L’espressione “capro espiatorio” (in lingua inglese “scapegoat“) è usata molto spesso sia nel linguaggio parlato che in quello scritto, ma cosa significa di preciso? Indica, in senso figurato, l’oggetto, la persona o il gruppo di persone selezionate in modo arbitrario e generalmente irrazionale per portare su di sé la colpa di altri (ad esempio colpa di un altro oggetto, o persona, o colpa collettiva). Nonostante sia dalla massa considerato il colpevole di una data situazione, il capro espiatorio è quindi parzialmente o totalmente innocente relativamente a quella data situazione.
Capro espiatorio: sinonimo e plurale
Un possibile sinonimo di “capro espiatorio” è “vittima sacrificale“. Dire “capro espiatori” o “capri espiatorio” è un errore nella lingua italiana: il plurale corretto di capro espiatorio è “capri espiatori“.
Uso del capro espiatorio
Nella storia il fenomeno del capro espiatorio ha avuto motivazioni politiche, culturali, sociali e/o religiose, consapevoli o meno ed è stato spesso usato come pretesto per condurre condotte criminali di eliminazione contro una singola persona (ad esempio un avversario politico o religioso), contro minoranze o contro una intera popolazione, si pensi ad esempio all’Olocausto: il genocidio perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti degli ebrei d’Europa, “colpevoli” del teutonico declino economico, sociale e politico. La ricerca del capro espiatorio è particolarmente devastante in praticamente tutti gli ambiti perché solitamente la colpa è attribuita ad una persona socialmente “debole” o un gruppo di minoranza, soggetti quindi che generalmente hanno difficoltà a difendersi adeguatamente dalle accuse, specie se mosse da un individuo od organizzazione ritenuti autorevoli, come ad esempio storicamente un papa contro streghe ed eretici, un capo di stato contro un avversario politico o una testata giornalistica, spesso usata in modo strumentale per attaccare il capro espiatorio più “conveniente”.
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Distogliere l’attenzione dai veri problemi
Una tattica spesso impiegata è quella di caratterizzare un intero gruppo di individui per la condotta non etica o immorale di un piccolo numero di appartenenti a tale gruppo. Tra i soggetti usati come capri espiatori nel corso della storia troviamo ad esempio le persone di colore, gli immigranti, le persone del sud e così via, in cui spesso il singolo diventa specchio dell’intero gruppo, fallacia logica che sfocia in razzismo e nel linciaggio generale, mediatico o fisico. Il capro espiatorio “perfetto” è quello che, in un rapporto NON paritario col proprio “carnefice”, viene incolpato per “distogliere” l’attenzione del popolo da problemi veri e ben più importanti. Ad esempio in caso di crisi economica un politico incapace, per acquistare visibilità e vincere le elezioni, anziché far comprendere al popolo (ignorante) le vere e complesse ragioni della crisi e risolverla a monte, può incolpare di tutto alcune minoranze che non possono difendersi, ad esempio “gli immigrati che ci rubano il lavoro”. Chi usa i capri espiatori a scopi politici è un meschino che non fa MAI del bene alla comunità, per almeno quattro ragioni:
- perché cavalca l’ignoranza di gregge (leggi “analfabetismo funzionale”) e le distorsioni indotte dalla psicologia delle folle per ottenere potere politico;
- perché nasconde alla popolazione i veri motivi della crisi;
- perché aumenta i sentimenti di odio della comunità verso le minoranze;
- perché non risolve la crisi.
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Origini dell’espressione
Nella Bibbia, all’interno del libro del Levitico, viene descritto il rito del capro espiatorio come parte della cerimonia dello Yom Kippur (Giorno dell’espiazione dei peccati), festa religiosa della popolazione ebraica. Nell’ambito di questa cerimonia due capri. venivano portati insieme a un toro presso il luogo del sacrificio, il tempio di Gerusalemme. Il toro veniva sacrificato da un sacerdote, che estraeva a sorte fra i due capri: quello estratto veniva sacrificato con il toro, mentre – dopo che il sacerdote gli aveva confessato i segreti del popolo d’Israele – l’altro veniva allontanato dalla comunità, portato a circa 12 chilometri da Gerusalemme, dove secondo la tradizione rabbinica veniva spinto giù da una rupe. Il capro ucciso era il “capro del Signore“, mentre il secondo era lasciato al demone Azazel: il capro fatto precipitare era il “capro emissario o espiatorio” che, portando dentro di sé tutte le colpe, era destinato a portare via con sé i peccati del popolo d’Israele e il suo allontanamento era il simbolo dell’espiazione dei peccati. Nel settimo capitolo della Lettera di Barnaba, il rito del capro espiatorio nel Levitico viene interpretato come una prefigurazione simbolica del sacrificio di Gesù: entrambi muoiono da innocenti fuori della città di Gerusalemme per colpe che non avevano commesso e che il sommo sacerdote gli aveva imputato.
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Capro espiatorio in psicologia, psicoanalisi ed antropologia
Secondo l’approccio psicanalitico, il capro espiatorio è l’oggetto, la persona, il gruppo sul quale vengono scaricate colpe che in realtà non possono essergli attribuite. Il meccanismo che presiede alla designazione del capro espiatorio è la proiezione, un meccanismo di difesa dell’individuo, che allontana così da sé una colpa che non riesce ad accettare, proiettandola, cioè trasferendola su altri. Il concetto di capro espiatorio in antropologia designa l’insieme dei riti di espiazione utilizzati da una comunità. Nelle sue opere, l’antropologo francese René Girard ha sviluppato una teoria completa sul meccanismo di capro espiatorio, con implicazioni psicologiche, antropologiche, sociologiche, filosofiche e religiose. L’opera Le Bouc émissaire di René Girard (1982) mostra all’opera il fenomeno che egli chiama il “triangolo mimetico” formato da tre poli che sono gli individui A, B e il capro e il “bene oggetto”, il triangolo mimetico descrive tale gioco simbolico e la relazione reale tra A e B, nella quale B:
- dispone di un bene;
- sembra disporre di un bene;
- potrebbe disporre di un bene,
di cui A pensa:
- ch’egli ne sia sprovvisto;
- che la sua disponibilità di tale bene sia minacciata per il solo fatto che B ne disponga o possa disporne.
Il “bene” è chiamato da Renè Girard “oggetto” e non è necessariamente materiale. Tale triangolo mimetico sembra motivato dalla necessità d’avere la disponibilità di potere essere. Non potendo essere l’altro direttamente A pensa che se ciò che caratterizza B e che giustifica ancora la differenza tra lui A e il suo modello B, è un avere (l’oggetto o il bene). Il problema risiede nell’imitazione reciproca al desiderio dell’oggetto. Più A desidera l’oggetto, più B (se rientra nel meccanismo del desiderio mimetico) farà lo stesso. E più A e B tendono a rassomigliarsi (in rapporto ai loro desideri).
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Lo Staff di Medicina OnLine
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