Per comprendere bene l’argomento, è necessario prima capire cosa significa il termine “immunizzazione”. Con “immunizzazione” si intende la resistenza dell’organismo, congenita o acquisita, all’azione di determinati germi patogeni o tossine. L’immunizzazione acquisita rappresenta l’insieme delle risposte di tipo specifico (umorali e cellulo-mediate) attivate dal sistema immunitario verso i microrganismi patogeni e comprende la produzione di anticorpi specifici (chiamati anche “immunoglobuline”: i termini anticorpo ed immunoglobulina sono quindi sinonimi).
L’immunizzazione può essere acquisita in vari modi:
- naturale e attivo: si raggiunge poiché il sistema immunitario conserva il ricordo di malattie già avute (antigeni già incontrati in passato);
- naturale ma passivo: si raggiunge grazie ad anticorpi preformati ottenuti da altro organismo, nel caso dell’uomo tipicamente di origine materna, detta anche immunità acquisita naturale passiva o immunità del neonato, che è temporanea ed è necessaria per permettere al neonato di sviluppare una propria immunità;
- artificiale e attivo: si raggiunge mediante la somministrazione di vaccini che contengono parti di virus o virus morti o vivi attenuati, i quali stimolano l’organismo a produrre anticorpi specifici che – in caso di successiva futura infezione – entreranno subito in azione. Nel caso dei vaccini a RNA recentemente introdotti contro il Covid-19, non si somministrano né parti di virus, né virus morti o attenuati, bensì si introduce nelle cellule di chi si vaccina solo l’informazione genetica che serve alla cellula per costruire autonomamente delle copie di una parte del virus Covid-19 (la proteina “spike”). La proteina spike stimolerà poi la produzione degli anticorpi specifici;
- artificiale ma passivo: si raggiunge mediante la somministrazione di sieri contenenti anticorpi (immunoglobuline) già formati e subito attivi.
Vaccino (immunizzazione artificiale attiva)
La protezione artificiale attiva, ottenibile mediante la somministrazione di un vaccino, permette al corpo di sviluppare gli anticorpi quando la malattia ancora non si è presentata, inoltre ha il vantaggio di determinare un’immunizzazione molto duratura in quanto il sistema immunitario “ricorderà” per sempre (o comunque per lunghi periodi) l’incontro col patogeno e, nel caso lo dovesse rincontrare, avrà già gli anticorpi specifici a disposizione.
Immunoglobuline nel siero (immunizzazione artificiale attiva)
La protezione artificiale passiva viene ottenuta somministrando anticorpi costituiti da sieri eterologhi o da anticorpi umani provenienti da soggetti iperimmunizzati. Facciamo chiarezza. Se prendiamo il nostro sangue e lo centrifughiamo, otteniamo una parte corpuscolata (quella che contiene ad esempio i globuli rossi) ed una parte liquida detta “plasma”. Se dal plasma eliminiamo i fattori di coagulazione (come il fibrinogeno) otteniamo il “siero”. Il siero di un soggetto malato (o di un animale, come un cavallo) di una data malattia, presenta già gli anticorpi contro quella data malattia e, se prelevato, può essere usato a scopi terapeutici (raramente di profilassi): inoculato aiuta l’organismo di chi lo riceve a contrastare la malattia già in atto visto che già contiene gli anticorpi per quella malattia, prodotti da chi lo dona. La differenza con i vaccini è enorme: mentre il vaccino viene somministrato a soggetti sani e “spiega” all’organismo come produrre anticorpi specifici qualora questi infettassero l’organismo, al contrario il siero viene somministrato a soggetti già malati per aiutarli a contrastare rapidamente, attraverso anticorpi esterni già formati, la malattia in atto. E’ importante sottolineare il fatto che mentre il vaccino induce memoria immunologia contro eventuali successivi incontri con lo stesso patogeno, il siero invece non induce una memoria immunologica e non protegge quindi dalle successive esposizioni allo stesso microrganismo.
La protezione indotta dal siero è intensa ma di breve durata. La si preferisce nei casi in cui una malattia viene causata da una tossina (come il tetano o il morso di serpenti) e serve una protezione rapida, senza dover aspettare che l’organismo colpito sviluppi l’immunità (cosa che avviene col vaccino).
Semplificando il concetto
Per spiegarla in modo semplice: il vaccino inizia l’addestramento di un “esercito” di anticorpi che in futuro e per sempre (o comunque per lunghi periodi) difenderà l’organismo dal patogeno specifico, mentre il siero fornisce un esercito di anticorpi “già addestrato” che difenderà l’organismo dal patogeno solo in questo momento e non per sempre. Se la “guerra” (cioè la malattia) è già presente, il siero è più efficace perché immediatamente attivo, mentre il vaccino è preferibile quando la “guerra” non è ancora iniziata (la malattia non si è ancora verificata) e c’è tutto il tempo per preparare l’esercito.
Usare i termini “vaccino” e “siero” come sinonimi, come ad esempio avvenuto durante la pandemia da Covid-19, è un errore scientifico davvero grossolano. Il vaccino a mRNA usato contro il virus Covid è appunto un vaccino e non un siero.
Antidoto
Viene definito “antidoto” qualsiasi sostanza capace di contrastare una forma di avvelenamento. A volte capita che l’antidoto per una particolare tossina sia scoperto iniettando la tossina stessa in un animale, in piccole dosi, ed estraendo i risultanti anticorpi (le antitossine) dal sangue dell’animale. Il veleno prodotto da alcuni serpenti, ragni e altri animali velenosi è spesso contrastato dall’utilizzo di sieri di origine animale o anche da anticorpi specifici, che, sebbene efficaci, non sempre sono rapidamente disponibili, col risultato che molto spesso il morso o la puntura di uno di questi animali ha effetti mortali. Come il siero ed il vaccino, l’antidoto può essere inoculato, ma molto spesso può essere assunto per via orale (ad esempio semplicemente bevuto, se l’antidoto è un liquido) o anche in alcuni casi inalato.
Alcune tossine, come il veleno ricina, non hanno antidoto quindi la presenza di una quantità sufficiente di questo veleno nel corpo umano risulta inevitabilmente fatale. Un antidoto agisce essenzialmente sfruttando tre diversi principi: antidotismo fisico, antidotismo chimico ed antidotismo fisiologico.
- L’antidotismo fisico consiste nell’assorbimento della sostanza tossica mediante l’utilizzo di carbone attivo o sostanze mucillaginose. Per sfruttare questo principio è necessario che il veleno non si sia già diffuso nel circolo sistemico ma sia ancora localizzato nello stomaco e nel primo tratto intestinale.
- L’antidotismo chimico consiste nell’utilizzare sostanze chimiche che siano in grado di precipitare o neutralizzare la sostanza tossica rendendola innocua. Esempi di antidoti chimici sono le soluzioni orali di acido acetico per contrastare l’ingestione di alcali e l’iniezione di tiosolfato per l’avvelenamento da cianuro.
- L’antidotismo fisiologico consiste invece nel somministrare sostanze che hanno proprietà farmacologiche tali da provocare effetti fisiologici che contrastano gli effetti provocati dal veleno. Ad esempio l’atropina è un antagonista muscarinico che provoca effetti parasimpaticolitici: l’intossicazione provocata da questa sostanza può essere contrastata somministrando fisostigmina, un composto ad azione parasimpaticomimetica.
Da quanto detto si intuisce che il termine “antidoto” non può essere usato come sinonimo né di siero, né di vaccino.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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