I disturbi cognitivi sono un gruppo di varie tipologie di disturbi che alterano le “funzioni cognitive”. Esempi di funzioni cognitive, sono:
- percezione: permette di cogliere le informazioni esterne al nostro corpo tramite i sensi (udito, vista, olfatto, gusto e tatto). Le informazioni vengono trasdotte in segnali elettrici inviati alla corteccia cerebrale, che le interpreterà;
- memoria: permette di immagazzinare le informazione acquisite e richiamarle quando servono. Esistono vari tipi di memoria, ad esempio quella a breve termine e quella a lungo termine;
- riconoscimento: permette di categorizzare un oggetto e ad associarlo ad una specifica funzione, qualità o gruppo (ad esempio, quando vediamo un labrador lo riconosciamo come appartenente alla categoria “cani”, che a sua volta appartiene alla categoria “animali”; quando vediamo una quercia la riconosciamo come appartenente alla categoria “alberi”, che a sua volta è inclusa nel gruppo “piante”; quando vediamo un “bicchiere” lo riconosciamo come “oggetto che serve per bere”);
- attenzione: permette di dare una particolare rilevanza a determinati stimoli e non ad altri, filtrando e selezionando le informazioni ritenute più importanti. Ne esistono più tipi: attenzione divisa quando il soggetto svolge più compiti in contemporanea, attenzione sostenuta (vigilanza) quando dobbiamo prestare attenzione ad una fonte d’informazione per un tempo prolungato, attenzione selettiva quando tra diversi stimoli che arrivano contemporaneamente selezioniamo quelli a cui prestare attenzione senza lasciarci distrarre da stimoli interferenti (effetto cocktail party);
- funzioni prassiche: permettono la capacità di muovere il corpo, l’abilità motoria e l’abilità di manipolare gli oggetti in funzione del compimento di uno scopo;
- linguaggio: permette la trasmissione nei due sensi di informazioni significative attraverso dei comportamenti (segnali) che devono essere emessi da chi trasmette e interpretati dal ricevente;
- funzioni esecutive: permettono il controllo e la pianificazione del comportamento generale in base alle informazioni ottenute tramite tutte le funzioni cognitive prima elencate. Grazie alle funzioni cognitive riusciamo ad esempio a decidere di bloccare un comportamento ritenuto sconveniente in una data occasione (ad esempio ridere ad un funerale), oppure a pianificare e successivamente eseguire un insieme di azioni dirette ad uno scopo seguendo tappe precise, ordinate e monitorate. Le funzioni esecutive permettono anche la “flessibilità cognitiva” grazie alla quale riusciamo a gestire più attività contemporaneamente, a passare rapidamente da un’attività ad un’altra, o ancora a cambiare le strategie messe in atto nella risoluzione di un compito in base ad eventuali nuove informazioni.
I disturbi cognitivi si verificano a seguito di un danno cerebrale che può essere congenito o acquisito e per questo si suddividono in due grandi gruppi:
- disturbi cognitivi da danno cerebrale congenito: da condizioni presenti dalla nascita o legate ad alterati processi di maturazione e sviluppo, ad esempio malattie genetiche;
- disturbi cognitivi da danno cerebrale acquisito:
- danno cerebrale acquisito acuto, ad esempio in caso di trauma cerebrale o ictus cerebrale ischemico o emorragico;
- danno cerebrale acquisito cronico, ad esempio da processo patologico neurodegenerativo progressivo, per esempio la demenza senile, la demenza da corpi di Lewy, la malattia di Alzheimer, la malattia di Parkinson).
I due tipi di danno non si escludono necessariamente a vicenda e possono quindi coesistere nello stesso soggetto: ad esempio paziente con danno cerebrale congenito da malattia genetica che subisce un trauma cerebrale in un incidente stradale. Anche il fisiologico invecchiamento determina un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive.
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I pazienti che crescono con un disturbo cognitivo congenito presentano una serie di deficit la cui gravità varia a seconda della gravità e pervasività del disturbo stesso. In alcuni casi si assiste a un ritardo grave di tutte le tipiche tappe del ciclo di sviluppo. Vengono colpite le funzioni cognitive di base (percezione, memoria e abilità motorie) tanto da rendere questi pazienti completamente dipendenti da un’altra persona o da un’istituzione.
L’autonomia delle condotte della vita quotidiana è parziale, invece, per i soggetti che
presentano deficit cognitivi moderati o che interessano solo selettivamente alcune funzioni ma non direttamente tutte le altre. In questi casi è possibile lo sviluppo di capacità comunicative e sociali, ma potrebbe essere comunque indispensabile un ambiente protetto.
Nei casi in cui il danno cerebrale si verifichi in individui che hanno già sviluppato le loro potenzialità cognitive (disturbo cognitivo acquisito), i pazienti presentano una perdita funzionale rispetto al precedente livello di funzionamento.
Il danno cerebrale acquisito è a sua volta distino in due ampie categorie:
- lesioni cerebrali acute: sono caratterizzate da improvvisa ed intensa alterazione del funzionamento, per esempio in conseguenza di un trauma cerebrale o di un ictus cerebrale;
- lesioni cerebrali croniche: sono dovute a malattie degenerative croniche con declino lento ma graduale, non necessariamente uniforme e sincrono in tutte le sue manifestazioni.
Tra le malattie degenerative croniche con declino graduale, la più importante per le sue
conseguenze sul piano sia cognitivo sia comportamentale è la malattia di Alzheimer che colpisce circa il 5% delle persone con più di 65 anni, tanto che in Italia si stimano circa 500mila ammalati. È la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia di Alzheimer, dunque, è una demenza progressiva che colpisce soprattutto persone di età avanzata. Ha un decorso
cronico irreversibile, i cui sintomi principali sono:
- perdita della memoria (anmesia);
- alterazioni e cambiamenti di personalità;
- problemi di linguaggio (afasia);
- difficoltà e perdita dell’ orientamento spazio-temporale (disturbi dell’orientamento);
- incapacità di riconoscere persone cose e luoghi (agnosia);
- girovagare afinalistico (wandering);
- perdita delle più elementari e quotidiane abilità come mangiare, lavarsi, vestirsi (aprassia).
Ciò che contraddistingue maggiormente i pazienti affetti da demenza di Alzheimer è «il passato che sembra ergersi con la vivezza del presente, mentre il presente si dilegua nell’oscurità di una distanza infinita» (De Quincey, 1983). Questa descrizione mette in evidenza uno dei segni patognomonici specifici di questa forma di demenza: l’apparente conservazione della capacità di rievocare le informazioni già memorizzate in epoche precedenti, anche lontane e la grave difficoltà a memorizzare le informazioni appena presentate. Questo fenomeno venne definito da Ribot alla fine del 1800 come presbionmesia. Per questa patologia fino a oggi non è stata individuata alcuna cura efficace a bloccare il corso della malattia: il trattamento consiste essenzialmente in cure sintomatiche e mira a mantenere una migliore qualità della vita per il paziente e per coloro che ne hanno cura. Per approfondire: Morbo di Alzheimer: cause, sintomi, decorso, terapie
Riabilitazione cognitiva
In presenza di un deficit cognitivo, esistono numerose tecniche di intervento, che insieme vanno sotto il nome di “riabilitazione cognitiva”. La riabilitazione cognitiva è un insieme sistematico, orientato in senso funzionale, di attività terapeutiche, basato sulla valutazione e comprensione dei deficit cerebrali e comportamentali del paziente, che ha due obiettivi primari:
- favorire una maggiore autonomia e integrazione psicosociale dell’individuo con deficit cognitivo attraverso il miglioramento delle capacità cognitive compromesse;
- insegnare al paziente strategie specifiche di compensazione del deficit attraverso l’uso delle abilità ancora conservate.
Per approfondire, leggi:
- Riabilitazione cognitiva: Token Economy e tecniche per incrementare comportamenti adeguati
- Riabilitazione cognitiva: tecniche per incrementare comportamenti adeguati non presenti
- Terapia occupazionale: caratteristiche, attività, obiettivi, dispositivi
- Riabilitazione cognitiva: tecniche per incrementare attenzione, memoria, linguaggio
Criteri diagnostici per il ritardo mentale
In questa sede ci sembra utile ricordare i criteri diagnostici per il ritardo mentale secondo il DSM IV TR, che sono di seguito elencati. Si noti che questa tabella, anche se definita per il ritardo mentale, viene applicata, secondo la normativa ministeriale vigente, alla valutazione dei deficit cognitivi dei pazienti con demenza nella procedura di rilascio dell’invalidità civile.
- Funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media: un QI (quoziente d’intelligenza) di circa 70 o inferiore ottenuto con un test di QI somministrato individualmente.
- Concomitanti deficit o compromissioni nel funzionamento adattativo attuale (cioè, la capacità del soggetto di adeguarsi agli standard propri della sua età e del suo ambiente culturale) in almeno due delle seguenti aree: comunicazione, cura della propria persona, vita in famiglia, capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodetenninazione, capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute e sicurezza,
- L’esordio è prima dei 18 anni di età.
Codificare sulla base del livello di gravità che riflette il grado di compromissione intellettiva:
- Ritardo Mentale Lieve livello del QI da 50-55 a circa 70
- Ritardo Mentale Moderato livello del QI da 35-40 a 50-55
- Ritardo Mentale Grave livello del QI da 20-25 a 35-40
- Ritardo Mentale Gravissimo livello del QI sotto 20 o 25
- Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata: quando vi è forte motivo di presupporre un Ritardo Mentale, ma l’intelligenza del soggetto non può essere verificata con i test standardizzati.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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