Disturbo dell’identità dell’integrità corporea: voler essere disabili

MEDICINA ONLINE FISIOTERAPIA RIABILITAZIONE DISABILE SEDIA ROTELLE CERVELLO CRANIO EMORRAGIA CEREBRALE ISCHEMIA EMORRAGICA ICTUS PARAPLEGIA EMATOMA EMIPARESI EMIPLEGIA TETRAPARESI TETRAPLEGIA DECUBITO RECUPERO PARALISIL’abisso dei sentimenti umani è spesso imperscrutabile e dai risvolti sorprendenti. Lo sa bene lo psicologo che ha provveduto a versare del detersivo negli occhi di Jewel Shuping, una donna statunitense di 30 anni. Quello dello psicologo non è stato un atto criminale – almeno non nel senso comune che diamo al termine – ma la decisione di realizzare il desiderio che la sua paziente covava fin da quando era bambina, ovvero diventare cieca. La donna ha aspettato qualche ora prima di recarsi in ospedale per essere sicura di subire danni permanenti agli occhi. La ragazza ha perso la vista nel giro dei 6 mesi successivi.”Sento che questo è il modo in cui avrei dovuto nascere”, ha spiegato la donna, che oggi ha 30 anni.

Disturbo dell’identità dell’integrità corporea (BIID)

Il disturbo di cui soffre Jewel si chiama BIID, acronimo che sta per Body Integrity Identity Disorder (in italiano “disturbo dell’identità dell’integrità corporea“). Può essere anche denominato BID, acronimo di “Body Integrity Dysphoria“, in italiano “disforia dell’identità corporea”. Nel BIID, il corpo ideale e desiderato del paziente, è un corpo che ha una disabilità, come per esempio quella di non possedere un arto o di non poter vedere. Nel BIID il paziente, ad esempio, sente come estranea al suo corpo una gamba, e desideri l’amputazione di essa per sentirsi completi. L’incongruenza tra il corpo reale e quello desiderato, unita all’impossibilità di raggiungere tale completezza, genera una forte ansia nel paziente, capace di interferire con la sua vita sociale, relazionale e professionale. Tale incongruenza è una condizione psicologica assimilabile a quello che una volta veniva chiamato disordine dell’identità di genere (più correttamente oggi denominato “disforia di genere” o “incongruenza di genere”), nella quale il soggetto ha la sensazione di vivere all’interno di un corpo che non corrisponde a quello corrispondente alla propria identità sessuale. Il BIID raggruppa una gran quantità di diverse tipologie di pazienti. Racconta Jewel Shuping: “Quando avevo 3 o 4 anni mia madre mi trovava di notte che camminavo nei corridoi bui della casa”. Nel corso dell’adolescenza la ragazza ha voluto imparare l’alfabeto per i non vedenti e poi ha cominciato a fingere di essere cieca utilizzando anche un bastone e degli occhiali neri. Dopo una lunga e infruttuosa terapia, lo psicologo che l’aveva in cura ha deciso che era venuto il tempo di soddisfare il desiderio della sua paziente”.

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Xenomelia

Un episodio simile è quello che ha per protagonista Chloe Jennings-White, una donna americana di 58 anni che vive costantemente nel desiderio di diventare disabile. In questo caso, il corpo desiderato dal paziente corrisponde a un corpo amputato di un arto: si parla in questo caso di “sindrome dell’arto straniero” o “xenomelia“. I soggetti come Chloe desiderano l’amputazione di una gamba o di un braccio per raggiungere quella completezza di cui avvertono la mancanza. “Qualcosa nel mio cervello mi dice che le mie gambe non sono tenute a lavorare”, spiega Chloe. “È stato un enorme sollievo scoprire di non essere un mostro, ci sono centinaia di altre persone come me”.
Lo stesso concetto espresso da Kevin Wright, un paziente inglese che è riuscito a farsi operare dal chirurgo Robert Smith, che gli ha praticato l’amputazione della tanto odiata gamba sinistra: “non la volevo. Non faceva parte di me. Non capivo il perché, ma sapevo di dovermene sbarazzare”, ha dichiarato l’uomo operato nel 1997. Di solito questa sensazione di estraneità con il proprio corpo si presenta in epoca infantile, spesso associata alla vista di persone disabili, la cui immagine viene in qualche modo “processata” dal cervello del bambino ancora in formazione come quella ideale e da perseguire. È ciò che è successo anche nel caso di Chloe, che all’età di 4 anni andò a trovare la zia reduce da un incidente stradale e costretta all’uso delle stampelle per la convalescenza. Di solito i soggetti con xenomelia, in attesa di trovare un sistema per disfarsi dell’arto in più, vivono la propria vita nascondendo quello che sentono come una parte del corpo straniera: ad esempio legano il polpaccio alla parte dell’arto inferiore al di sopra del ginocchio, in modo da apparire all’esterno come se fossero amputati ed a volte usano stampelle e sedia a rotelle per muoversi. Per coronare il proprio sogni, alcuni, più determinati, trovano un sistema legale o – più spesso – illegale, tramite medici compiacenti, per ottenere l’amputazione dell’arto. Alcuni soggetti si procurano volontariamente lesioni (ad esempio tramite incidente stradale o armi), per poi costringere il medico del pronto soccorso a praticare una amputazione.

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Apotemnofilia: il desiderio erotico dell’amputazione

La diffusione di questo disturbo non è chiara, anche se è probabile che sia più comune di quanto si pensi. È possibile infatti che il desiderio di disabilità si nasconda a volte in casi di amputazioni accidentali degli arti avvenute in circostanze poco chiare. A volte il disturbo devia su basi di natura erotica. Il termine apotemnofilia definisce infatti una parafilia caratterizzata dal desiderio erotico e sessuale di avere uno o più arti amputati o di apparire come se così fosse.

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Le cause del BIID

Per quanto riguarda le cause, oltre all’ipotesi dell’imprinting infantile prima citata, vi è anche la possibilità che la condizione derivi da fattori neuropsicologici, con problemi a carico della corteccia cerebrale collegata agli arti. Il famoso neurologo indiano Vilayanur S. Ramachandran ha proposto un collegamento fra BIID e somatoparafrenia, una condizione che si verifica a seguito di un ictus nel lobo parietale destro e che causa la negazione da parte del paziente di un arto sul lato sinistro del corpo, nella maggior parte dei casi un braccio. Dal momento che la condizione è associata a un danno del lobo parietale, il dott. Ramachandran ipotizza il coinvolgimento di questa area del cervello nella messa a punto corretta della propria immagine corporea. Secondo il medico indiano, il fatto che la condizione appaia in epoca infantile è coerente con un problema di ordine genetico che causerebbe un disturbo funzionale della corteccia parietale.
Questa disfunzione sarebbe alla base della mancata formazione di un’immagine corporea completa, motivo per cui i pazienti avvertono la presenza della gamba, ma allo stesso tempo la sentono estranea, qualcosa che non dovrebbe trovarsi lì.
La teoria appare affascinante, anche se altri esperti hanno proposto delle obiezioni. Innanzitutto, in caso di disfunzione cerebrale, è altamente improbabile che l’unico sintomo reale sia quello di estraneità del proprio arto: ce ne dovrebbero essere degli altri, infatti, primo fra tutti la difficoltà reale ad utilizzare la gamba.
Inoltre, la teoria non spiega ad esempio il caso di Chloe, che non desidera l’amputazione, ma una condizione di paraplegia, chiedendo per questo la recisione del midollo spinale, o quelli di altri soggetti che vogliono diventare ciechi o sordi. E’ importante ricordare che i pazienti “raggruppati” in questo articolo, in realtà possono anche essere molto diversi tra loro: come avete intuito non tutti “vogliono diventare disabili”, ma alcuni vogliono semplicemente eliminare qualcosa che non sentono facente parte del proprio corpo.

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Terapia difficile

Sta di fatto che questi pazienti vivono in una condizione di grande difficoltà, spesso si approcciano alla psicoterapia, ma senza successo. Molti di loro sono talmente desiderosi di acquisire lo status di disabile da cercare – come prima anticipato – di procurarsi da soli quei danni necessari al raggiungimento dello scopo. Qualche anno fa, David Openshaw, un uomo australiano, dopo aver incassato più volte il rifiuto dei medici di praticargli un’amputazione della gamba sinistra, ha deciso di immergere l’arto nel ghiaccio per alcune ore, determinando una necrosi del tessuto che ha poi costretto i sanitari ad effettuare l’operazione di amputazione per via dei danni ormai irreparabili prodotti dal suo gesto. L’estremo dolore a cui si è sottoposto l’uomo pur di raggiungere il suo scopo può dare un’idea della reale dimensione del disagio avvertito da chi vive questa strana condizione. Le “autoamputazioni” sono estremamente pericolose: il paziente può andare incontro a pericolose infezioni locali e sistemiche o, nel peggiore dei casi, ad emorragie spesso fatali. La terapia dovrà necessariamente coinvolgere varie figure tra cui psichiatra, neurologo e psicoterapeuta.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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