Creatività in psicologia: definizione, significato, pensiero divergente

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Roma Medicina Chirurgia Estetica Rughe Filler Cavitazione Peso Dimagrire Pancia Grasso Dietologo Cellulite Senologo Allungare Pene PSA Pelle Grasso Pancia Sessuologo Sesso COME INTERNET CAMBIANDO CERVELLOTutti sappiamo più o meno cosa significhi, ma è difficile dare una definizione specifica ed univoca della “creatività“. Diversi autori per lungo tempo si sono interrogati su cosa significhi essere creativi, sull’esistenza o meno di fattori facilitanti, sulle caratteristiche tipiche di una persona creativa. Ovviamente ciascuna prospettiva di studio inquadra aspetti diversi relativi alla creatività. Vediamo di seguito alcuni fra i contributi più significativi in proposito.

Creatività: etimologia

Il termine “creatività” deriva dal verbo “creare” che a sua volta deriva dal “creare” latino, che condivide con “crescere” la radice KAR. In sanscrito, “KAR-TR” è “colui che crea”.

Sorpresa produttiva

Lo psicologo statunitense Jerome Seymour Bruner, durante la seconda metà del 900, ha legato strettamente l’atto creativo con la capacità di dare vita a una sorpresa produttiva, e cioè, con le sue stesse parole, a «una modificazione concreta e inaspettata nelle diverse attività in cui l’uomo si trova coinvolto». L’autore vede nella scoperta il procedimento preliminare che permette di attivare un qualsiasi processo creativo: la sorpresa che deriva dalla scoperta di qualcosa di nuovo sarebbe il presupposto indispensabile allo sviluppo della creatività. Così, la curiosità e il gusto di scoprire autonomamente qualcosa di inaspettato e imprevedibile sarebbero le molle motivazionali dei comportamenti e dei pensieri creativi.Un altro tentativo di spiegare la creatività rientra nell’approccio associazionista, che vede il comportamento umano come il risultato di un’associazione di
stimoli e risposte provenienti dall’ambiente. Secondo tale impostazione, infatti, l’apprendimento dipende dal numero e dalla natura di associazioni che il soggetto riesce a compiere. Le associazioni non sono però tutte dello stesso valore. Vediamo in che senso: pensiamo a un oggetto di uso quotidiano, come per esempio una penna. Le
«risposte» che questo oggetto ci suggerisce sono varie: potremmo vedere nella
penna soltanto ciò che l’oggetto essenzialmente è, cioè uno strumento utilizzato per scrivere, ma potremmo vedervi anche dell’altro, una freccia da tirare con l’arco, un bisturi improvvisato con cui fare delle operazioni (è realmente successo in situazioni di emergenza!), una leva per per sollevare il mondo. Potremmo ora ordinare tali risposte in una scala gerarchica, dove le associazioni di livello più alto sarebbero quelle più utilizzate, frequenti e che vengono in mente per prime, mentre le associazioni di livello più basso della scala quelle meno usuali. Nella risoluzione di problemi può capitare che le soluzioni richieste corrispondano ad associazioni che si trovano al livello inferiore della scala gerarchica. Solitamente, invece, le persone cercano di utilizzare nella loro vita
quotidiana associazioni consolidate, stabili, ricorrenti, quelle, appunto, che
vengono in mente con più facilità. Per gli associazionisti, dunque, il concetto di creatività è strettamente legato alla natura delle associazioni che le persone riescono ad attivare. Nei soggetti creativi, infatti, le associazioni che emergono di fronte agli stimoli esterni sono spesso associazioni remote. In altri termini, la creatività sarebbe un’attività di tipo combinativo e si manifesterebbe con la facilità a creare legami non ovvi oscontati fra oggetti, risposte e situazioni. Sottoponendo alcune persone ai test degli usi alternativi si è cercato di misurarne la capacità di originare pensiero creativo osservando la natura delle associazioni che venivano loro in mente. I punteggi più alti sono andati a coloro che
notavano con la stessa facilità associazioni scontate ma anche usi remoti e “impensabili” dei vari oggetti. È stato inoltre rilevato, tramite gli stessi esperimenti, che le persone creative rispondevano con più lentezza, avendo a disposizione un maggior numero di associazioni remote fra cui scegliere. Quindi, dal punto di vista della velocità di risposta, la creatività sembra incidere negativamente. È facile immaginare gli effetti di questa rilevazione nei sistemi scolastici ed educativi in generale, spesso inclini a premiare la rapidità di esecuzione, la prontezza nei compiti, la velocità di risposta. I soggetti creativi potrebbero essere penalizzati da questo approccio alla valutazione basato sulla misura del tempo di esecuzione. Altri esperimenti hanno confermato che, lasciando più
tempo per riflettere e per produrre risposte, vengono facilitate le associazioni remote, e dunque la possibilità di risposte creative. Da ciò che abbiamo detto finora si comprende bene come la fissità funzionale sia l’opposto della creatività e della originalità, dal momento che ci induce a compiere sempre e soltanto le associazioni fra oggetti e il loro utilizzo/funzione più comune .

Selezione e integrazione

Secondo lo psicologo e insegnate statunitense Richard E. Mayer, che intorno al 1970 si è interrogato sull’origine della creatività, una persona creativa non si differenzia dalle altre per la facilità con cui compie associazioni remote, bensì per un modo tutto particolare di interagire con l’ambiente esterno (creatività di tipo mutativo). La creatività coinciderebbe, secondo questa prospettiva, con una capacità spiccata di selezionare comportamenti dal nostro repertorio comportamentale e di integrarli in modo inusuale nel momento in cui interagiamo con l’esterno. È per questo che Mayer insiste sul meccanismo di selezione-integrazione come fonte di creatività. Le persone creative sarebbero così capaci di originare interazioni con l’ambiente in modo nuovo, libero da vincoli esterni, con grande flessibilità nell’adattamento verso le situazioni più disparate.

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Scoperta di nuovi problemi

Il pensiero originale si può distinguere dagli altri anche per l’approccio particolare alla risoluzione dei problemi. È questa la sostanza di una spiegazione della creatività che la fa coincidere, per certi suoi aspetti, con la capacità di scoprire “problemi nuovi”. Gli autori americani contemporanei che hanno sostenuto questo punto di vista, Mackworth e Getzels, evidenziano un aspetto fondamentale del pensiero creativo, che può convivere con quelli individuati precedentemente (facilità di compiere associazioni remote e interazione flessibile con l’esterno). Si tratta della propensione a porsi domande nuove, aprire e definire nuove possibilità, vedere le cose da prospettive diverse: è questa una creatività di tipo trasformativo. Quelle citate sono tutte azioni che inducono a scoprire il mondo con occhi diversi e che possono favorire la capacità di scoprire problemi: avvertire la necessità di cambiare una certa situazione, sentire il bisogno di intervenire per risolvere una criticità che gli altri non avvertono, riformulare problemi esistenti in modo nuovo, sotto un’altra luce. Del resto la soluzione creati va a molti problemi deriva proprio dalla capacità di definire lo spazio del problema in modo diverso.

Trovare un cric o alzare la macchina?

Getzels ci porta l’esempio di un esperimento che chiarisce ciò che intende dire con le sue ricerche. Immaginiamo di essere alla guida della nostra macchina in una strada di campagna piuttosto isolata. Buchiamo una ruota e, dovendola cambiare, ci affanniamo a trovare un cric che non abbiamo nella nostra auto. Il problema per noi è trovare un cric. Se invece riformulassimo il problema in modo da avere come priorità il sollevamento dell’automobile per cambiare la ruota, e non il trovare un cric, allora è probabile che daremmo vita ad alcune soluzioni creative. Una persona sottoposta all’esperimento, infatti, ristrutturando così il problema, aveva deciso di spingere l’auto fino a un fienile vicino dove c’era una carrucola con cui avrebbe potuto sollevarla. In questo caso il problema, dunque, è stato risolto attraverso il pensiero creativo con cui i termini del problema sono stati inquadrati in modo del tutto nuovo grazie al capovolgimento del punto di vista.

Scoperta casuale

Secondo altri studiosi, la creatività presenta il carattere di scoperta casuale, un processo inconscio di generazione di idee alternative. L’estro creativo si manifesterebbe a livello inconsapevole, inconscio, al di fuori del controllo del soggetto interessato. La testimonianza di molti scienziati, matematici, musicisti o pittori sembra avvalorare questa tesi. Molti “geni creativi” parlano di una sorta di “percorso alla cieca”, “agitazione interiore”, “fermento ingiustifìcabile” che precederebbe i loro momenti maggiormente gravidi di creatività. Studiando casi simili, però, molti hanno convenuto sul fatto che la casualità delle scoperte creative è solo apparente, e che l’espressione della creatività (di qualsia si forma essa sia) è resa possibile dall’impegno e dalla ricerca precedente del
soggetto. Da quanto detto finora incominciamo a farei un’idea di quante siano le possibilità di definizione della creatività. Sicuramente l’estro creativo è ben diverso da abilità tecniche che possono essere acquisite con la pratica e l’esercizio. Da vari esperimenti fatti con studenti di accademie d’arte è stato osservato invece che la creatività è più vicina al valore artistico e al gusto estetico piuttosto che alla maestria tecnica. Allora resta da chiederei: la creatività è innata o acquisita? Il dibattito su questo quesito è piuttosto articolato, con poche evidenze certe. È molto probabile che il pensiero creativo sia un insieme di diversi fattori. L’ambiente sociale e il contesto culturale in cui una persona cresce e si forma è di sicuro un elemento importante per favorire o inibire comportamenti e idee originali. È anche vero però che non tutte le persone che crescono in ambienti flessibili, aperti, e disponibili ad accogliere idee nuove, sono persone creative: una certa “predisposizione innata” potrebbe essere quindi determinante.

Creatività e arbitrarietà

La creatività deve essere distinta dall’arbitrarietà. Pensare in modo creativo non significa necessariamente contravvenire alle norme e ai principi culturalmente e socialmente consolidati, anche se molte espressioni creative appaiono all’inizio di rottura e contestazione. Alcuni autori fanno risalire alla creatività due caratteri: quello di originalità, di cui abbiamo parlato finora, e quello di legalità, in base al quale l’atto e il pensiero creativo dovrebbero essere riconosciuti come tali anche dagli altri individui. Nonostante la creatività sia dunque un “uscire dagli schemi”, essa
non implica sempre che sia “contro le regole“. Spesso il periodo di “assimilazione” di idee creative da parte della società è piuttosto lungo, rendendo necessaria una significativa attività di comunicazione, condivisione, spiegazione. In questo modo, attraverso la trasferibilità e la comunicabilità agli altri, il comportamento creativo diventa parte della cultura e viene trasmesso nel tempo. Le forme d’arte più importanti, per esempio, hanno sempre rappresentato una rottura con i modelli precedenti, per diventare con gli anni tappe fondamentali della storia artistica mondiale.

Creatività e pensiero divergente

Il pensiero divergente (o divergenza) è la capacità di produrre una serie di possibili soluzioni alternative a una data questione, in particolare un problema che non preveda un’unica soluzione corretta. Esso è strettamente correlato al pensiero creativo, all’atto creativo e alla creatività in generale. Secondo lo psicologo statunitense Joy Paul Guilford attivo nella seconda metà del 900, il pensiero divergente è misurato da tre indici:

  • fluidità: parametro quantitativo che valuta la numerosità delle idee prodotte;
  • flessibilità: rappresenta la capacità di adottare strategie diverse e l’elasticità nel passare da un compito a un altro che richieda un approccio differente;
  • originalità: attitudine a formulare idee uniche e personali, differenti da quelle prodotte dalla maggioranza.

Questa teoria lo contrappone al pensiero convergente (o convergenza), senza una superiorità di un modello rispetto all’altro, quanto piuttosto una complementarità, a seconda della natura del problema da affrontare. Secondo Bruner, il pensiero creativo è olistico, poiché produce risposte che hanno un’ampiezza superiore alla somma delle loro parti, al contrario del pensiero convergente che genera risposte in maniera algoritmica. I comuni test d’intelligenza, a risposta chiusa, valutano il pensiero convergente, mentre per il pensiero divergente può essere dimostrato solo con test a risposta aperta. Secondo gli studi di Hudson, nel passaggio alle scuole secondarie gli alunni che manifestano un alto grado di divergenza tendono a specializzarsi nelle discipline artistiche e gli alunni che manifestano un alto grado di convergenza tendono a specializzarsi nelle discipline scientifiche. In generale, in ambiente scolastico viene maggiormente incentivato il pensiero convergente rispetto a quello divergente; secondo le ricerche di Getzels e Jackson, gli alunni con alto grado di divergenza sono accolti meno favorevolmente degli altri.

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