Paziente terminale: problemi finanziari, etici e legali

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La copertura finanziaria dell’assistenza dei pazienti terminali è spesso problematica. I regolamenti dell’assistenza medica escludono l’assistenza supportativa a eccezione che nel settore della lungodegenza. Tuttavia, non tutti i pazienti rientrano nei parametri della lungodegenza e i medici sono spesso riluttanti nel certificare i 6 mesi di prognosi richiesti per la copertura. Anche un’esigenza certificata di un livello di assistenza da parte di infermieri professionali non può consentire il ricovero in una RSA per un breve termine, ad alti costi, di un malato terminale. I medici devono conoscere le opzioni di finanziamento e gli effetti finanziari delle scelte.

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PROBLEMI LEGALI ED ETICI

La maggior parte delle terapie mediche è finalizzata ad alleviare il dolore o le altre sofferenze. Tale trattamento deve essere interpretato come una buona assistenza medica piuttosto che come omicidio o suicidio assistito. La vita trascorsa dovrebbe essere stata così breve e così angosciata che pochi dovrebbero porre domande sull’appropriatezza di tale terapia. Tuttavia, talvolta è difficile affrontare l’argomento sul cosa rappresenti una morte illecita.

Il diritto penale non discrimina tra crimine intenzionale e non intenzionale, sebbene la motivazione frequentemente influenzi la pena. Pertanto, un paziente la cui dispnea sia alleviata solo da dosi di oppiacei che possono anche affrettare il decesso potrebbe ragionevolmente essere considerato la vittima di una morte illecita. Tuttavia, tali situazioni non sono praticamente mai portate in causa per diverse ragioni:

  • la maggior parte delle persone, compresi pubblici ministeri, giudici e giurati, considera la motivazione nelle loro valutazioni e solitamente non trova nessun danno volontario, ma solo la compassione verso una situazione che non avrebbe potuto avere nessun esito migliore.
  • Gli strumenti di morte sono quelli ordinariamente utilizzati nel trattamento (analgesici, sedativi e anestetici), non quelli associati ai crimini (veleni, armi da fuoco e coltelli).
  • Gli strumenti di morte non sono altrettanto connessi con la morte come lo sono quelli dei casi chiaramente criminosi.
  • La terapia del dolore per lo più accelera la morte raramente e in maniera ambigua e anche il trattamento della dispnea probabilmente accelera la morte solo in casi estremi.

Agevolare il suicidio rimane comunque un atto criminoso nella maggior parte degli stati del mondo, ma le leggi variano sostanzialmente e non sempre vengono invocate. Fornire direttamente a un paziente terminale i farmaci letali e le istruzioni per utilizzarli potrebbe essere base di reato nella maggior parte degli stati. Le accuse di omicidio piuttosto che di aiuto al suicidio sono più frequenti se gli interessi del paziente non sono attentamente difesi, se il paziente perde la capacità o risulta, dal punto di vista funzionale, gravemente compromesso proprio prima della morte, se le documentazioni sono rade e se la base elettorale del pubblico ministero prevede di dimostrarle. I medici impegnati nella gestione di sintomi gravi, che non ritengono opportuno utilizzare una terapia che prolunghi la vita, devono documentare la decisione in maniera accurata, garantire al paziente l’assistenza in strutture adeguate ed essere disposti a spiegare le motivazioni della propria decisione con onestà e tatto ai pazienti, al personale e a chiunque sia interessato. I medici devono evitare qualsiasi trattamento che sia convenzionalmente considerato uno strumento di omicidio (per esempio un’iniezione letale), anche se essi possono affermare che il trattamento era inteso ad alleviare la sofferenza.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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