Un aneurisma dell’aorta addominale è una dilatazione patologica permanente che interessa la parete della più grande arteria dell’addome.
In condizioni normali, nell’adulto, il diametro dell’aorta addominale misura circa 20 -25 millimetri (cioè 2 – 2,5 centimetri). Si parla di aneurisma addominale quando il rigonfiamento aortico raggiunge una dilatazione permanente di almeno i 30 millimetri (ovvero 3 centimetri) di diametro. L’aneurisma è ritenuto di grandi dimensioni quando supera un diametro di 50 millimetri (5 centimetri).
Come per ogni altro aneurisma, la parete aortica interessata dal rigonfiamento è fragile e può rompersi con relativa facilità, provocando una grave perdita di sangue. Per dare un’idea della gravità degli aneurismi addominali, si pensi che il 70-90% dei casi di rottura spontanea si conclude con la morte del soggetto colpito. Insieme agli aneurismi cerebrali, quelli che interessano l’aorta addominale sono gli aneurismi che più mettono in pericolo la vita di un individuo.
Rottura dell’aneurisma dell’aorta addominare: l’intervento chirurgico
Le opzioni chirurgiche, in caso di aneurisma dell’aorta addominale, sono due:
1) La chirurgia classica (a cielo aperto o “open”)
Il chirurgo vascolare incide l’addome da sotto lo sterno fino all’altezza del pube: l’aorta si trova nella parte posteriore dell’addome, appoggiata alla colonna vertebrale. Una volta “messo in luce” l’aneurisma, il flusso sanguigno viene interrotto applicando delle pinze chirugiche ad hoc (si procede cioè al clampaggio o pinzatura del vaso). Si asporta il tratto vasale dilatato e lo si sostituisce con una protesi tubulare artificiale cucita (sopra e sotto) alla porzione sana del’arteria. L’operazione richiede l’anestesia totale. L’operazione NON necessita di circolazione extracorporea (CEC, macchina cuore-polmone). Il ricovero ospedaliero è di circa 7 giorni e il paziente può riprendere la sua normale attività lavorativa e sociale, salvo complicazioni, dopo alcune settimane di convalescenza, anche in relazione ad età e stato di salute generale. Nel tempo dovrà sottoporsi a periodici controlli tramite ecografia dell’addome ed ecocolordoppler.
2) Chirurgia con protesi endovascolare
L’impianto di un’endoprotesi, vale a dire la riparazione dell’aorta dall’interno (EVAR in termine tecnico) consente di affrontare la dilatazione arteriosa con minore invasività rispetto alla chirurgia tradizionale raggiungendo l’aneurisma per mezzo di cateteri introdotti tramite un’arteria della gamba (arteria femorale) in prossimità dell’inguine e dopo aver somministrato l’anestesia locale per togliere sensibilità all’area d’ingresso.
Il catetere assomiglia ad un tubicino sottile e flessibile e contiene l’endoprotesi. Viene fatto scorrere dentro la rete arteriosa fino al punto desiderato; il percorso del dispositivo è monitorato dal chirurgo attraverso un costante controllo radiologico. Catturato il bersaglio, l’endoprotesi – dotata di uno scheletro in lega metallica – esce dal guscio del catetere e si aggancia all’aorta. Per completare l’impianto endoprotesico – alla protesi principale possono essere aggiunte, laddove necessario, ulteriori parti modulari allo scopo di isolare completamente la sacca aneurismatica dal normale circolo sanguigno – occorrono dalle 2 alle 4 ore, tempi notevolmente ridotti se rapportati ad una riparazione aortica standard. I successivi test strumentali – radiografie ed ecografie – aiuteranno lo specialista a verificare che l’endoprotesi risulti perfettamente inserita e l’aneurisma non aumenti più di volume. La degenza ospedaliera, in assenza di anomalie cliniche, varia dai 2 ai 4 giorni, un periodo quindi più limitato rispetto a quello della chirurgia open tradizionale.
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Vantaggi e svantaggi dei due tipi di intervento
I vantaggi della seconda tecnica elencata, quella con protesi endovascolare, sono senza dubbio elevati:
- bassa invasività,
- nel minor rischio intraoperatorio;
- minor rischio legato all’anestesia;
- tempi di recupero più brevi rispetto alla tecnica tradizionale.
Lo svantaggio è però che lo stent potrebbe staccarsi, rendendo così necessario un altro intervento per la sua sistemazione. Per assicurarsi che lo stent si mantenga in posizione corretta, è consigliabile svolgere un’ecografia addominale ogni 6 – 12 mesi nel periodo post operatorio.
Quale tecnica è la migliore?
Non esiste una terapia necessariamente migliore in senso assoluto: secondo uno studio statistico, le due procedure – se vanno a buon fine – garantiscono risultati ed efficacia simili: il tasso di sopravvivenza a lungo termine è infatti sovrapponibile. Da quali parametri dipende, allora, la scelta della procedura chirurgica? Per scegliere quale procedura è meglio adottare, il medico valuta l’età del paziente, il suo stato di salute generale (funzione renale ecc.) e la sede dell’aneurisma. Non ultima c’è da considerare che alcuni chirurghi hanno maggior esperienza in una delle due tecniche e preferiscono usare quella in particolare.
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