Con dismorfofobia in psichiatria si descrive è la fobia che nasce da una visione distorta che si ha del proprio aspetto esteriore, causata da un’eccessiva preoccupazione della propria immagine corporea. Nell’ICD-10 la dismorfofobia è inclusa nel sottogruppo dei disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo (parte dei disturbi d’ansia), ed è denominata disturbo di dismorfismo corporeo.
Conseguenze
In taluni soggetti, questa forma fobica, può causare uno stress emozionale e incapacità di tessere adeguate ed equilibrate relazioni sociali e sessuali, con conseguente isolamento sociale che può condurre al Disturbo evitante di personalità e distonie inerenti alla sessualità. L’individuo può sviluppare comportamenti fobico–ossessivi, talvolta dannosi per la propria salute poiché possono evolvere in anoressia nervosa e bulimia, semplice o nervosa. La dismorfofobia si sviluppa con maggiore frequenza nei soggetti con basso livello di autostima, in genere adolescenti, sia maschi che femmine. Le preoccupazioni possono focalizzarsi sull’intero aspetto esteriore o solo su una parte delimitata del corpo. In genere, le parti maggiormente interessate sono: seno, capelli, cosce e fianchi per le donne; torace, addome, naso, pene, testicoli e capelli, per gli uomini. Il paziente può arrivare a voler ricorrere compulsivamente a trattamenti di bellezza, ormonali o chirurgia estetica, in quanto non tollera di avere nemmeno piccoli difetti e distorce la propria immagine vedendosi non adeguato.
Anamnesi
L’indagine per la rilevazione di aspetti con valenza dismorfofobica può essere eseguita attraverso un’accurata e mirata diagnosi clinica o tramite esami strumentali che esplorano l’immagine idiografica del soggetto, relativamente a questa disfunzione, quale ad esempio il reattivo MMPI . Le dismorfofobie riferite al peso corporeo possono essere esaminate utilizzando il parametro relativo all’Indice di massa corporea che consente una rapida valutazione della situazione ponderale del soggetto.
Terapia
La patologia necessita, a seconda della gravità, di una serie di consulenze psicologiche o di un intervento psicoterapico, ad esempio di tipo integrato, psicodinamico o cognitivo-comportamentale,[4] dato che può indurre idee suicide, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi borderline della personalità, narcisismo, fobia sociale, problemi coniugali e relazionali.
La terapia classica consiste in un periodo di alcuni mesi di psicoterapia, ad esempio terapia familiare e/o psicoterapia cognitivo-comportamentale, associata alla somministrazione di SSRI, farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Di norma, i pazienti rispondono alla terapia con una progressiva diminuzione della tensione e dello stress. Nella terapia, in associazione alle sessioni psicoterapeutiche, può essere utilizzata la clomipramina al fine di migliorare il tono dell’umore. La terapia della dismorfofobia va valutata in relazione alla personalità del soggetto e in base alla sua situazione familiare e sociale, per cui può essere utile una psicoterapia ad orientamento psicodinamico, sistemico o appartenente ad altri paradigmi. Analoghe considerazioni valgono per l’utilizzo degli psicofarmaci. Particolare attenzione deve essere posta nella comprensione del “valore del sintomo” che, talvolta, può rappresentare un vantaggio secondario o una forma di difesa estrema dalla disorganizzazione psicotica. In tal caso non deve essere oggetto di terapia la sola dismorfofobia ma, piuttosto, si tratta di operare scelte terapeutiche che consentano alla persona di acquisire un migliore equilibrio interiore.
Forme più gravi: la volontà di amputarsi
Forme gravi di dismorfofobia, con sintomi psicotici, possono sfociare o rappresentare sintomi di schizofrenia, di disturbo delirante o di disturbi dell’identità, con risvolti neuronali, come il disturbo dell’identità di genere, il disturbo dissociativo o il disturbo dell’identità dell’integrità corporea o dismorfia corporale, associato spesso all’apotemnofilia (parafilia – ossia attrazione sessuale – per le auto-amputazioni), in cui il soggetto odia patologicamente la parte di sé che ritiene imperfetta ed estranea, arrivando a nascondere o perfino a mutilarsi gli arti o le parti corporee che detesta, pur di avere l’aspetto in cui si riconosce, ad esempio quello di un disabile amputato, Per approfondire leggi anche: Disturbo dell’identità dell’integrità corporea: voler essere disabili
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