cosidette placche cellulitiche, o piastroni indurati. Altre, consentono solo un giudizio più sfumato e meno rigido: saranno le tecniche strumentali allora a darne il quadro clinico definitivo.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Un pensiero su “Come riconoscere la cellulite?

  1. Buonasera dottore. E grazie per il suo completissimo articolo.
    Vorrei chiederle una cosa…anzi due. Una teorica e una pratica.
    Teorica: in una donna, può la cellulite delle cosce (diagnosticata all’ultimo stadio) vecchia di circa 20 anni, unita al grasso ivi localizzato essere un ambiente più acido del resto del corpo?
    Pratica: i miei cellulite+grasso sono dovuti a circa 10 anni di sedentarietà – dall’adolescenza in poi. Sono dimagrita verso i 30 anni ma restano circa 8 kg di grasso (impendenziometria alla mano) concentrati nelle cosce, sui glutei e sui fianchi con l’addome. Siccome soffro molto di freddo agli arti inferiori ma la mia cellulite non può essere tolta se non con la chirurgia (così almeno mi è stato diagnosticato – e sconsigliato – dal medico estetico) e sapendo che l’ambiente acido (in senso lato) è quello responsabile della nascita delle cellule tumorali, nella mia ignoranza le chiedo queste due cose:
    – l’ambiente di cosce e glutei, fortemente grasso e sclerotico di cellulite, è un luogo più acido rispetto al resto del mio corpo (organi a parte, ovviamente…intendo il resto dei muscoli)?
    – In vista dell’invecchiamento, dove tutto peggiora/degenera, sarebbe meglio ridurre la massa grassa locale e così la cellulite tramite massaggi (e dieta e sport…va da sé) per evitare di soffrire sempre più di freddo?

Scrivi una risposta a Louise Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.