Prima l’isolamento, poi l’apatia, fino – nei casi più gravi – il decesso: è ciò che il dottor John Leach, della Portsmouth University (USA), definisce “morte psicogena” in un articolo sulla rivista “Medical Hypotheses“. E’ una patologia ancora poco studiata che conduce le persone che non hanno più voglia di “andare avanti” a spegnersi nell’arco di pochi giorni, alcune volte soltanto tre, e non per motivi “organici”, ma per motivi psicologici. Leach la chiama “Give-up-itis” e sottolinea che: “Non si tratta di suicidio, non si tratta di depressione, ma dell’atto di arrendersi, di rinunciare alla vita il quale sfocia nel decesso nell’arco di giorni”. Una sofferenza psicologica talmente intensa da essere fatale. Una sorta di “sindrome del cuore spezzato” all’ennesima potenza.
Cause
La morte psicogena sembra verificarsi soprattutto in seguito ad eventi traumatici che portano i soggetti a lasciarsi andare, come ad esempio fatti tragici o vissuti come tali dal soggetto tra cui:
- lutti famigliari improvvisi;
- eventi catastrofici (ad esempio essere sopravvissuti ad un terremoto in cui sono morte molte persone, tra cui amici e famigliari);
- la fine di un importante rapporto amoroso;
- la diagnosi di una malattia terminale;
- la diagnosi di una malattia fortemente invalidante (ad esempio tetraplegia);
- l’incarcerazione per lunghe pene come l’ergastolo;
- la prigionia di guerra.
Una delle cause più diffuse e conosciute di morte psicogena è la morte di un figlio o di un coniuge: succede molto frequentemente che alla morte di una persona si associ, entro pochi giorni, il decesso anche di un famigliare a cui quella persona era particolarmente legato. E’ un fenomeno diffuso in tutto il mondo ad accomuna indistintamente razze, religioni, credi politici e ceti sociali anche molto diversi. Un caso noto è quello di Debbie Reynolds, la madre dell’eroina di Star Wars Carrie Fisher che morì d’infarto in seguito alla recente morte della propria figlia. Debbie venne colpita da un ictus mentre stava preparando il funerale di sua figlia, venuta a mancare il giorno prima. Le sue ultime parole sono state: “Voglio solo stare con Carrie“.
Mente e corpo sono collegate
Da millenni chiunque si sia occupato di medicina, dai santoni della preistoria fino a medici, fisioterapisti ed infermieri, sa bene che mente e corpo sono collegate tra loro: persone che vivono la vita con ottimismo e/o sono circondate dall’amore di amici e famigliari e/o che hanno fiducia nell’intervento della divinità in cui credono, non solo hanno statisticamente più chance di guarire da una malattia, ma guariscono anche più velocemente di chi ha perso ogni speranza. La morte psicogena potrebbe quindi innescare una serie di comportamenti, reazioni chimiche, scariche ormonali ed alterazioni immunitarie che rendono la morte più probabile.
Il deterioramento che caratterizza la “morte della mente” potrebbe essere correlato soprattutto ad un malfunzionamento che si verifica nel cervello, più precisamente nella corteccia cingolata anteriore situata nella regione superiore della superficie mediale dei lobi frontali, sopra il corpo calloso.
La corteccia cingolata anteriore è dove vengono elaborati, a livello inconscio, i pericoli ed i problemi cui un individuo è soggetto nel normale decorrere delle proprie esperienze. E’ una specie di sistema di allarme silenzioso: riconosce il conflitto in essere quando la risposta del soggetto è inadeguata rispetto alla situazione. Il dolore, il senso di inadeguatezza, o “quello strano non so che” che pervade la persona non è altro che un segnale che “c’è qualcosa che non va”. La corteccia cerebrale produce questi segnali senza che l’individuo ne sia cosciente: si tratta di un meccanismo extra-razionale, una sorta di “sesto senso”. Tale zona cerebrale, semplificando, controlla il comportamento umano ed insieme al lobo frontale permette il raggiungimento degli obiettivi del soggetto. Sue alterazioni funzionali potrebbero portare la persona a pensare di non avere più alcun motivo per vivere, ciò in associazione ad un calo delle difese immunitarie, unito allo stress, all’aumentato impegno per quel che riguarda la gittata cardiaca, a picchi ipertensivi, palpitazioni, scarsa igiene, poca propensione a comportamenti preventivi e squilibri dietetici. Tutto ciò rende la morte estremamente probabile in un arco di tempo piuttosto breve.
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Sintomi e segni
Non ci sono dei sintomi specifici nelle fasi iniziali, che possono apparire relativamente normali agli amici e parenti del soggetto. Generalmente si nota una sorta di isolamento sociale della persona, seguito da apatia e perdita di una visione positiva del futuro. La persona sente di aver subito uno shock irrecuperabile, che non ha “vie di fuga” né speranze per il futuro, che la sua vita non ha più alcun senso di esistere e ritiene che la morte sia l’unica opzione che possa “sanare” la situazione. La morte sopraggiunge generalmente dopo cinque stadi sequenziali:
- isolamento sociale: il soggetto si ritira in sé stesso e diventa svogliato e indifferente alle emozioni, in una parola passivo. E’ uno stato che spesso si ritrova nei carcerati. Ci si chiude in casa, evitando accuratamente di avere rapporti sociali. E’ un meccanismo di difesa che in teoria dovrebbe portare a una stabilità emotiva, mentre invece purtroppo produce effetti contrari perché nei fatti è un modo per sottrarsi alla battaglia, che si pensa già persa;
- apatia: si tratta di una melanconia demoralizzante, molto diversa dalla semplice tristezza. E’ stata riscontrata in prigionieri di guerra e in chi è sopravvissuto ad affondamenti in nave o aerei caduti. Il soggetto non è più interessato a combattere per la propria sopravvivenza, diventa trasandato, non si veste con abiti puliti, non si lava, non tiene pulita la casa, non riesce a fare neppure il più piccolo sforzo, mangia male, non ha appetito e perde peso o al contrario si iperalimenta ed aumenta di peso. Il sistema immunitario si deprime, con il risultato che possono aumentare le malattie infettive, specie quelle cutanee (anche a causa della scarsa igiene) e quelle intestinali (a causa della dieta squilibrata);
- abulia: è una mancanza totale di motivazioni associata a una riduzione delle risposte emotive. Rende impossibile prendere decisioni e iniziativa. In questa situazione è difficile parlare e anche svolgere le piccole azioni quotidiane, compreso il mangiare. Si è persa ogni intenzione, la capacità di desiderare, di prendersi cura di se stessi. Ma si può ancora essere motivati da altri, anche se a volte sono necessari metodi forti. L’abulia è uno stato in cui la mente sembra vuota e la coscienza inesistente. Non ci sono pensieri o, se ci sono, sono negativi in modo ricorrente ed ossessivo: la mente sembra essere diventata una poltiglia di negatività e tutto appare nero e senza speranza di tornare normale;
- acinesia psichica: è una ulteriore riduzione della motivazione all’essere; la persona è ingolfata in un profondo stato di apatia al punto da diventare insensibile perfino al dolore. Nella pubblicazione dello psicologo viene descritta una donna che si è scottata gravemente al sole, solo perché non trovava una scusa per proteggersi. La persona è cosciente ma inconsapevole di quello che le accade, spesso è incontinente, ma nega la sua condizione. Leach racconta anche che alle persone detenute nei campi di concentramento nazista che erano prossime a morire, veniva chiesto se volevano fumare una sigaretta. Negli altri momenti le sigarette erano un bene prezioso, di scambio, che serviva ad avere cibo e altri beni. Ma se un prigioniero in un momento qualsiasi se ne accendeva una, significava che c’era qualcosa, che aveva perso la fiducia in ogni cosa. Di solito questa fase dura 3-4 giorni;
- morte psicogenica: corrisponde al momento in cui la voglia di vivere è completamente andata e porta alla disintegrazione. A volte, poco prima, compare un desiderio, un guizzo, e si fa qualcosa che porta piacere.
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Uscire dal tunnel
Il processo prima descritto si compie in tutte le sue fasi solo se non si interviene, ma in qualsiasi momento invertire la tendenza è possibile e la morte reale non è inevitabile. Per prima cosa è importante che l’individuo non sia lasciato solo: famigliari ed amici devono stargli vicino ed invogliarlo ad uscire, a vivere una vita degna e a trovare le giuste motivazioni. L’aiuto deve essere tempestivo: non si deve aspettare che le cose si “risolvano da sole”, minimizzando il problema. Anche una attività fisica periodica può aiutare, specie se svolta all’aperto ed in compagnia di altre persone. E’ importante che la persona possa rendersi conto della sua situazione e riprendere il controllo con strumenti che possano dargli piacere e gioia di vivere: sesso, musica, cibi preferiti, bevande, dipingere, leggere un libro, passeggiare in un parco, hobby vari, viaggiare, fare una gita con gli amici, vedere un concerto. In alcuni casi anche farmaci antidepressivi e sostanze stupefacenti lievi ad uso medico possono aumentare il rilascio di dopamina, molecola necessaria al nostro cervello per ritrovare motivazione, senso di ricompensa, buon umore e attenzione. L’aiuto di uno psicoterapeuta e di uno psichiatra possono certamente fornire un valido aiuto al paziente. Ber ritrovare il benessere mentale, potrebbe essere utile assumere un integratore alimentare di magnesio: https://amzn.to/2MYZ2Bx da solo o anche in associazione con un integratore completo come questo: https://amzn.to/3taSPZk
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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