La valutazione dell’anziano: verifica dell’evoluzione ed overdiagnosi 

MEDICINA ONLINE RIABILITAZIONE COGNITIVA TERAPIA FISICA OCCUPAZIONALE DEFICIT NEUROLOGICO MOTORIO DANNO INDIPENDENZA FRATTURA PARALISI CAMMINARE DEAMBULATORE PSICOTERAPIA OCCUPATIONAL PHYSICAL THERAPYLa valutazione delle funzioni cognitivo-comportamentali di un soggetto anziano richiede l’utilizzo di tecniche e procedure che permettano di distinguere tra:

  • il normale declino delle capacità mentali;
  • le modificazioni del comportamento dell’anziano “sano”;
  • le alterazioni delle capacità cognitive secondarie a patologie non demenziali (considerando come patologia anche situazioni socio-ambientali);
  • i disturbi della memoria e delle altre funzioni superiori legate ad una involuzione
    patologica del sistema nervoso centrale (SNC).

A tal fine si utilizza, oltre all’osservazione diretta della persona da parte del sanitario – essenziale ma troppo legata alla soggettività dell’esaminatore – una serie di test mentali il cui risultato sia comprensibile da tutti. Dei numerosi test mentali attualmente in circolazione alcuni hanno preminentemente finalità di ricerca, altri hanno finalità più pratiche (screening tra normalità e patologia, diagnosi, evoluzione); molti di questi ultimi, normalmente utilizzati in ambito specialistico neurologico, psichiatrico/psicoterapeutico e geriatrico, per la loro semplicità, senza detrimento della specificità, possono agevolmente essere utilizzati anche dal medico di base e da medici di altra specialità. Scopo fondamentale delle batterie di test attualmente utilizzate è la differenziazione, in fase precoce, tra la normalità, la demenza, il disturbo cognitivo primitivamente psichiatrico, e la deviazione dalla norma che non rientri in una classe patologica.

La verifica dell’evoluzione

Al termine dell’iter diagnostico, nelle situazioni sopra esposte, alcuni di questi soggetti continueranno ad essere seguiti direttamente dal neurologo o dal geriatra o dallo psichiatra o dallo psicoterapeuta; ciò nei casi in cui sia stata individuata  chiaramente una patologia di tipo cerebrale organico o di tipo squisitamente psichico o una forma mista organico-psichica, tuttavia rimarranno molti casi in cui sarà necessario sospendere il giudizio diagnostico perché anche la valutazione psicometrica degli aspetti cognitivi, comportamentali e psicopatologici non avrà dato risultati di certezza nel momento in cui il test o i test sono stati effettuati.
Sarà utile allora – e talora più che utile indispensabile – che il medico controlli l’evoluzione nel tempo di queste situazioni, con visite mediche ravvicinate e ripetendo poi a distanza di tre – sei mesi un test di valutazione iniziale, come il Mini Mental State (MMS) ed eventualmente un test comportamentale come lo Sandoz Clinical Assessment Geriatric (SCAG), e rimandando il soggetto allo specialista per un eventuale re-test mirato alle aree maggiormente compromesse al primo esame.
Operativamente sarà opportuno quindi compilare una cartella clinica ambulatoriale dove annotare sia le variazioni di comportamento o delle funzioni cognitive rilevate dal medico stesso o riferite dai familiari, sia le variazioni dei punteggi ottenuti alle varie scale di valutazione per poter seguire nel tempo l’evoluzione della compromissione neuropsichica.
L’andamento clinico infatti è già di per sé, in questi casi, un utile segnale diagnostico ed un potente strumento di prevenzione.

Considerazioni sul progressivo deterioramento dell’anziano

Caratteristica dell’anziano è la pluripatologia ed il precario equilibrio di fronte ai fattori di malattia; la senilità è un fenomeno di progressivo deterioramento, con diminuzione della vitalità ed aumento della vulnerabilità: in definitiva con aumento della morbilità e della probabilità di morte. (Fabris, 1986)

Il “progressivo deterioramento” considerato da alcuni specifico dello stato senile ha condotto all’elaborazione di metodologie – e tecnologie – atte a codificare scientificamente il passaggio dalla condizione di normalità (giovane, adulto) a quella di patologia
(anziano, vecchio, ma anche bambino). In un’ottica dualista che configura una separazione netta tra mente e corpo – retaggio deleterio dell’epistemologia cartesiana (Bateson, 1989) – la scoperta di una diversità tra il cervello adulto e senile (di cui il primo fornisce il canone della normalità) comporta che anche le funzioni cerebrali debbano essere alterate. Si costruisce una nosografia del “deterioramento senile” in cui inserire i vari individui patologici; allo stesso modo singoli elementi, sconnessi dal contesto personale, scatenano la ricerca di una conferma diagnostica. Si è creato in tal modo il problema dell’overdiagnosi per cui con sempre maggiore frequenza nei reparti
clinici si accolgono anziani la cui unica patologia è iatrogena (cioè eccesso di procedure diagnostiche, procedure inadeguate o scorrette, eccesso di terapie.
terapie inadeguate o scorrette). Interpretare come un TIA (attacco ischemico transitorio), ad esempio, lo stato confusionale febbrile o il disorientamento spaziale momentaneo o l’accesso emicranico o i sintomi che si associano ad una puntata ipertensiva, attiva procedure diagnostiche e terapeutiche potenzialmente dannose, fastidiose, costose (quando non letali).
Quand’è allora che l’evoluzione peggiorativa dell’anziano diventa patologia? Si può ritenere che i disturbi presentati siano normali quando non comportano una significativa limitazione dell’autonomia ed autosufficienza del soggetto.
Ma per poter comprendere la significatività delle limitazioni è opportuno conoscere [nel senso della epistemologia batesoniana di un inquadramento nella più ampia totalità della “creatura” (unicum indivisibile di mente-corpo) (Bateson, 1989) ] l’individuo, il suo precedente modo di essere, le sue necessità, la sua evoluzione.
Così i test mentali, di cui si è trattato in questo capitolo, forniscono una immagine, in un dato momento, di un aspetto specifico dell’individuo (funzione cognitiva, memoria, comportamento, umore…) non certo la rappresentazione a “tutto tondo” dell’individuo, vanno quindi integrati con tutti gli altri elementi a disposizione.
Eliminando la dicotomia mente-corpo, la senescenza può essere considerata un processo psicosomatico. E’ esperienza comune incontrare adulti senescenti e vecchi giovanili tanto che molti autori ritengono la patologia senile strettamente connessa alle modalità di costruzione della senescenza da parte dell’individuo stesso (Diana, 1983; Arieti, 1985; Jaspers, 1982; Fabris, 1986).
Secondo Diana (1983) la senescenza dipende dalle caratteristiche personali cosi gli uomini invecchiano prima: si riscontra una senescenza precoce nel 12% dei maschi e nel 9% delle femmine. Le persone con scolarità inferiore a 6 anni invecchiano prima: 29 di senescenza precoce in soggetti con bassa scolarità rispetto all’8% dei soggetti con maggiore scolarità. I vedovi invecchiano prima: un allungamento della gioventù si ritrova nel 25% di nubili/scapoli, 22% di coniugati, 11% di vedovi.
Se accettiamo la possibilità che noi stessi condizioniamo la nostra vecchiaia dovremo, per comprendere i processi senili altrui, ricostruire il vissuto di quell’individuo; impresa ardua, ma sicuramente più soddisfacente del semplice lavoro di porre una pedina nella sua casella.

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