L’avvelenamento da cadmio (chiamato anche “intossicazione da cadmio“; in inglese “cadmium poisoning“, “cadmium toxicity“, “cadmium overdose“ o “cadmium intoxication“) è una condizione clinica caratterizzata dall’esposizione dell’organismo acuta o cronica, accidentale o volontaria, all’elemento chimico mercurio. Il cadmio è un metallo pesante, tossico, presente in natura (in genere come impurità dello zinco o del piombo). L’avvelenamento da cadmio è un tipo di avvelenamento da metalli pesanti, gruppo in cui sono inclusi anche l’avvelenamento da arsenico, da mercurio e da piombo. La concentrazione di cadmio nel sangue viene detta cadmiemia e dovrebbe essere mantenuta al di sotto dei 5 ng/mL (5 μg/L). La maggioranza delle persone ha una cadmiemia compresa tra 0,5 e 2 ng/mL (0,5 – 2 μg/L). Si osserva tossicità acuta quando il livello nel sangue di cadmio supera i 50 ng/mL (50 μg/L). Il cadmio è un inquinante industriale e ambientale estremamente tossico classificato come cancerogeno per l’uomo.
Sintomi e segni di esposizione acuta
L’esposizione acuta al cadmio può causare sintomi simil-influenzali tra cui brividi, febbre e dolori muscolari a volte definiti “blues da cadmio”. I sintomi possono risolversi dopo una settimana se non vi sono danni respiratori. Esposizioni più gravi possono causare tracheo-bronchite, polmonite ed edema polmonare. I sintomi di infiammazione possono iniziare ore dopo l’esposizione e comprendere tosse, secchezza e irritazione del naso e della gola, mal di testa, vertigini, debolezza, febbre, brividi e dolore toracico.
Sintomi e segni di esposizione cronica
Le complicanze dell’avvelenamento da cadmio cronico includono tosse, anemia e insufficienza renale (che potrebbero portare alla morte). Il cadmio è cancerogeno e l’esposizione ad esso aumenta le probabilità di sviluppare il cancro. Similmente allo zinco, l’esposizione a lungo termine ai fumi di cadmio può causare anosmia permanente.
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Effetti su ossa e articolazioni
Uno degli effetti principali dell’avvelenamento da cadmio è la fragilità ossea. Le ossa diventano “morbide” (osteomalacia), perdono densità minerale ossea (osteoporosi) e diventano più deboli. Ciò provoca dolori alle articolazioni e alla schiena e aumenta il rischio di fratture, molto pericolose negli anziani. Il dolore alla colonna vertebrale e alle gambe è comune e spesso si sviluppa un’andatura ondeggiante a causa delle deformità ossee causate dall’esposizione a lungo termine al cadmio. Il dolore alla fine diventa debilitante e le fratture diventano più comuni man mano che l’osso si indebolisce, specie nelle donne, in particolare quelle nel periodo post-menopausale (che statisticamente sono più soggette ad osteoporosi). L’esposizione cronica al cadmio puà determinare deformazioni permanenti delle ossa. In casi estremi di avvelenamento da cadmio, il semplice peso corporeo provoca una frattura, soprattutto se il soggetto è in sovrappeso od obeso.
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Effetti sui reni
Il danno renale causato dall’avvelenamento da cadmio è irreversibile. I reni possono ridursi fino al 30% e si può determinare una grave insufficienza renale, anche mortale. I reni perdono la loro funzione di rimuovere gli acidi dal sangue nella disfunzione del tubulo renale prossimale. La disfunzione del tubulo renale prossimale provoca ipofosfatemia, che porta a debolezza muscolare e talvolta al coma. Si verifica anche ipercloremia. La disfunzione renale provoca anche la gotta, una forma di dolorosa artrite dovuta all’accumulo di cristalli di acido urico nelle articolazioni a causa dell’elevata acidità del sangue (iperuricemia). L’esposizione al cadmio è anche associata allo sviluppo di calcoli renali.
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Cancerogenicità
Ci sono varie prove che il cadmio possa causare il cancro. Waalkes et al. hanno dimostrato che un’iniezione sottocutanea di cloruro di cadmio può indurre il cancro alla prostata nei ratti. Questo gruppo di ricerca ha anche ipotizzato che alte dosi di cadmio possano causare grave necrosi testicolare nei ratti, seguita da una maggiore incidenza di tumori interstiziali testicolari. A differenza dei dati di laboratorio, però, gli studi epidemiologici non sono riusciti a dimostrare in modo convincente che il cadmio sia la causa del cancro alla prostata . Le prime pubblicazioni tuttavia suggerivano un’associazione tra cadmio e cancro renale negli esseri umani. Questa ipotesi è stata confermata nel 2005 da una revisione sistematica di sette studi epidemiologici e undici studi clinici. Di conseguenza, l’IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha deciso di classificare il cadmio come cancerogeno per l’uomo del gruppo I. I dati più recenti supportano tuttavia l’ipotesi che solo l’assorbimento del cadmio attraverso il sistema respiratorio abbia un potenziale cancerogeno. Sebbene i meccanismi molecolari della carcinogenesi indotta dal cadmio non siano ancora compresi, diversi fattori possono contribuirvi: aumento della segnalazione mitogenica, perturbazione del meccanismo di riparazione del DNA e acquisizione di resistenza apoptotica mediante esposizione al cadmio. È anche in discussione la sostituzione dello zinco con il cadmio nelle proteine che regolano la trascrizione. Inoltre, nuovi dati hanno dimostrato che il cadmio è in grado di modificare la conformazione della E-caderina, una glicoproteina transmembrana. L’E-Caderina svolge un ruolo importante nelle adesioni cellula-cellula, specialmente nelle cellule epidermiche. Ci sono molti altri campi della medicina del lavoro e della tossicologia in cui si sospetta attualmente che il cadmio svolga un ruolo importante nella patogenesi di molte patologie.
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Donne in post-menopausa
In un avvelenamento di massa da cadmio in Giappone (malattia “itai-itai”), è stata notata una marcata prevalenza di complicazioni scheletriche per le donne anziane in post-menopausa, tuttavia, la causa del fenomeno non è completamente compresa ed è in fase di studio. L’avvelenamento da cadmio nelle donne in post-menopausa può comportare un aumento del rischio di osteoporosi. La ricerca attuale ha evidenziato una malnutrizione generale, nonché uno scarso metabolismo del calcio in relazione all’età delle donne. Gli studi indicano che il danneggiamento dei mitocondri delle cellule renali da parte del cadmio è un fattore chiave della malattia.
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Diagnosi e biomarcatori di eccessiva esposizione
L’aumento delle concentrazioni di beta-2 microglobulina urinaria può essere un indicatore precoce di disfunzione renale in persone cronicamente esposte a livelli bassi ma eccessivi di cadmio ambientale. Il test della microglobulina beta-2 urinaria è un metodo indiretto per misurare l’esposizione al cadmio. In alcune circostanze, l’Amministrazione per la salute e la sicurezza sul lavoro richiede lo screening per danni renali nei lavoratori con esposizione a lungo termine ad alti livelli di cadmio. Le concentrazioni di cadmio nel sangue o nelle urine forniscono un indice migliore di esposizione eccessiva in situazioni industriali o in seguito ad avvelenamento acuto, mentre le concentrazioni di cadmio nei tessuti degli organi (polmoni, fegato, reni) possono essere utili in caso di decessi derivanti da avvelenamento acuto o cronico. Le concentrazioni di cadmio in persone sane senza eccessiva esposizione al cadmio sono generalmente inferiori a 1 μg/L (1 ng/mL) nel sangue o nelle urine. Gli indici di esposizione biologica ACGIH per i livelli di cadmio nel sangue e nelle urine sono rispettivamente 5 μg/L (5 ng/mL) e 5 μg/g di creatinina, in campioni casuali. Le persone che hanno subito danni renali a causa dell’esposizione cronica al cadmio spesso hanno livelli di cadmio nel sangue o nelle urine compresi rispettivamente tra 25 e 50 μg/L (25 – 50 ng/mL) o tra 25 e 75 μg/g di creatinina. Questi intervalli sono solitamente rispettivamente di 1000-3000 μg/L e 100-400 μg/g nei sopravvissuti ad avvelenamento acuto e possono essere sostanzialmente più elevati nei casi fatali.
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Trattamento
Una persona con avvelenamento da cadmio dovrebbe rivolgersi immediatamente a un medico, sia per il trattamento che per le cure di supporto. Il primo passo è, se possibile, l’eliminazione dell’esposizione al cadmio. Per un’esposizione ingestiva non cronica, gli emetici o la lavanda gastrica subito dopo l’esposizione possono decontaminare il sistema gastrointestinale. Il carbone attivo nella terapia contro l’avvelenamento da cadmio, rimane di efficacia non provata. Non si raccomanda la terapia chelante, in parte perché la chelazione può accentuare il danno renale, che già è grave nei pazienti con avvelenamento da cadmio. Per l’esposizione a lungo termine, prove considerevoli indicano che il tradizionale chelante EDTA può ridurre il carico complessivo di cadmio nell’organismo. Gli antiossidanti co-somministrati, compreso il glutatione nefroprotettivo, sembrano migliorare l’efficacia. Per i pazienti con reni estremamente fragili, prove limitate suggeriscono che il sudore di una sauna può espellere in modo differenziale il metallo. Importante prevenire gli effetti della fragilità ossea e curare l’osteoporosi.
Prognosi
La prognosi è spesso infausta se non viene effettuata un trattamento adeguato e rapido, soprattutto se il paziente giunge all’attenzione dei medici con una gravissima insufficienza renale.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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