Il tracciato elettrocardiografico rilevato con un elettrocardiogramma (ECG) è caratterizzato da diversi tratti denominati onde positive e negative, che si ripetono ad ogni ciclo cardiaco ed indicano la specifica attività del cuore legata alla propagazione dell’impulso elettrico cardiaco. Il normale tracciato ECG presenta un aspetto caratteristico che varia soltanto in presenza di problemi: una data patologia tende a determinare una specifica alterazione in uno o più punti del tracciato, restituendo onde alterate nell’altezza, nella forma o invertite. In questo articolo troverete le indicazioni per una interpretazione di base del tracciato elettrocardiografico normale ed alterato.
IMPORTANTE:
- Perché l’interpretazione dell’ECG sia affidabile è necessario che gli elettrodi siano posizionati correttamente: un errore nel posizionamento può portare a risultati falsamente positivi, cioè risultare in onde alterate che indicano patologie che non sono realmente presenti.
- Evita l’autodiagnosi. La lettura accurata di un tracciato di ECG richiede parecchia conoscenza ed esperienza. Sebbene tu possa imparare a riconoscere i vari elementi e le irregolarità di un ECG, non dovresti MAI cercare di diagnosticare i tuoi disturbi in base alle anomalie che credi di aver individuato nel tracciato: rivolgiti invece al medico di famiglia o al cardiologo per un’interpretazione professionale.
Onde, complessi, intervalli, tratti e segmenti normali dell’ECG
Si definiscono:
- onde positive: le onde che sono sopra la linea isoelettrica;
- onde negative: le onde che sono sopra la linea isoelettrica.
Onda P
E’ la prima onda che si genera nel ciclo, e corrisponde alla depolarizzazione degli atri. È di piccole dimensioni, poiché la contrazione degli atri non è così potente. La sua durata varia tra i 60 e i 120 ms, l’ampiezza (o altezza) è uguale o inferiore ai 2,5 mm.
Complesso QRS
Corrisponde alla depolarizzazione dei ventricoli ed è formato da un insieme di tre onde che si susseguono l’una all’altra:
- onda Q: è negativa e di piccole dimensioni, e corrisponde alla depolarizzazione del setto interventricolare;
- onda R: è un picco molto alto positivo, e corrisponde alla depolarizzazione dell’apice del ventricolo sinistro;
- onda S: è un’onda negativa anch’essa di piccole dimensioni, e corrisponde alla depolarizzazione delle regioni basale e posteriore del ventricolo sinistro. La durata dell’intero complesso è compresa tra i 60 e 90 ms. In questo intervallo avviene anche la ripolarizzazione atriale che però non risulta visibile perché mascherata dalla depolarizzazione ventricolare.
Onda T
Rappresenta la ripolarizzazione dei ventricoli. Non sempre è identificabile, perché può anche essere di valore molto piccolo.
Onda U
E’ un’onda che non sempre è possibile apprezzare in un tracciato, rappresenta la ripolarizzazione delle fibre del Purkinje.
Tratto (o segmento) ST
E’ la distanza fra l’onda S e l’inizio dell’onda T, rappresenta l’intervallo fra la depolarizzazione ventricolare e l’inizio della ripolarizzazione ventricolare (ripristino delle condizioni elettriche di base). Rispetto all’isoelettrica, non deve essere né sopra né sotto di più di 1 mm in tutte le derivazioni ad eccezione di V1 e V2, nelle quali, comunque, deve rimanere inferiore ai 2 mm.
Intervallo QT
Rappresenta la sistole elettrica, cioè il tempo in cui avviene la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare. La sua durata varia al variare della frequenza cardiaca, generalmente si mantiene tra i 350 e i 440ms.
Intervallo PR
E’ la distanza fra l’inizio dell’onda P e l’inizio del complesso QRS, rappresenta l’intervallo necessario perché la depolarizzazione atriale raggiunga i ventricoli. Deve avere una durata compresa fra 120 ms e 200 ms (da 3 a 5 quadratini).
Interpretare l’ECG dell’adulto
Frequenza cardiaca (FC) ed intervallo RR
La frequenza cardiaca si definisce come numero di battiti cardiaci per minuto (bpm) ed è riferita alla frequenza ventricolare. Avere una FC di 70 bpm significa che in un minuti si verificano 70 contrazioni dei ventricoli. Ottenere la FC da un tracciato elettrocardiografico è piuttosto semplice. Il tracciato ECG viene compilato su carta millimetrata, che scorre nell’elettrocardiografo ad una velocità di 25 mm al secondo, quindi cinque lati di quadrati da 5 mm rappresentano 1 secondo. È quindi facile immaginare come si possa immediatamente ricavare la frequenza cardiaca, valutando quanto tempo passa tra un ciclo e l’altro (si misura il tempo intercorso tra due picchi R, chiamato intervallo RR). A solo titolo di esempio se abbiamo un complesso ogni 4 quadrati da 5 millimetri, significa che la nostra frequenza è attorno ai 75 battiti al minuto. Ovvero, visto che ogni quadrato da 5 mm corrisponde a 0,2 s e, quindi, 4 quadrati a 0,8 s, basterà dividere 60 s (1 minuto) per 0,8 s per ottenere la frequenza di 75 battiti al minuto, appunto. Oppure, più semplicemente, possiamo dividere 300 per il numero di quadrati da 5 mm fra due picchi R adiacenti.
Calcolare una frequenza cardiaca irregolare
Quanto appena detto vale quando il ritmo cardiaco è normale, invece in caso di ritmo irregolare, cioè se notate che i picchi dell’onda R non si presentano a cadenza regolare e sono distanziati da un numero variabile di quadretti, dovete contare il numero di picchi presenti in sei secondi e moltiplicare il risultato per 10. Questo calcolo fornisce una stima della frequenza cardiaca; ad esempio, se in un intervallo di tracciato pari a 6 secondi potete vedere 7 onde R, si può stimare che il cuore batta al ritmo di 70 pulsazioni al minuto (7 x 10 = 70). In alternativa, puoi contare il numero di complessi QRS presenti su un tracciato lungo 10 secondi; moltiplica tale valore per 6 per trovare il numero di battiti al minuto.
Bradicardie e tachicardie
Una frequenza normale negli adulti a riposo va da 60 a 100 bpm. Le frequenze superiori si definiscono tachicardie, quelle inferiori bradicardie; entrambe possono essere sia fisiologiche (una tachicardia fisiologica si verifica quando ad esempio facciamo attività fisica, mentre una bradicardia fisiologica è tipica di sportivi professionisti) che patologiche. Per approfondire, leggi:
- Aritmia cardiaca: cause e fattori di rischio, sintomi, diagnosi e cura
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Analisi del ritmo: regolare e sinusale?
Una prima valutazione consiste nello stabilire se gli intervalli fra le onde R sono sempre uguali, o non differiscono tra loro per più di 2 quadratini. In questo caso possiamo dire che il ritmo è regolare. La seconda valutazione è relativa alla presenza e alla morfologia dell’onda P: se questa si trova prima del complesso QRS ed è positiva in DII e negativa in aVR, allora possiamo definire il ritmo come sinusale, cioè l’impulso elettrico origina dal nodo seno-atriale (condizione di normalità). La presenza di un’onda P negativa in DII, deve far pensare come prima cosa, ad una possibile inversione degli elettrodi periferici, secondariamente ad un’origine dell’impulso diverso dal normale (extrasistolia e/o tachicardia atriale -TA-). A volte l’onda P non si trova prima del complesso QRS, ma dopo di esso: in questo caso è legato alla retro-conduzione dell’impulso, che si verifica in molte aritmie sia sopraventricolari (TPSV) che ventricolari (TV). La presenza di un ritmo irregolare associato all’assenza di una chiara onda P, deve far pensare all’aritmia di più frequente riscontro nella pratica quotidiana: la fibrillazione atriale (FA). Questa si definisce come attività elettrica caotica degli atri, che determina una inefficace contrazione delle pareti ed una conseguente alta probabilità di formazione di coaguli all’interno degli stessi. Un’altra aritmia di frequente riscontro, caratterizzata da ritmo talora anche regolare e da tipiche onde con aspetto a dente di sega (onde F) è il Flutter Atriale (FLA). È causato ad un corto circuito elettrico (aritmia da rientro) che interessa l’atrio. Si differenzia dalla FA per una maggiore regolarità del ciclo ventricolare.
Morfologia del QRS
Normalmente deve essere positivo in DI, l’ampiezza dell’onda R deve aumentare da V1 a V6 mentre l’onda S deve ridursi, durata inferiore a 100-120 ms (2,5-3 quadratini), l’onda Q deve avere durata inferiore a 0,04 sec (1 quadratino) e l’ampiezza deve essere inferiore ad ¼ dell’onda R successiva (non si considerano le onde Q in DIII e in aVR). Sulla base della durata del complesso, si definiscono le tachicardie o bradicardie a QRS largo o stretto.
- Quando è stretto (durata inferiore a 100 ms) indica una normale conduzione ventricolare.
- Se è di durata superiore a 120 ms, si definisce largo e indica un rallentamento della conduzione, che può essere di una specifica porzione del sistema di conduzione (come nel caso dei blocchi di branca), oppure un’origine sotto-Hissiana del ritmo cardiaco (giunzionale o ventricolare).
La presenza di una tachicardia a QRS largo con ampiezza e morfologia variabile da un complesso all’altro, è tipica della fibrillazione ventricolare (FV). Questa è l’aritmia che più frequentemente, associata alla TV, è causa di arresto cardio-circolatorio; è determinata da un’attività elettrica disorganizzata dei ventricoli, con conseguente arresto dell’attività meccanica. Se subito prima di un QRS largo troviamo una rapida deflessione caratterizzata da una linea verticale (spike), ci troviamo di fronte ad una stimolazione da pacemaker.
Morfologia dell’onda T
Quando presenta la stessa polarità del QRS nelle derivazioni periferiche ed è positiva nelle derivazioni precordiali (o negativa da V1 a V3 nelle giovani donne), indica una normale ripolarizzazione ventricolare. In caso contrario è indice di ischemia o sofferenza miocardica, ipertrofia ventricolare, cardiopatie).
Intervallo PR, relazione tra onde P e complessi QRS
L’intervallo PR esprime la conduzione dell’impulso attraverso il nodo atrio-ventricolare, il fascio di His, le branche destra e sinistra. Deve avere una durata compresa fra 120 ms e 200 ms (da 3 a 5 quadratini).
- Quando è più corto può essere una variante normale (che si presenta ad esempio nelle donne in gravidanza) o identificare la presenza di una via accessoria atrio-ventricolare (pre-eccitazione ventricolare, WPW).
- Se è lungo, è indicativo di un rallentamento della conduzione ai ventricoli (blocchi atrioventricolari o BAV).
In condizioni normali il rapporto P:QRS è 1:1, cioè ad ogni onda P, dopo un intervallo PR costante, corrisponde un complesso QRS ed ogni complesso QRS deve essere preceduto da un’onda P.
Quando invece si trova un rapporto tra P e QRS di 1:2 o 1:molti, e un intervallo PR che ha una durata in progressivo aumento, siamo di fronte a Blocchi Atrio-Ventricolari (BAV):
- blocco atrioventricolare di 1°grado: PR allungato
- blocchi atrioventricolari di 2° grado tipo I: allungamento progressivo dell’intervallo PR fino alla mancata conduzione in ventricolo (P bloccata cioè non seguita dal QRS)
- blocchi atrioventricolari di 2° grado tipo II: l’intervallo PR è normale ma la conduzione è di tipo 1:2, 1:3, 1:4, ecc.
- blocchi atrioventricolari di 3° grado o blocco completo: dissociazione atrio-ventricolare, senza relazione costante fra onde P e complessi QRS.
Nel BAV di 3° grado il numero di onde P è generalmente maggiore rispetto a quello dei QRS (stretti). Nel caso delle tachicardie ventricolari, invece, il numero di complessi QRS (larghi) è generalmente maggiore di quello delle onde P.
Intervallo QT
Esprime il tempo totale di depolarizzazione e ripolarizzazione ventricolare e varia con la frequenza cardiaca; pertanto è espresso più correttamente come QTc, cioè corretto per la frequenza cardiaca. Il valore normale varia da 350 a 440 ms. È patologico sia quando è più corto (sindrome QT corto) che quando è più lungo (sindrome QT lungo) ed in entrambi i casi si associa ad una maggiore probabilità di sviluppare aritmie ventricolari.
Tratto ST
Esprime il termine della depolarizzazione ventricolare; si può trovare fuso con l’onda T da V1 a V3 e, rispetto all’isoelettrica, non deve essere né sopra né sotto di più di 1 mm in tutte le derivazioni ad eccezione di V1 e V2, nelle quali, comunque, deve rimanere inferiore ai 2 mm. Quando è presente un sopralivellamento superiore alla norma, si parla di lesione miocardica ovvero di un quadro compatibile con infarto miocardico acuto (IMA). La sede del sopralivellamento permette la localizzazione dell’infarto e della coronaria interessata dall’ostruzione:
- un sopralivellamento del tratto ST in DII, DIII ed aVF (con sottolivellamento speculare in DI e aVL) è indicativo di infarto miocardico inferiore da occlusione della coronaria destra;
- un sopralivellamento del tratto ST in DI, V2-V4 (con sottolivellamento speculare in DII, DIII ed aVF) è indicativo di infarto miocardico anteriore da occlusione del ramo interventricolare anteriore.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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