Malattia acuta da radiazione (avvelenamento da radiazioni): diagnosi e terapia

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO OSPEDALE ANAMNESI ESAME OBIETTIVO SEMEIOTICA FONENDOSCOPIO ESAME (3)La malattia acuta da radiazione (anche chiamata “avvelenamento da radiazioni“o “sindrome acuta da radiazione“, da cui l’acronimo “SAR“), è una sindrome caratterizzata un insieme di sintomi potenzialmente letali derivanti da un’esposizione dei tessuti del corpo umano ad una forte dose di radiazioni ionizzanti. Al di sopra di una esposizione che supera gli 8 Gy, l’avvelenamento è generalmente considerato grave ed in questo caso è quasi sempre mortale. Dosaggi più bassi, al di sotto di 2 Gy, più raramente determinano la morte. Ricordo al lettore che il Gy (gray) è l’unità di misura della dose assorbita di radiazione e che la radiazione ionizzante è un particolare tipo di radiazione che possiede abbastanza energia da liberare elettroni da atomi o molecole colpiti, rendendoli “ioni”: questa caratteristica rende le radiazioni ionizzanti capaci di danneggiare i tessuti biologici ed il DNA.

Diagnosi

La diagnosi viene generalmente effettuata sulla base di un’anamnesi di significativa recente esposizione alle radiazioni. Nel caso di esposizione a dosi minime,al di sotto di 1 Gy, possono verificarsi sintomi poco specifici, come diarrea, nausea, vomito, anoressia, mal di testa, affaticamento, febbre ed eritema. In questi casi si devono escludere altre possibili cause di patologie, possibilmente evitando ulteriori cause di esposizione (ad esempio usando strumenti diagnostici che usino radiazioni ionizzanti, come radiografie e TC) ed avendo particolare accortezza nel trattare il paziente con possibile avvelenamento da radiazioni. Una conta assoluta dei linfociti può fornire una stima approssimativa dell’esposizione alle radiazioni. Anche il tempo trascorso dall’esposizione alla comparsa di alcuni sintomi come il vomito, può fornire stime approssimative dei livelli di esposizione (se sono inferiori a 10 Gy, cioè 1000 rad).

Terapie

Purtroppo attualmente non esiste un trattamento che consenta d’invertire gli effetti delle radiazioni, né che possa impedire la morte quando il paziente è stato esposto a dosi altissime di radiazioni: in quest’ultimo caso il medico spesso si può solo limitare a curare – se possibile – i sintomi che sono derivati dall’esposizione o le infezioni scaturite (tramite antibiotici) ed a rendere gli ultimi giorni di vita del paziente terminale, il meno dolorosi possibile. Il trattamento di solito prevede l’impiego di antibiotici, emoderivati, fattori stimolanti le colonie e trapianto di cellule staminali. In alcuni casi si fa uso di preparati nei quali sono associate la tiamina cloridrato e la cianocobalamina (sostanze ad azione antinevritica) con la piridossina cloridrato (sostanza ad azione detossificante). Il paziente – a causa della maggiore suscettibilità alle infezioni – deve essere posto in camere sterili. Nei casi più gravi, che danno luogo ad aplasia midollare, si procede al trapianto del midollo osseo. La donazione viene eseguita da vivente (spesso un fratello o genitore). Il medico deve anche pensare ai risvolti psicologici del paziente con grave avvelenamento da radiazioni, che spesso presenta prognosi infausta, dolori estremi e disperazione: un adeguato supporto psicologico e psichiatrico è necessario non solo per il paziente, ma anche per la sua famiglia.

Antibiotici

Uno dei problemi che il medico deve gestire è la neutropenia, cioè la diminuzione dei neutrofili circolanti nel sangue, che nel paziente con avvelenamento da radiazioni può essere molto consistente e determinare quindi un aumento del rischio di infezioni. Esiste una relazione diretta tra il grado di neutropenia che emerge dopo l’esposizione alle radiazioni e l’aumento del rischio di sviluppare un’infezione. Poiché non esistono studi controllati sull’intervento terapeutico sugli esseri umani, la maggior parte delle attuali raccomandazioni si basano sulla ricerca sugli animali. Il trattamento dell’infezione accertata o sospetta conseguente all’esposizione alle radiazioni (caratterizzata da neutropenia e febbre) è simile a quello utilizzato per altri pazienti neutropenici febbrili. Esistono tuttavia importanti differenze tra le due condizioni. Gli individui che sviluppano neutropenia dopo l’esposizione alle radiazioni sono anche suscettibili al danno da irradiazione in altri tessuti, come il tratto gastrointestinale, i polmoni e il sistema nervoso centrale. Questi pazienti possono richiedere interventi terapeutici non necessari in altri tipi di pazienti neutropenici. La risposta degli animali irradiati alla terapia antimicrobica può essere imprevedibile, come è risultato evidente negli studi sperimentali in cui le terapie con metronidazolo e pefloxacina si sono rivelate dannose. Gli antimicrobici che riducono il numero della componente anaerobica stretta della flora intestinale (cioè il metronidazolo) generalmente non dovrebbero essere somministrati perché potrebbero aumentare l’infezione sistemica da parte di batteri aerobici o facoltativi, facilitando così la mortalità dopo l’irradiazione. Dovrebbe essere scelto un regime empirico di antimicrobici in base al modello di sensibilità batterica e alle infezioni nosocomiali nell’area interessata e nel centro medico e al grado di neutropenia. Nelle prime fasi deve essere iniziata tempestivamente una terapia empirica ad ampio spettro con dosi elevate di uno o più antibiotici diretti all’eradicazione dei batteri aerobi Gram-negativi (come Enterobacteriace, Pseudomonas…) che rappresentano più di tre quarti degli isolati che causano sepsi. Poiché i batteri Gram-positivi aerobi e facoltativi (soprattutto streptococchi alfa-emolitici) causano sepsi in circa un quarto delle vittime, può essere necessaria anche una copertura per questi organismi. I regimi empirici più usati comprendono antibiotici ampiamente attivi contro i batteri aerobi Gram-negativi (chinoloni: cioè ciprofloxacina, levofloxacina, una cefalosporina di terza o quarta generazione con copertura pseudomonas: ad esempio, cefepime, ceftazidime o un aminoglicoside: cioè gentamicina, amikacina).

Continua la lettura con:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su Mastodon, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.