Esaminare il polmone con le prove di funzionalità respiratoria

MEDICINA ONLINE POLMONI LUNGS APPARATO RESPIRATORIO SISTEMA DIFFERENZA TRACHEA VIE AEREE SUPERIORI INFERIORI TRACHEA BRONCHI BRONCHILI TERMINALI ALVEOLI POLMONARI RAMIFICAZIONI LOBI ANATOMIA FUNZIONILe “prove di funzionalità polmonare”, più correttamente chiamate “prove di funzionalità respiratoria” (PFR), sono un gruppo di indagini strumentali che permettono di valutare la funzione dell’apparato respiratorio nelle sue multiple e complesse componenti, sia in pazienti sani (ad esempio atleti o soggetti a rischio di sviluppare patologie respiratorie), che in pazienti malati allo scopo di valutare il tipo di patologia, la sua progressione e la sua eventuale risposta ad una terapia. I valori ottenuti possono essere facilmente comparati con precedenti test, ottenendo una buona approssimazione dell’andamento della funzionalità respiratoria nel tempo.

Campi medici dove le PFR sono molto usate sono:

  • pneumologia;
  • medicina dello sport (prova da sforzo);
  • medicina del lavoro;
  • medicina di base;
  • allergologia.

I motivi che hanno determinato una grandissima diffusione di questo gruppo di test sono:

  • il loro costo ridotto, sia per il privato che la esegue, sia per il SSN;
  • il costo ridotto della strumentazione necessaria;
  • la loro non invasività;
  • la loro elevata capacità di esaminare i differenti settori anatomici dell’apparato respiratorio;
  • la velocità di ottenimento dei risultati;
  • la capacità di mettere i risultati a paragone con risultati precedenti;
  • il miglioramento della tecnologia che ha permesso l’analisi dei dati in brevissimo tempo e con elevata precisione.

Per tutti questi motivi, le prove di funzionalità respiratoria sono state oggetto delle prime linee guida a livello internazionale della medicina moderna, già 50 anni fa.

Spirometria

La spirometria è uno dei test più semplici, economici ed importanti per la valutazione della funzionalità respiratoria. Essa si basa sulla misura del flusso aereo durante manovre espiratorie ed inspiratorie forzate massimali. La prima manovra viene eseguita dopo un inspirio profondo massimale a capacità polmonare totale (CPT) e successiva epirazione forzata a volume residuo (VR). In questa fase il flusso espiratorio raggiunge un valore massimale che poi decade gradualmente con la riduzione del volume polmonare. Oltre un certo sforzo espiratorio, il suo valore è funzione del calibro delle vie aeree al punto del loro strozzamento durante la manovra, della collassabilità della parete bronchiale a valle di tale segmento e della dissipazione pressoria a monte dipendente da densità e viscosità del gas. Per questi motivi, il test viene utilizzato in medicina respiratoria per esplorare le caratteristiche delle vie aeree e del parenchima polmonare. Al contrario, la manovra inspiratoria forzata viene iniziata dopo una completa espirazione a VR e termina a CPT. In questa fase il flusso dipende dalla forza dei muscoli inspiratori e dalle dimensioni delle vie aeree centrali. Per tale motivo, il test è utilizzato nello studio delle patologie dei muscoli inspiratori e/o ostruzione delle aeree centrali.

Parametri della spirometria

La valutazione funzionale si fonda su alcuni parametri specifici della spirometria. Per la fase espiratoria essi sono:

  • il volume espulso nel 1º secondo dell’espirazione (VEMS);
  • la capacità vitale (CV);
  • il flusso espiratorio al 50% della CV (FEF50).

Per la fase inspiratoria il più utilizzato è il flusso inspiratorio al 50% della CV (FIF50).

Questi dati permettono una valutazione del quadro funzionale. Per esempio:

  • una riduzione di VEMS maggiore della CV (VEMS/CV*100) è indice di ostruzione, di collasso delle vie aeree, di perdita di pressione elastica polmonare o di esagerato sviluppo del parenchima polmonare rispetto a quello delle vie aeree in gioventù (asincrono sviluppo del polmone).
  • Una riduzione del VEMS e CV di simile entità indica la presenza di un difetto ventilatorio senza però poterne specificare con certezza la natura restrittiva o ostruttiva.
  • Il FIF50 è generalmente ridotto nei casi di ostruzione fissa o mobile delle vie aeree estratoraciche e talora anche nei casi di ostruzione intratoracica. La sua valutazione in funzione del FEF50 aiuta a discriminare le condizioni, essendo il rapporto tra i due parametri prossimo all’unità in caso di ostruzione fissa extratoracica, <1 in caso di ostruzione mobile extratoracica e >1 nell’ostruzione intratoracica.

Le PFR sono anche utilizzate per la valutazione delle risposte ai farmaci broncodilatatori e agli agenti broncocostrittori. Nel primo caso aumenti del VEMS superiori al 12% e 200 ml rispetto al valore di base documentano l’effetto del farmaco sul tono bronchiale. Il loro significato clinico è controverso: mentre alcune linee guida suggeriscono che risposte positive sono indicative di asma bronchiale, altre sono più prudenti ed accettano valori ben superiori (almeno 400 ml) a supporto di tale diagnosi. Risposte negative sono più frequentemente osservate nella broncopneumopatia ostruttiva cronica (BPCO), anche se non sono specifiche di tale condizione. Studi condotti a metà degli anni ‘80 non sono riusciti ad identificare una soglia di tale test capace di differenziare l’asma dalla BPCO. Il test alla metacolina e il test da sforzo utilizzano il VEMS come parametro principe per l’analisi della risposta broncocostrittrice. Il loro uso in clinica pratica ha un valore molto importante nella diagnosi o esclusione di asma bronchiale. Altra indicazione per l’uso della spirometria è il sospetto di paralisi del diaframma. In questo caso, una riduzione della CV > 15-20% nella posizione supina rispetto a quella eretta è fortemente suggestivo di tale disturbo.

Per approfondire, leggi anche: Spirometria diretta ed indiretta: come si esegue ed a cosa serve

Volumi polmonari

Tre sono i volumi polmonari fondamentali per la respirazione. Il primo è la capacità funzionale residua (CFR), volume dal quale avviene la respirazione normale a riposo e dove avvengono gli scambi gassosi. Il secondo è la CPT, volume che identifica la massima espansione della gabbia toracica. Il terzo è il VR che identifica il volume del polmone al quale nel soggetto adulto si manifesta la completa o quasi completa chiusura delle vie aeree. Ognuno di questi tre volumi è regolato da meccanismi differenti e la loro compromissione è espressione del tipo, gravità ed evoluzione della malattia. Per esempio, nel caso di malattie ostruttive la CPT tende a non essere alterata o semmai ad aumentare, mentre entrambi la CFR ed il VR aumentano gradualmente, il secondo maggiormente del primo. Al contrario, nelle malattie restrittive, tutti i volumi tendono variamente ad accomodarsi a valori minori dell’atteso. L’implicazione clinica della misura dei volumi polmonari è fondamentale per la diagnosi della malattia polmonare. Numerosi sono i metodi per la misura dei volumi polmonari nella pratica clinica. Il pletismografo corporeo è il test più utilizzato sia per la semplicità di esecuzione, la sua accettabilità da parte del paziente e la capacità di misurare tutto il gas all’interno del torace. Specifiche informazioni sono presentate nella bibliografia.

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Massima Ventilazione Volontaria (MVV)

Il test viene eseguito chiedendo al paziente di respirare con il massimo sforzo respiratorio ad una frequenza di circa 90-110 atti respiratori/min e per una durata di 12 s. Una riduzione dell’MVV rispetto ai valori attesi suggerisce la presenza di malattia neuromuscolare o di ostruzione delle vie aeree centrali.

Diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio (DLCO)

Il test permette di esaminare i disturbi delle malattie respiratorie prevalentemente localizzati nella parte più periferica del polmone. Il test prevede l’uso del CO invece dell’ossigeno (O2) perché a differenza di quest’ultimo, il CO è assente nel sangue refluo all’alveolo, permettendo così di stimare il gradiente alveolo-arterioso semplicemente in base alla tensione del CO nel gas alveolare. La DLCO viene calcolata dal rapporto tra l’assorbimento del CO durante un inspirio di 10 s a CPT e la sua tensione alveolare. In clinica pratica, una riduzione della DLCO rispetto ai valori attesi è frequentemente e variabilmente riscontrata nelle malattie restrittive polmonari (malattie dell’interstizio, edema polmonare, enfisema polmonare, esiti di resezione polmonare, malattie della pleura e della gabbia toracica, malattie neuromuscolari) e malattie vascolari polmonari (tromboembolia polmonare, ipertensione arteriosa polmonare, anemia). L’aumento della DLCO è di minor interesse clinico e può essere osservato in casi di iperafflusso di sangue nel polmone (shunt sinistro-destro, policitemia) o di emorragia polmonare, e talora asma bronchiale grave ed obesità.

Pletismografia corporea e l’oscillazione forzata a varie frequenze (FOT)

Lo studio della funzione ventilatoria durante respiro tidal può essere condotto misurando le resistenze delle vie aeree al flusso con differenti metodologie, le più conosciute delle quali sono la pletismografia corporea e l’oscillazione forzata a varie frequenze (FOT). Il primo è un test non sempre facile da eseguire ed interpretare in clinica pratica per diversi motivi. Dal punto di vista tecnico, per esempio, il test richiede che le differenze in temperatura e umidità tra gas inspirato ed espirato siano corrette matematicamente o almeno ridotte con l’aumento della frequenza respiratoria a valori superiori ai 2 Hz, cosa non sempre facile da ottenere da parte del paziente. Inoltre, i valori di resistenze necessitano di correzione per il volume polmonare di fine espirazione se questo aumenta nella fase di registrazione. Infine, si ricorda che a causa del minor contributo delle vie aeree periferiche alle resistenze al flusso rispetto alle vie aeree centrali, il test perde sensibilità nella valutazione clinica delle malattie polmonari ostruttive dove la patologia è prevalentemente localizzata nella parte più distale del polmone. Al contrario, la FOT permette di esaminare la funzione ventilatoria durante respiro tranquillo offrendo informazioni cruciali sulle caratteristiche meccaniche delle vie aeree centrali e periferiche (resistenza al flusso), sulla anomalie distributive delle ventilazione e sulle proprietà capacitative del sistema respiratorio (reattanza), queste ultime essendo funzione dell’elastanza del sistema toraco-polmonare, delle proprietà elastiche delle pareti delle vie aeree, del gas respirato ed infine della ventilazione. Altri campi più recenti di applicazioni della FOT sono lo studio della funzione respiratoria nelle sue dimensioni volumetrica e temporale a riposo e durante costrizione del muscolo liscio bronchiale, la misura della compressione dinamica delle vie aeree durante l’espirio tidal, ed il controllo della ventilazione meccanica non invasiva e dell’apnea notturna. Per tutti questi motivi, la FOT sta assumendo un ruolo fondamentale in supporto ai classici test spirometrici nello studio delle malattie respiratorie.

Forza esercitata dai muscoli respiratori

La misura della forza esercitata dai muscoli respiratori è un test capace di identificare la fatica dei muscoli respiratori che si manifesta in corso di malattie neuromuscolari, malattie respiratorie di grado avanzato, malattie cardiache e malattie metaboliche. Tale indagine trova ampio riscontro clinico in particolare nelle fasi iniziali di tali patologie a causa dell’alineare relazione tra pressione esercitata dai muscoli inspiratori e volume del polmone a favore della prima. Al contrario, con l’aggravamento della malattia, la forza dei muscoli inspiratori si riduce meno velocemente rispetto alla riduzione del volume polmonare, motivo per il quale il test perde parte della sua sensibilità in questa fase. Il test richiede notevole impegno da parte del paziente e molta esperienza da parte dell’operatore.

Emogasanalisi, pulsossimetro, ossiemia e capnia

La misura dell’ossiemia e capnia del paziente è parte integrale della valutazione clinica delle malattie cardio-respiratorie in particolare nella loro fase più avanzata. Prima di procedere al prelievo di sangue arterioso per emogasanalisi (EGA), è consigliabile la misura della saturazione dell’O2 con un pulsossimetro (anche chiamato “saturimetro”). Esso misura la quota di luce assorbita e riflessa dall’emoglobina attiva del sangue circolante nel dito di una mano, e da questo stima la saturazione arteriosa in O2 dell’emoglobina (SaO2). Valori di SaO2 <92% suggeriscono l’esecuzione dell’EGA per la misura diretta delle pressioni di O2 e anidride carbonica (CO2) nel sangue arterioso. Data la relazione sigmoidale tra pressione arteriosa di O2 (paO2) e SaO2, per una iniziale caduta della paO2 le variazioni di SaO2 sono proporzionalmente minori, mentre è vero l’opposto per gradi di insufficienza respiratoria più avanzata. Con il termine di insufficienza respiratoria parziale si definisce la condizione caratterizzata da una riduzione della paO2 al di sotto dei limiti inferiori della norma, questi ultimi essendo funzione della pressione barometrica, dell’età del soggetto ed in misura minore del sesso. Il valore di 60 mmHg è una soglia standard accettata in clinica pratica non già per la definizione dell’insufficienza respiratoria ma perché al di sotto di essa si attuano trattamenti medici più o meno aggressivi per la correzione del difetto ossiemico. Con il termine di insufficienza respiratoria globale si definisce invece il quadro dove la riduzione della paO2 si associa ad un aumento della paCO2 al di sopra di un valore di 50 mmHg.

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