Morso di serpente velenoso: sintomi, segni, effetti, cosa fare, terapia

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Un cobra reale, il serpente velenoso più lungo del mondo: è capace di uccidere un elefante adulto con un solo morso

Soltanto circa il 15% delle 3000 specie di serpenti velenosi di tutto il mondo è considerato velenoso per l’uomo. I serpenti a sonagli sono responsabili della maggior parte dei morsi di serpenti velenosi e di quasi tutti i decessi. La maggior parte degli altri morsi velenosi è dovuta ai testa di rame e, in misura minore, ai bocca di cotone (mocassini d’acqua). I serpenti corallo sono responsabili di meno dell’1% di tutte le morsicature. Le specie di serpenti velenosi importate, che si trovano negli zoo, nelle scuole, negli allevamenti di serpenti e nelle collezioni professionali e amatoriali, sono responsabili di circa 100 morsi l’anno. La maggior parte delle vittime è costituita da giovani di sesso maschile, il 50% dei quali è ubriaco al momento del fatto e maneggia o molesta deliberatamente il serpente. Le morsicature avvengono per lo più a livello delle estremità: nella quasi totalità dei casi il morso interessa gli arti superiori e quelli inferiori, condizione non indifferente nel considerare la gravità dell’evento, dal momento che un ipotetico ed improbabile morso alla gola o alla testa, assumerebbe una gravità ben peggiore.

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Cosa contiene il veleno di un serpente?

I veleni di serpente sono sostanze complesse, principalmente proteine, dotate di attività enzimatica. Sebbene gli enzimi svolgano un ruolo importante, le proprietà tossiche del veleno possono essere dovute ad alcuni polipeptidi di dimensioni più ridotte. La maggior parte dei componenti del veleno sembra legarsi a siti recettoriali fisiologici multipli presenti nell’organismo della vittima. Pertanto, la qualificazione arbitraria dei veleni di serpente come “neurotossine”, “emotossine” e “cardiotossine” è superficiale e può condurre a gravi errori di giudizio clinico. Il veleno della maggior parte dei crotalidi (vipere dalla fossetta) del Nord America contiene componenti proteiche tossiche, le quali producono effetti locali e sistemici.

Fisiopatologia del veleno

Gli effetti di un veleno di serpente possono comprendere un danno tissutale locale, alterazioni vascolari, emolisi, una sindrome analoga alla coagulazione intravascolare disseminata (Disseminated Intravascular Coagulation, DIC) (sindrome da defibrinazione, v. oltre e alterazioni polmonari, cardiache, renali e neurologiche. Il veleno dei crotalidi altera la permeabilità vascolare capillare, causando la fuoriuscita di elettroliti, colloidi e GR attraverso le pareti vasali, sia nella sede di inoculazione sia in altri organi (p. es., i polmoni, i reni, il cuore, raramente il SNC). Inizialmente, si verificano edema, ipoalbuminemia ed emoconcentrazione. In seguito, la stasi del sangue e dei liquidi a livello della microcircolazione provoca shock, ipotensione e acidosi lattica. La caduta del volume ematico circolante effettivo può contribuire a peggiorare l’insufficienza cardiaca e renale. Nei casi gravi di morsicatura da serpenti a sonagli può comparire trombocitopenia (conta piastrinica < 20000/ml), isolata o in associazione con altre coagulopatie. La coagulazione intravascolare indotta dal veleno può innescare la sindrome da defibrinazione, cui conseguono ematemesi, ematuria ed emorragie interne. L’insufficienza renale può essere dovuta a un deficit critico della GFR secondario all’ipotensione, all’emolisi o a una sindrome simil-DIC. In alcuni pazienti con gravi morsicature di serpenti a sonagli si possono osservare proteinuria, emoglobinuria e mioglobinuria. Il veleno della maggior parte dei crotalidi del Nord America provoca alterazioni molto lievi della trasmissione neuromuscolare, sebbene il veleno del mojave e del crotalo dal dorso di diamante dell’Est possa provocare gravi danni neurologici. Il veleno del serpente corallo (un elapide) contiene principalmente componenti neurotossiche, le quali provocano un blocco neuromuscolare. La mancanza di una significativa attività enzimatica proteolitica rende ragione dei sintomi e segni molto ridotti osservati nella sede del morso.

Sintomi, segni e diagnosi

Tipo di serpente: i sintomi e i segni locali della maggior parte degli avvelenamenti da crotalidi sono: la presenza delle impronte dei denti del serpente, la comparsa immediata di dolore urente, l’edema (di solito entro 10 min, raramente dopo più di 30 min) e l’eritema o l’ecchimosi della sede del morso e dei tessuti adiacenti. Se non viene trattato, l’edema progredisce rapidamente ed entro poche ore può interessare l’intero arto. In corrispondenza della zona colpita, insieme all’aumento della temperatura, possono essere presenti linfangite e ingrossamento e dolenzia dei linfonodi regionali. L’ecchimosi è comune nell’avvelenamento moderato o grave da serpenti a sonagli e può comparire al di sopra della zona del morso entro 3-6 h. Essa è grave soprattutto in seguito ai morsi del crotalo dal dorso di diamante dell’Est e dell’Ovest e dei crotali della prateria, del Pacifico e del legno; è meno grave dopo i morsi dei testa di rame e dei mojave. La cute può apparire tesa e discromica; solitamente, nell’area del morso compaiono entro 8 h vescicole che spesso divengono emorragiche. Queste alterazioni sono di solito superficiali, poiché i morsi dei serpenti a sonagli del Nord America tendono a essere limitati al derma e ai tessuti sottocutanei. Nei casi non trattati è frequente la necrosi intorno alla zona del morso e i vasi superficiali circostanti possono divenire trombotici. La maggior parte degli effetti del veleno raggiunge il massimo entro 4 giorni dal morso.

Le manifestazioni sistemiche possono comprendere nausea, vomito, sudorazione, febbre, astenia generalizzata, parestesie, fascicolazioni muscolari, alterazione dello stato mentale, ipotensione e shock. Le vittime dei morsi di serpenti a sonagli possono riferire la comparsa di un sapore metallico, gommoso o simile alla menta. Dopo il morso del mojave può verificarsi depressione respiratoria. Gli avvelenamenti da serpenti a sonagli possono provocare un’ampia varietà di alterazioni della coagulazione, compreso il prolungamento del tempo di protrombina (misurato mediante l’INR) o del tempo di tromboplastina parziale attivata (activated Partial Thromboplastin Time, aPTT), la trombocitopenia, l’ipofibrinogenemia, l’aumento dei prodotti di degradazione della fibrina o una combinazione di questi disordini, somigliante a una sindrome simil-DIC (da defibrinazione). Dalla sede del morso o dalle mucose può avere origine un’emorragia. Possono comparire ematemesi, melena ed ematuria. Nella maggior parte dei casi, un aumento improvviso dell’HTC è un reperto precoce secondario all’emoconcentrazione. In seguito, l’HTC può diminuire come conseguenza della reintegrazione dei liquidi e della perdita di sangue dovuta alla coagulopatia. Nei casi gravi, l’emolisi può provocare una rapida caduta dell’HTC.

Nei morsi di serpente corallo, il dolore e il gonfiore possono essere minimi o assenti e sono spesso transitori. Le manifestazioni sistemiche possono comparire con un ritardo di 8-24 ore. Intorno al morso sono comuni le parestesie ed entro diverse ore può divenire evidente una certa debolezza dell’arto. Il paziente può riferire astenia marcata e letargia. Si possono osservare alterazioni del sensorio, compresa l’euforia e la sonnolenza. Possono comparire paralisi dei nervi cranici, compresa la ptosi, la diplopia, l’offuscamento della vista, la disartria e la disfagia con scialorrea. Può seguire difficoltà respiratoria e flaccidità muscolare. Una volta che gli effetti neurotossici dell’avvelenamento da serpente corallo diventano evidenti, essi sono difficili da far regredire con l’antidoto e possono persistere per 3-6 giorni nonostante il trattamento. I pazienti non trattati possono morire per insufficienza respiratoria.

Grado dell’avvelenamento: la gravità di qualsiasi avvelenamento da morso di serpente dipende dalle dimensioni e dalla specie del serpente, dalla quantità di veleno inoculato, dal numero dei morsi, dalla sede e dalla profondità del morso (p. es., i morsi alla testa e al tronco tendono a essere più gravi dei morsi alle estremità), dall’età, dalla corporatura e dalle condizioni di salute della vittima, dal tempo trascorso prima dell’inizio del trattamento e dalla suscettibilità (risposta) della vittima al veleno.

Talvolta in letteratura è descritta una gradazione numerica quantitativa dell’avvelenamento; tuttavia, la suddivisione dei casi in minimi, moderati o gravi, effettuata sulla base delle alterazioni locali, dei sintomi e dei segni sistemici, dei parametri coagulativi e delle indagini di laboratorio, è più pratica. La gradazione dell’avvelenamento va stabilita in base al più grave tra i sintomi, i segni o i reperti di laboratorio. Un avvelenamento può progredire rapidamente da un grado minimo a uno grave, e deve essere rivalutato continuamente.

Impronte dei denti: le impronte dei denti possono suggerire il tipo di serpente responsabile, ma non ne assicurano l’identificazione certa. Le distribuzioni tipiche dei fori dei denti, basate sull’anatomia della mandibola del serpente, possono non essere individuabili sul posto. I serpenti a sonagli possono lasciare una o due impronte o graffi da morso e altre impronte dentarie; sono molto frequenti i fori singoli. Di solito i morsi dovuti a serpenti non velenosi mostrano impronte dentarie multiple.

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Morso di serpente non velenoso: cosa fare?

I serpenti non velenosi presentano generalmente piccoli muscoli mascellari uniti a denti minuti: questo tipo di morsi sono indolori, ma si può avvertire un lieve fastidio. Sulla pelle si possono invece osservare dei punti rossi in corrispondenza a dove i denti hanno scalfito la pelle. In caso di morso di serpente velenoso è necessario pulire e disinfettare la ferita, ottimale con l’acqua ossigenata al 3%. Come nel caso di qualsiasi ferita sporca bisogna assicurarsi di avere un’adeguata copertura antitetanica. Nel dubbio che il serpente sia in realtà velenoso è comunque necessario interpellare immediatamente un medico.

Morso di serpente velenoso: cosa fare?

I morsi di serpenti velenosi sono emergenze mediche che richiedono un’attenzione immediata. Prima di cominciare il trattamento, bisogna stabilire se il serpente è velenoso e se si è verificato l’avvelenamento, poiché un serpente velenoso può mordere e non inoculare il veleno (“morsi asciutti” si verificano in circa il 20-30% dei morsi di crotalidi e in circa il 50% dei morsi di serpente corallo). Quando l’avvelenamento non si verifica, oppure se il morso è opera di un serpente non velenoso, il morso va trattato allo stesso modo di una ferita da puntura. In tutti gli avvelenamenti, è buona norma contattare un centro antiveleni della zona.

Sul posto, ecco come comportarsi:

  1. la vittima del morso deve spostarsi o essere spostata al di fuori della portata di un ulteriore attacco del serpente;
  2. i soccorritori devono loro stessi evitare il rischio di morsi;
  3. la vittima deve evitare di compiere esercizi fisici;
  4. la vittima deve essere rassicurata e tenuta al caldo;
  5. lavare abbondantemente la ferita;
  6. la parte offesa deve essere immobilizzata senza costrizione in una posizione funzionale subito al di sotto del livello del cuore;
  7. tutti gli anelli, gli orologi e i vestiti troppo stretti devono essere rimossi dal paziente;
  8. la vittima deve essere trasportata al più vicino centro medico il più presto possibile.

Cosa NON fare:

  1. non devono essere somministrati stimolanti;
  2. non devono essere somministrati farmaci se non si è medici;
  3. non succhiare la ferita;
  4. non utilizzare il siero antiofidico al di fuori dell’ambiente ospedaliero (la mortalità da shock anafilattico a seguito di suo utilizzo è paradossalmente spesso superiore alla quella di morso da serpente);
  5. i lacci emostatici, l’incisione, la crioterapia e lo shock elettrico sono controindicati.

Il metodo dell’immobilizzazione compressiva (bendaggio elastico) non è raccomandato negli USA per i morsi dei crotalidi, perché può aumentare la necrosi locale. L’estrattore di Sawyer, applicato direttamente sui fori dei denti, può essere utile nei morsi di crotalidi se viene applicato entro alcuni minuti dal morso e lasciato in sede per 30-60 min.

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I primi soccorritori (p. es., i paramedici) devono assicurare la pervietà delle vie aeree e la respirazione, somministrare O2, garantire un accesso EV e trasportare immediatamente la vittima al più vicino centro medico.

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Morso di serpente velenoso: terapia

Al Pronto Soccorso bisogna raccogliere un’anamnesi dettagliata (momento del morso, descrizione del serpente, tipo di terapia praticato sul posto, condizioni di salute preesistenti, allergia al siero di cavallo, storia di precedenti morsi di serpente e terapia praticata) ed eseguire un esame obiettivo completo. Tutti i casi di morso di serpente, sia velenoso sia non velenoso, devono essere tenuti in osservazione per 12 ore. In tutti i morsi di crotalidi, tranne nei casi banali, all’arrivo del paziente devono essere eseguiti un emocromo completo (con conta piastrinica), un profilo coagulativo (tempo di protrombina, tempo di tromboplastina parziale, fibrinogeno, prodotti di degradazione della fibrina), un dosaggio degli elettroliti, dell’azoto ureico e della creatinina e un’analisi delle urine. Negli avvelenamenti gravi o moderati, bisogna eseguire la tipizzazione ematica, le prove crociate e i test per la CK, di solito ogni 4 h per 12 h e in seguito quotidianamente. Nei casi gravi, è indicata l’esecuzione di un ECG e di una rx del torace. Se non è stata praticata sul posto, deve essere cominciata un’infusione EV di soluzione fisiologica o di Ringer lattato in un arto non colpito e il paziente va posto sotto monitoraggio cardiaco. Nei morsi di serpente corallo, gli effetti neurotossici del veleno richiedono il monitoraggio della saturazione di O2 e della funzionalità polmonare (p. es., il flusso di picco, la capacità vitale), all’inizio del trattamento e a intervalli regolari.

Trattamento iniziale: l’antidoto rimane il cardine della terapia per gli avvelenamenti moderati e gravi da morso di serpente. Esso viene somministrato ai pazienti che mostrano segni di avvelenamento e progressione della sintomatologia da 30 min a 8 h dopo il morso. Gli unici antidoti approvati presenti in commercio sono derivati di origine equina e un test cutaneo di ipersensibilità al siero di cavallo (incluso nella confezione) va eseguito esclusivamente se l’antidoto verrà somministrato. Un risultato negativo non esclude la possibilità di una reazione di ipersensibilità. Se il risultato del test cutaneo è positivo e l’avvelenamento viene giudicato pericoloso per la vita o per l’incolumità dell’arto, va somministrato un pretrattamento con antagonisti H1 e H2, seguito dall’antidoto, in ambiente di terapia intensiva attrezzato per trattare l’anafilassi. Le reazioni precoci all’antidoto sono frequenti e di solito sono dovute a un’infusione troppo rapida. Se si verifica una reazione, l’infusione dell’antidoto deve essere interrotta immediatamente. Devono essere somministrati adrenalina, antagonisti H1 e H2 e liquidi isotonici. Solitamente, la somministrazione dell’antidoto può essere ripresa dopo un’ulteriore diluizione, a una velocità di infusione inferiore.

L’efficacia dell’antidoto è correlata al tempo e alla dose; esso è più efficace entro le prime 4 h e meno efficace dopo 12 h, anche se può far regredire le coagulopatie dopo 24 h. La dose iniziale deve essere suggerita dalla gravità e dalla progressione delle alterazioni locali, dei sintomi e dei segni sistemici o dei reperti di laboratorio al momento della valutazione. La maggior parte dei casi di avvelenamento minimo da morso di serpente non necessita dell’antidoto, i casi di gravità moderata possono richiedere inizialmente da 10 a 15 fiale (da 100 a 150 ml) e i casi gravi possono necessitare all’inizio di almeno 15 fiale ( 150 ml). Ai pazienti con collasso circolatorio profondo vanno inizialmente somministrate 20 fiale (200 ml). L’avvelenamento da bocca di cotone (mocassino d’acqua) di solito richiede dosi più piccole. L’antidoto non è necessario per i morsi del testa di rame e del crotalo pigmeo, tranne nei bambini, negli anziani e nei pazienti affetti da patologie mediche debilitanti sottostanti (p. es., diabete mellito, coronaropatie).

L’antidoto ricostituito deve essere diluito in 250-1000 ml di soluzione fisiologica sterile o di destroso al 5% e somministrato EV lentamente a 50-75 ml/h per i primi 10 min. Se non si verifica alcuna reazione, il rimanente può essere infuso in 1 ora. L’antidoto non deve mai essere iniettato nelle dita della mano o del piede. I liquidi EV devono essere ridotti al minimo nei pazienti pediatrici e geriatrici, salvo quando è presente shock o ipovolemia. La misurazione della circonferenza dell’estremità coinvolta (in tre punti diversi prossimalmente al morso) e la misurazione del margine in avanzamento dell’edema ogni 15-30 min può guidare il dosaggio addizionale dell’antidoto. Se i reperti locali, i sintomi e i segni sistemici o le alterazioni di laboratorio progrediscono, la dose di antidoto iniziale viene ripetuta ogni 1-2 h.

Quando è stato diagnosticato un probabile avvelenamento da serpente corallo, devono essere somministrate 5 fiale di antidoto (Micrurus fulvius). Se la sintomatologia progredisce, possono essere indicate da 10 a 15 fiale aggiuntive. Lo stato clinico del paziente va tenuto sotto controllo in un’unità di terapia intensiva nell’eventualità di una paralisi respiratoria.

Il CroTab è un nuovo antidoto ottenuto dall’immunizzazione ovina con veleni di crotalidi del Nord America, la quale induce la produzione di IgG. Le IgG vengono quindi raccolte, frazionate chimicamente e digerite con papaina per ottenere frammenti Fab purificati. Trial clinici multicentrici eseguiti negli USA hanno mostrato che il CroTab è sicuro ed efficace e ha una bassa incidenza di reazioni di ipersensibilità di tipo immediato e ritardato.

Un centro antiveleni della zona o il giardino zoologico locale costituiscono una risorsa eccellente quando si deve far fronte ai morsi di serpenti velenosi, compresi quelli dovuti a serpenti che non appartengono alla fauna indigena. Queste strutture possiedono un elenco dei medici ai quali rivolgersi, come pure l’Antivenin Index, il quale viene pubblicato e aggiornato periodicamente dalla American Zoo and Aquarium Association e dalla American Association of Poison Control Centers. Questo indice cataloga la localizzazione e il numero di fiale degli antidoti disponibili per tutti i serpenti velenosi locali e per la maggior parte delle specie non locali.

Quando ve n’è indicazione, va somministrata la terapia antitetanica. Gli antibiotici vengono somministrati soltanto quando sono presenti i segni clinici di un’infezione; la scelta dell’antibiotico deve essere guidata dalla coltura del materiale della ferita. La comparsa di segni di shock ipovolemico richiede la reintegrazione con liquidi isotonici. I difetti gravi dell’emostasi (cioè una coagulazione anormale o la lisi di cellule o coaguli o un’alterata attività piastrinica) possono richiedere la reintegrazione con GR concentrati, plasma fresco congelato, crioprecipitato o piastrine. Gli emoderivati non vanno somministrati fino a che non è stata somministrata una dose adeguata di antidoto neutralizzante. I corticosteroidi sono inutili durante gli stadi acuti e sono controindicati.

Al primo segno di difficoltà respiratoria, bisogna somministrare O2 e fornire assistenza respiratoria meccanica. Può rendersi necessaria l’intubazione endotracheale o la tracheostomia, in particolare se è presente trisma, spasmo laringeo o salivazione eccessiva. Una lieve sedazione con una benzodiazepina EV è indicata negli avvelenamenti gravi quando l’insufficienza respiratoria non è un problema. Per il dolore può essere necessario un narcotico. Un’estremità non deve mai essere raffreddata.

La pulizia chirurgica di bolle, vescicole ematiche o necrosi superficiale, se presente, deve essere eseguita fra la terza e la decima giornata e può presentare la necessità di un’esecuzione in più fasi. La zona colpita deve essere fasciata ed esaminata quotidianamente.

Trattamento nella fase di controllo: la fasciotomia di solito non è necessaria, tranne nel caso in cui sia evidente una grave compromissione vascolare, evenienza dimostrata da pressioni locali 30 mm Hg dopo 1 h, che non rispondono al sollevamento dell’arto, al mannitolo EV (da 1 a 2 g/kg) e alla somministrazione di 10-15 fiale ulteriori di antidoto. La mobilità articolare, la forza muscolare, la sensibilità e la circonferenza devono essere valutate entro 2 giorni dal morso. Per evitare le contratture, l’immobilizzazione va interrotta con frequenti periodi di esercizio leggero, procedendo da passivo ad attivo. Il trattamento nella fase di controllo comprende anche il lavaggio con soluzione fisiologica sterile, lo sbrigliamento chirurgico secondo necessità e la pulizia quotidiana della ferita. Quest’ultima va coperta con una garza sterile e un bendaggio lasso quando il paziente rimane a letto, e con un bendaggio piuttosto saldo quando il paziente si alza. Da 7 a 21 giorni dopo la somministrazione di 5 fiale di antidoto, in una quota di pazienti che arriva al 75% si verifica una malattia da siero. Essa può manifestarsi con febbre, artralgie, eruzione cutanea, linfoadenopatia e neurite periferica occasionale. La malattia da siero di solito può essere trattata efficacemente, in regime ambulatoriale, con antagonisti H1 e corticosteroidi.

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