Non è raro sentir dire, da parte di esperti e della gente comune, che il disagio degli adolescenti e dei giovani è un’invenzione, uno psicologismo di moda, una costruzione teorica. Qualcuno banalizza tutto, asserendo che di problemi gli adolescenti ne hanno sempre avuti, e non sono certo quelli di oggi a star peggio. Secondo altri i problemi sono degli adulti, e il disagio dei giovani ne sarebbe soltanto una proiezione, o un’immagine riflessa allo specchio.
Per chi ha il coraggio di mettersi davvero in ascolto rispetto agli adolescenti, immergersi nella conoscenza dei comportamenti e delle mentalità, per chi li incontra al di fuori di setting formali, è chiaro che tra i giovani del nostro tempo si manifestano difficoltà psicologiche e comportamentali nuove, con un’intensità e un’estensione che non possono lasciare gli adulti indifferenti. A queste condizioni l’assunzione di sostanze psicotrope e l’abuso di alcool corrispondono come tentativi maldestri di auto-medicazione, offrendo un quadro che, se accuratamente interpretato, consente di risalire alle difficoltà psicologiche di fondo.
La familiarità con le droghe illegali e con l’abuso di alcool, così estesa tra gli adolescenti e i giovani, non mostrava sino a qualche decennio fa l’incidenza che è rilevabile nel tempo attuale: le droghe, confinate in passato all’utilizzo rituale e religioso, a strategie sciamaniche o al supporto per l’iniziazione, hanno investito negli ultimi decenni del secolo scorso dapprima soggetti singoli e isolati, in seguito, gruppi ben connotati per l’appartenenza culturale ai margini della realtà sociale, infine grandi masse di giovani per giungere, nei primi anni del nuovo millennio, a una capillare diffusione in tutti gli ambiti della società. L’estensione del fenomeno del consumo di droghe illegali e dell’abuso di alcool, che oggi interessa i giovanissimi in proporzioni inquietanti, a partire dalla scuola media inferiore, produce la “selezione” di soggetti vulnerabili in numero crescente, individui per i quali l’esperienza del consumo si traduce in un disturbo da uso di sostanze con dipendenza e abuso, anche per quelle droghe considerate erroneamente “gateway” (porte d’ingresso) o ricreazionali e incapaci di creare dipendenza.
Secondo i dati dello studio ESPAD, una survey nazionale condotta dal CNR di Pisa, circa un terzo degli studenti della scuola superiore vengono in contatto con la cannabis, il 4-5% avrebbero incontrato gli amfetamino-derivati come l’ecstasy, oltre il 4% avrebbero utilizzato almeno una volta la cocaina (Mariani, 1999). Nel nord del paese, secondo dati ottenuti su un campione di oltre 1100 studenti, l’incidenza dell’esposizione alla cocaina sarebbe ancora più consistente (Gerra et al., in press). Inoltre, secondo segnalazioni sempre più frequenti, e considerando i dati dei sequestri attuati dalle Forze dell’Ordine, una notevole diffusione di ketamina, un anestetico dissociativo, e di sostanze analoghe come il destrometorfano, si starebbe verificando negli ultimi mesi. Anche una nuova stagione del consumo di LSD, in un setting culturale del tutto diverso da quello degli anni 60, si è verificata a partire dalla seconda metà degli anni 90. Da non dimenticare, nel panorama del consumo di sostanze tra giovani e giovanissimi gli energy drink, considerati come semplici bevande analcoliche, e che invece in diversi casi contengono veri e propri farmaci o elevatissime quote di caffeina; e ancora, utilizzati tra i giovanissimi sono gli inalanti, come la trielina e le colle, i funghi allucinogeni e le benzodiazepine, tranquillanti prescrivibili assunti in dosi da abuso.
Nuove droghe e nuova concezione della droga
Rispetto, però, alla novità delle sostanze utilizzate e della diffusione delle stesse, nuove sono le relazioni con le droghe e con l’alcool, nuove le aspettative e la collocazione nell’immaginario degli adolescenti.
Tra le grandi mistificazioni, anche sostenute dai media, che il narcotraffico riesce a imporre nella mentalità dei giovani, oggi si pensa addirittura che la cocaina non sia una droga pericolosa, che la cocaina sia una sostanza voluttuario-ricreazionale, del tutto controllabile e che non crei dipendenza: una specie di “magia” comunicativa, orchestrata alle spalle dei giovani, riesce a proporre la più tremenda delle sostanze addittive (Melichar et al., 2001) come una innocente occasione di divertimento, o, per la diciassettenne in modesto sovrappeso, come un utile presidio per facilitare il calo ponderale e accompagnare la dieta.
La diffusione della cocaina in Italia negli ultimi anni non sembra tener conto delle grandi tragedie ingenerate da questa droga nel Nord-America, della terrificante dipendenza psichica ben conosciuta negli Stati Uniti anche a livello “popolare”, dei danni neurologici ormai ben noti (Volkow and Fowler , 2000), della traccia biologica che la cocaina è capace di lasciare a livello del nucleo delle cellule nervose (Bowers, et al. 1998).
Nuova è davvero l’idea bizzarra e insensata che con una droga vecchia come la cocaina si possa convivere in modo ricreazionale, episodico e tranquillo.
La stessa mentalità, favorita dalla formulazione in pastiglie colorate e contrassegnate da simboli “simpatici”, ha aperto la strada all’ecstasy e a tutti gli amfetamino-derivati di sintesi: droghe che in un primo tempo non assumono alcuna “centralità” nell’esistenza del consumatore adolescente, droghe confinate al tempo libero del week-end, alla notte, alla discoteca. In questo modo anche il nostro paese è stato invaso da farmaci pericolosissimi, capaci di compromettere il sistema di neurotrasmettitori essenziali come la serotonina (McCann et al.,1998; Gerra et al. 1998, 2000). Così sempre più estesa è divenuta la mentalità secondo la quale, insieme con un week-end a tono elevato, sostenuto dagli psicostimolanti, potrebbe essere condotta una vita socialmente integrata, frequentata una scuola con buoni risultati, mantenuto un assetto relazionale ottimale.
Ben diversa la realtà, che vede emergere nei consumatori di ecstasy dopo pochi week-end “high”, a tono elevato, una “low mid-week”, una settimana feriale a tono ridotto, con disturbi dell’umore, irritabilità, ostilità, pensiero paranoide, depersonalizzazione e inappetenza (Parrott et al.,2000), in particolare nei soggetti vulnerabili.
La sottovalutazione e la mistificazione sulla possibile convivenza con droghe in modo ricreazionale è sostenuta dai consumatori non affetti da una vulnerabilità psicobiologica preesistente all’incontro con le droghe, che meno di altri, e in modo meno repentino, sviluppano i disturbi da uso di sostanze: si può immaginare come questo si traduca invece in una trappola per gli adolescenti con “ferite” psicologico-relazionali, o con un temperamento a rischio correlato a determinate caratteristiche biologiche e genetiche. Così accanto a consumatori di cannabis che vantano una sostanziale “immunità” rispetto ai danni indotti dalla marijuana, e non si accorgono della progressiva condizione amotivazionale, dell’incapacità a focalizzare sui concetti, del deficit della memoria e di un sottile cambiamento nella comunicazione interpersonale (Solowij et al., 2002; Solowij, 1995; Curran et al., 2002), altri consumatori si ritrovano a sviluppare rapidamente ostilità, la percezione di essere perseguitati, disturbi dell’umore, grave depersonalizzazione e addirittura ad essere protagonisti di episodi psicotici (Emrich et al., 1997; Leweke, et al., 1999).
La concezione della “droga del divertimento”, di una ubriacatura “accettabile” con l’alcool, inserite entro la vita ordinaria e “normale” hanno portato estese fasce di giovani a stigmatizzare gli eroinomani “quelli che si bucano” con una sicumera e una discriminazione moralistica inquietanti e ambigue: dopo anni in cui, anche da parte degli esperti, si sono immaginati come distinti due mondi, uno quello delle pastiglie, della cocaina, del divertimento e l’altro, quello della gente ai margini, dipendente, perduta con l’eroina, ecco presentarsi, al “capolinea” di tante storie con psicostimolanti, la necessità del ricorso all’eroina, forse come medicazione per i disturbi indotti proprio dall’ecstasy e dalla cocaina. E a questo proposito ecco proporsi in modo sempre più comune tra i giovanissimi un’eroina dal volto nuovo, per la via di somministrazione, la cinetica e la formulazione: se a qualcuno serve utilizzare eroina insieme con gli psicostimolanti, la può inalare fumandola con la stagnola in una formulazione che vaporizza, o “sniffarla” sotto forma di polvere, senza il rito così stigmatizzato e degradante del “buco”. Anche l’eroina vuole proporsi come “nuova droga”, e sta riuscendo nel suo intento semplicemente attraverso vie di somministrazione non usuali!
Nuove droghe e nuove aspettative
Se nuove droghe sono presenti sullo scenario del mondo degli adolescenti, e se vecchie droghe sono utilizzate con nuove modalità, anche le aspettative nei confronti delle sostanze appaiono sostanzialmente modificate.
All’esigenza di uscire da sé, con farmaci capaci di indurre uno stordimento e un annullamento dell’identità personale (sballo), si è sostituita la necessità di una percezione di sé e del proprio profondo sempre più intensa. La risposta alle emozioni e l’elaborazione delle stesse chiedono aiuto ai farmaci, come gli psicostimolanti, che accompagnano l’introspezione e accentuano le risonanze interne. Dunque l’aspettativa di entrare più profondamente in se stessi piuttosto che quella di fuggire da sé.
I farmaci entactogeni, come l’ecstasy e gli analoghi amfetamino-derivati, rispondono all’esigenza della comunicazione interpersonale: uno stato di impoverimento delle comunicazioni, di incapacità ad esporsi alle relazioni, di ansia sociale e di maladattamento sociale richiedono una sorta di “fluidificazione” dei contatti tra gli individui. Forse i grandi contenitori del divertimento che in modo sinergico propongono esercizio fisico, musica ritmica (Gerra et al., 1998), luci intermittenti, affollamento e sostanze psicotrope consentono l’esprimersi di nuove forme di comunicazione che gli adolescenti sperimentano, in alternativa a un affievolirsi delle comunicazioni tra persone.
Un diffuso bisogno di trascendenza che non trova risposte ideologiche e religiose nella crisi degli ultimi anni è parzialmente appagato da esperienze di modificati stati di coscienza indotti dalle droghe, dall’amplificare le dimensioni che danno senso all’esistenza, oggi ristrette e limitate, con l’ausilio dei farmaci psicotropi. Il viaggio nel “tunnel di luce” indotto dalla ketamina, la percezione di onnipotenza cui conduce la cocaina, il protrarsi di esperienze “spirituali” che l’ecstasy sostiene, tutte queste condizioni corrispondono alle aspettative del “sacro”, oggi così diffuse, anche se in modo indistinto, confuso e ambiguo.
La “centralità del corpo” che si è affermata nel nostro tempo, la condizione del corpo sempre posto in primo piano, “in vetrina”, la assolutizzazione della fitness e dell’”energia vitale”, obbligano anch’esse al ricorso alle sostanze d’abuso, assunte allo scopo di “prestazioni” eccezionali e del raggiungimento dell’immagine ideale di sé.
E ancora, l’impossibilità di accettare i propri limiti, di poter essere amati un po’ anche per i propri difetti, la difficoltà a mostrare ai coetanei quello che veramente accade nella propria interiorità, senza timore di dover ammettere un disturbo dell’umore, una condizione d’ansia, un’incertezza nell’affrontare i cambiamenti, anche questo può condurre a stabilire rapporti persistenti con le sostanze d’abuso da parte degli adolescenti. In quest’ultimo caso l’aspettativa è quella di un superficiale “aggiustamento” delle dimensioni della persona, l’aiuto a mostrare un’immagine esterna accettabile anche quando disistima, impulsività, aggressività e ansia paiono compromettere la propria capacità di accettarsi.
Infine, il ricorso alle nuove sostanze assume come target la noia, uno stato di anedonia, e insieme di insofferenza, di non saper che fare e non intravedere risposte ai quesiti di senso, spesso di aver smesso di porsi quesiti di senso: l’intolleranza alla noia, anch’essa così presente nei gruppi di coetanei tra gli adolescenti cerca risposte nella “riedizione” dell’LSD, nelle avventure da “psiconauta” che i cocktail di droghe, o i funghi allucinogeni possono far sperimentare.
Tentativi di automedicazione
Quando dunque si parla dunque di auto-medicazione con le sostanze psicotrope illegali e con l’alcool, di tentativi maldestri di automedicazione, il termine non deve essere ristretto alla cura di disturbi psichiatrici conclamati, e quindi alle storie cliniche di una frazione di tossicodipendenti e di alcoolisti: tra gli adolescenti alle prime armi con le sostanze psicoattive il tentativo di automedicazione può rivolgersi sì a condizioni psichiatriche, ma per la gran parte dei consumatori corrisponde a condizioni di malessere più indistinto o generalizzato, e non per questo incapace di ingenerare sofferenza interna. Se ad essere medicate sono l’incapacità a percepire la propria interiorità, ad elaborare e comunicare le emozioni, a trovare risposte di senso a sostegno del proprio agire, a superare la preoccupazione per una propria presunta inadeguatezza corporea e psichica all’incontro con il modo esterno, tutte queste condizioni “di confine” sostengono un rapporto con le droghe e l’alcool che non può essere definito “sbrigativamente” occasionale, casuale e scevro da problematiche, anche per i consumatori abituali che non abbiano sviluppato dipendenza e disturbi conclamati. Se quelle elencate appaiono rappresentare condizioni comuni nell’adolescenza, che qualcuno potrebbe liquidare come condizioni della “normalità” nel teen-ager, chi si ponga con attenzione di fronte al quadro anamnestico dei consumatori, si accorgerà di quanto accentuate e problematiche fossero per il soggetto che, disponibile a provare le droghe, abbia sviluppato un consumo abituale, settimanale o saltuario.
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