L’epatite autoimmune è una forma aggressiva di epatite, cioè di infiammazione cronica del fegato, ad eziologia non del tutto chiara ma presumibilmente autoimmunitaria. Viene colpito prevalentemente il sesso femminile (71%) generalmente prima dei 40 anni di età. Ne sono affette circa 100 persone ogni 100.000, ed è presente in tutti i gruppi etnici. Essendo una malattia autoimmunitaria, spesso si associa ad altre comuni patologie su base autoimmune come la rettocolite ulcerosa, l’artrite reumatoide, il diabete mellito di tipo 1, la sindrome di Sjögren o tiroiditi autoimmuni. Anche se non è una patologia a a diretta trasmissione ereditaria (autosomica o recessiva), è comunque una malattia che tende ad essere diffusa tra parenti, ciò significa che avere in famiglia ad esempio un genitore con epatite autoimmune, aumenta il rischio di soffrire a propria volta.
Epatite autoimmune e rischio di contagio
Anche se il nome “epatite” rischia di confondere il paziente, l’epatite autoimmune NON si trasmette per contagio, dal momento che la sua causa non risiede in una infezione.
Cause
L’eziologia è sconosciuta, tuttavia l’ipotesi patogenetica più accreditata è che diversi fattori ambientali, ereditari, farmacologici e virali (Morbillivirus, CMV, EBV, HCV) o possano agire sinergicamente come fattori scatenanti, con il meccanismo del cosiddetto mimetismo molecolare. Omologie, nella sequenza degli aminoacidi, tra proteine virali o farmacologiche e proteine degli epatociti, sarebbero in grado di causare e mantenere una reazione immunitaria contro le strutture stesse dell’epatocita secondo un meccanismo autoimmunitario.
Classificazione
Generalmente si riconoscono due sottotipi maggiori e un terzo minore:
- La forma classica, anticorpi antinucleo (ANA) e antimuscolo liscio (SMA) positiva, con grande aumento delle gammaglobuline, presente al 75% nel sesso femminile e ben responsivo alla terapia steroidea;
- Forma positiva agli anticorpi antimicrosomi epatici e renali (LKM), suddivisibile in tre sottotipi, presente tipicamente nelle giovani donne (95%), con prognosi più severa e con scarsa risposta agli steroidi;
- Forma positiva agli anticorpi antiantigene solubile epatico (SLA-LP), ritenuta da alcuni autori una variante più severa delle prime due forme.
Segni e sintomi
La malattia si presenta con un quadro clinico di epatite acuta associata a febbre, nausea e anoressia, cefalea, epatomegalia e ittero. Se non viene riconosciuta e trattata, evolve come una malattia cronica del fegato con dimagrimento, amenorrea e presenza di angiomi stellati. Possono coesistere, inoltre, i sintomi e i segni delle malattie associate, quali dolori articolari, emorragia gastrointestinale e sindrome sicca.
Diagnosi
Le indagini di laboratorio possono mostrare elevazione della concentrazione plasmatica di bilirubina, transaminasi e, talvolta, dell’alfa-feto proteina. Le gammaglobuline sono superiori al 30% al protidogramma e sono presenti gli autoanticorpi che permettono di distinguere tra le varie forme di malattia; nella seconda forma può essere presente viremia da HCV in caso di infezione. Indagini utili nelle fasi avanzate della malattia sono l’albuminemia e gli esami per la valutazione della situazione coagulativa, in particolar modo piastrinemia e protrombinemia.
Diagnosi differenziale
Il criteri diagnostici non sono codificati, ma le diagnosi differenziale con le altre forme di Epatite cronica si basano su:
- Precoce e costante aumento della concentrazione plasmatica di transaminasi (ALT, AST) di 5-10 volte e di immunoglobuline del 30%, soprattutto IgG policlonali, rispetto ai valori normali;.
- Presenza di infiltrato linfo-plasmacellulare negli spazi portali con erosione della lamina limitante e sconfinamento periportale, cui segue rigenerazione epatocitaria in forma di “rosette”;
- Presenza di autoanticorpi specifici per il tipo di epatite;
- Esclusione di altre patologie epatiche a eziologia nota.
Trattamento
Il trattamento si basa sul controllo dell’infiammazione tramite l’utilizzo di corticosteroidi e altri immunosoppressori, quali azatioprina, tacrolimus, micofenolato mofetile e budesonide.
Prognosi
L’80% dei casi in forma classica risponde alla terapia. In caso di mancata risposta o se sopraggiunge un’insufficienza epatica grave, può rendersi necessario un trapianto di fegato, che risulta efficace nel 74-94% dei casi, con la possibilità di recidivaridotta dal trattamento antirigetto.
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