Sono 4 milioni le persone con diagnosi di diabete in Italia e circa un milione di malati non sa di soffrirne. Si tratta infatti di una patologia “subdola” – spiegano gli esperti intervenuti a Firenze al convegno ‘3 Days 2017’ – che può essere “totalmente asintomatica, e quindi trascurata, con il rischio di sviluppare complicanze come retinopatia, neuropatia, nefropatia, cardiopatia, piede diabetico, se non tempestivamente diagnosticata e trattata”.
“E’ opportuno che tutte le persone potenzialmente a rischio, in sovrappeso, con familiari con diabete, che hanno fattori di rischio cardiovascolari o a cui è stata trovata un’alterazione della glicemia, eseguano controlli regolari e che in caso di diagnosi il trattamento sia tempestivo”, sottolinea Stefano Del Prato, professore di endocrinologia dell’Università di Pisa. “Diagnosi e trattamento precoce – assicura – possono portare, come dimostrato dai dati, a una riduzione del 60% del rischio di complicanze e quindi a un miglioramento della qualità della vita dei pazienti”.
I numeri sono rilevanti. “In Italia, ogni anno – evidenzia Enzo Bonora, presidente della Fondazione Diabete Ricerca e past president della Società italiana di diabetologia (Sid) – tra i diabetici si contano 50 mila infarti, 50 mila ictus, 2 mila persone che iniziano la dialisi perché il rene non funziona più, 10 mila che subiscono un’amputazione, decine di migliaia che sviluppano problemi importanti alla vista, e 130-140 mila che muoiono a causa del diabete”. Le persone con diabete “per tanti anni non hanno disturbi – precisa lo specialista – e questo può portare a far sottostimare la potenziale severità della malattia, cioè le complicanze croniche: mediamente il ritardo della diagnosi sta tra i 5 e i 10 anni, periodo nel quale la glicemia alta fa danno d’organo, agli occhi, ai reni , al cuore, ai vasi, ai nervi”.
Ma qual è dunque l’approccio terapeutico al diabete di tipo 2? “Per controllare la glicemia, spesso la correzione dello stile di vita non è sufficiente – osserva Emanuele Bosi, professore di endocrinologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e primario dell’Unità operativa di diabetologia all’Irccs ospedale San Raffaele – Nell’ultimo decennio la ricerca ha messo a disposizione nuovi farmaci che ci stanno aiutando molto a migliorare la nostra capacità di curare il diabete”.
“Tra questi vildagliptin, farmaco inibitore della Dpp-4, migliora la secrezione di insulina e riduce la secrezione di glucagone, ma soprattutto – prosegue lo specialista – riesce a tenere sotto controllo il valore della glicemia senza comportare il rischio di ipoglicemia, senza dare incremento di peso e con effetti collaterali indesiderati molto rari. L’esperienza accumulata fino ad oggi dimostra che è un farmaco efficace, sicuro, facile da utilizzare e particolarmente indicato in alcune categorie di persone con diabete di tipo 2, come gli anziani o le persone con insufficienza renale cronica”.
“Nella maggior parte dei casi – aggiunge Bosi – il farmaco viene somministrato in associazione a metformina, perché le linee guida prevalenti prevedono l’iniziale terapia con metformina. Poi, a causa della natura progressivamente ingravescente del diabete di tipo 2, in molti casi la metformina da sola non è più sufficiente a garantire il controllo glicemico e a quel punto occorre aggiungere un’altra molecola: vildagliptin trova una giustificazione molto forte come farmaco da aggiungere alla metformina. Ma può funzionare anche come farmaco in monoterapia, o come farmaco in triplice associazione con metformina e altri farmaci orali”.
Per combattere il diabete, e adottare corretti stili di vita oltre alle terapie farmacologiche, rimane indispensabile una corretta informazione. “Esiste una mancata percezione della severità della malattia da parte delle persone diabetiche, dei loro familiari, dei medici, delle persone che decidono dove allocare le risorse in sanità”, denuncia Bonora.
Proprio per questo nei prossimi mesi partirà una campagna di comunicazione e sensibilizzazione promossa dalla Fondazione Diabete Ricerca, insieme alla Sid e alle associazioni dei pazienti, per contribuire ad aumentare la percezione del rischio dei cittadini rispetto alla patologia.
“Dobbiamo fare capire alle persone che devono fare di tutto per evitare di farsi uccidere dal diabete, e a chi destina risorse in sanità che il diabete è una priorità. E’ una sfida da affrontare tutti insieme. Solo allora – conclude Bonora – non avremo più persone che vanno in dialisi o in terapia intensiva coronarica”.
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