Italia, Stati Uniti d’America e Svizzera stanno effettuando una ricerca scientifica sul mondo dei sogni. I primi risultati di questa collaborazione sono stati pubblicati su Nature Neuroscience. I ricercatori hanno osservato le onde cerebrali emesse durante il sonno per capire quale zone fossero interessate al fenomeno. In questa maniera riuscivano a capire entro quando un soggetto fosse in procinto di sognare. La ricerca ha coinvolto 46 persone. Queste dovevano semplicemente dormire indossando un EEG, ossia un casco per l’elettroencefalogramma. Sono stati posti 256 elettrodi sullo scalpo dei partecipanti. In questo modo sono state calcolate le grandezze delle onde e il loro numero. Ogni volta che il monitor segnava un’attività interessante gli scienziati svegliavano le cavie. In totale ciò è successo almeno mille volte. Al risveglio chiedevano alle persone di sapere se stessero sognando e cosa.
I risultati
Il sogno coincideva con l’abbassarsi della quantità di onde a bassa frequenza nella zona calda posteriore corticale. Nel 91% dei casi gli studiosi riuscivano ad indovinare che il soggetto sottoposto ad esperimento stesse sognando, semplicemente osservando la quantità di queste frequenze. La scoperta è stata sensazionale. Ricordiamo veramente poco dei nostri sogni. Questi infatti si sviluppano per il 91% della zona REM e per il 71% della non – REM. I sogni svaniscono al nostro risveglio. Non riusciamo a ricordarli a causa del fatto che la zona interessata alla loro produzione e quella relativa alla memoria siano differenti. Ha commentato in questa maniera, i risultati dell’esperimento, Francesca Siclari, fautrice della ricerca.
La corteccia prefrontale
I soggetti che riuscivano a ricordare i sogni con più facilità avevano una corteccia prefrontale più attiva. Inoltre, l’attività cerebrale della veglia è la medesima del sonno. Nel senso che se si attraversa un labirinto o si sogna di farlo per il nostro cervello è precisamente la stessa cosa. Il sognare è, per certi versi, un’attività reale e non immaginata. O almeno questo è vero per il nostro cervello. In questa maniera si conclude la ricerca, come ha spiegato Francesca Siclari dell’Università del Wisconsin Madison. Questa scoperta apre dunque degli incredibili spiragli nel mondo accademico. Vedremo cosa accadrà negli ambienti delle neuroscienze da questo punto in poi.
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